Polonia. Prosegue lo scontro tra le più alte istituzioni dello Stato in assenza di un accordo tra le principali forze politiche del paese

Premessa 

La crisi costituzionale polacca – che continua ormai dall’ottobre 2015 – sembra essere entrata, nella fase attuale, in una situazione di stallo.

Il Tribunale costituzionale, nella sentenza K47/15 del 9 marzo 2016, ha dichiarato incostituzionali gli emendamenti alla Legge sul Tribunale costituzionale approvati dal Sejm il 22 dicembre 2015 – con il sostegno del partito di Governo, Diritto e Giustizia (PiS) – che avevano di fatto paralizzato l’attività del Tribunale.

Il Governo si è però rifiutato di procedere alla pubblicazione della sentenza per il mancato rispetto da parte del Tribunale costituzionale di quanto previsto dalla legge oggetto del controllo di costituzionalità.

La Commissione di Venezia è intervenuta, su richiesta del Ministro degli Esteri, Witold Waszczykowski, sugli emendamenti alla Legge sul Tribunale costituzionale, con il parere 833/2015, dell’11 marzo 2016, nel quale ha riconosciuto che il proseguimento della crisi costituzionale rappresenterebbe una grave minaccia per lo stato di diritto, la democrazia e i diritti umani.

Si ricorda, inoltre, che la Polonia è sottoposta alla procedura per la verifica del rispetto dello stato di diritto, avviata dalla Commissione europea nel gennaio 2016.

Nonostante le esortazioni del Vice Presidente della Commissione europea, Frans Timmermans, affinché la sentenza del Tribunale venga pubblicata e trovi attuazione, e del Segretario Generale del Consiglio d’Europa, Thorbjoern Jagland per una “soluzione parlamentare” alla crisi, è difficile immaginare come una situazione tanto complessa possa evolversi.

Ciò che appare sempre più necessario è il raggiungimento di un “compromesso politico” che consenta il superamento della crisi. A questo proposito è stato organizzato un primo incontro tra i principali partiti della Polonia, il 31 marzo 2016, per promuovere il dialogo e favorire il raggiungimento di un accordo.

Data la complessità della vicenda – che, si ritiene intrinsecamente connessa allo scontro tra i due principali partiti della Polonia, Diritto e Giustizia (PiS) e Piattaforma Civica (PO) – si ritiene necessario procedere con una breve ricostruzione dei fatti che hanno segnato le tappe più significative della crisi costituzionale polacca.

Il 25 giugno 2015 è stata approvata una nuova Legge sul Tribunale costituzionale, entrata in vigore il 30 agosto 2015. In essa, all’art. 137, si stabiliva che il termine per la presentazione delle candidature per i giudici del Tribunale il cui mandato fosse terminato nel 2015 sarebbe stato di 30 giorni dall’entrata in vigore della legge.

A questo proposito va notato che il mandato di tre giudici del Tribunale costituzionale sarebbe terminato il 6 novembre 2015, ovvero nel corso della VII legislatura, mentre il mandato di altri due giudici sarebbe terminato rispettivamente il 2 e l’8 dicembre 2015, ovvero nel corso della legislatura successiva (considerato che le elezioni erano già state fissate per il 25 ottobre 2015).

Si ricorda che, secondo quanto previsto dalla Legge sul Tribunale costituzionale, art. 17, c. 2, i giudici costituzionali sono eletti a maggioranza semplice dal solo Sejm, che è la camera bassa del Parlamento polacco.

L’art. 137 della Legge sul Tribunale costituzionale ha rappresentato il fondamento giuridico che ha consentito al Sejm – in cui Piattaforma civica aveva la maggioranza relativa – nel corso della VII legislatura, di eleggere tutti e cinque i giudici del Tribunale costituzionale con il mandato in scadenza nel 2015. L’8 ottobre 2015 il Sejm ha approvato, infatti, cinque risoluzioni sull’elezione di altrettanti giudici del Tribunale costituzionale.

Il Presidente della Repubblica, Andzej Duda, del partito antagonista Diritto e Giustizia, si è rifiutato di ricevere il giuramento dei cinque nuovi giudici, ritenendo che la loro elezione fosse avvenuta “in violazione delle regole democratiche”.

Per quanto legittima, la scelta di Piattaforma civica può ritenersi politicamente poco corretta se si considera che, avendo governato ininterrottamente dal 2007, la quasi totalità dei membri del Tribunale sono stati eletti con il suo sostegno.

 

Gli emendamenti alla Legge sul Tribunale costituzionale del 19 novembre 2015 e le sentenze del Tribunale costituzionale K34/15 del 3 dicembre 2015 e K35/15 del 9 dicembre 2015

Alle elezioni parlamentari del 25 ottobre 2015, Diritto e Giustizia – partito all’opposizione dal 2007 – ha ottenuto una significativa vittoria, che gli ha assicurato la maggioranza assoluta dei seggi nelle due camere in Parlamento.

Il 19 novembre 2015, il nuovo Parlamento ha approvato una serie di emendamenti alla Legge sul Tribunale costituzionale del 25 giugno 2015. Tra le modifiche introdotte si ricordano le seguenti:

– secondo quanto previsto dal nuovo art. 12, c. 1, il Presidente del Tribunale costituzionale è nominato dal Presidente della Repubblica per un mandato di tre anni, tra almeno tre candidati proposti dall’Assemblea generale dei giudici del Tribunale ed è rieleggibile (art. 12, c. 1);

– all’art. 21, si stabilisce che i giudici del Tribunale debbono giurare davanti al Presidente della Repubblica entro 30 giorni dall’elezione. Viene inoltre aggiunto l’art. 21, c. 1a, il quale prevede che le funzioni dei giudici del Tribunale abbiano inizio con il giuramento davanti al Presidente della Repubblica;

– Si prevede, infine, che il mandato del Presidente del Tribunale termini entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge di emendamento;

– L’art. 137 è stato abrogato ed è stato introdotto l’art. 137a. In esso si prevede un termine di sette giorni, dall’entrata in vigore degli emendamenti, per la presentazione delle candidature per i giudici del Tribunale il cui mandato scadeva nel 2015.

Il 25 novembre 2015 il nuovo Sejm ha annullato le cinque risoluzioni dell’8 ottobre 2015 ed il 2 dicembre ha adottato cinque nuove risoluzioni sull’elezione dei giudici del Tribunale costituzionale, ignorando la formale richiesta del Tribunale stesso di non procedere all’elezione di nuovi giudici.

Il giorno successivo, il 3 dicembre 2015 il Tribunale si è pronunciato sulla costituzionalità della Legge sul Tribunale costituzionale del 25 giugno 2015. Nella sentenza si riconosce la conformità alla Costituzione dell’art. 137 in relazione all’elezione di tre giudici del Tribunale costituzionale il cui mandato sarebbe terminato il 6 novembre 2015. Mentre si riconosce la non conformità alla Costituzione dell’art. 137 in relazione all’elezione dei due giudici il cui mandato sarebbe terminato in dicembre.

Il 9 dicembre 2015 il Tribunale è intervenuto anche sugli emendamenti alla Legge sul Tribunale costituzionale approvati il 19 novembre 2015. Nella sentenza, il Tribunale riconosce la non conformità alla Costituzione dell’art. 137a, in relazione all’elezione dei giudici del Tribunale il cui mandato era scaduto il 6 novembre 2015. Inoltre, la quasi totalità delle modifiche introdotte dagli emendamenti del 19 novembre 2015 sono considerate non conformi alla Costituzione.

 

Gli emendamenti alla Legge sul Tribunale costituzionale del 22 dicembre 2015 e la   sentenza del Tribunale costituzionale K 47/15 del 9 marzo 2016 

Il conflitto tra le più alte istituzioni dello Stato è proseguito nelle settimane successive con toni sempre più accesi, fino all’approvazione degli emendamenti alla Legge sul Tribunale costituzionale del 22 dicembre 2015, con i quali si è raggiunto l’apice dello scontro e che hanno portato ad una serie di proteste all’interno del paese.

Le modifiche introdotte dalla Legge del 22 dicembre 2015 presentano numerose criticità. Si cercherà per questo di riassumere i principali punti che hanno destato preoccupazione, sia in Polonia che nella Commissione di Venezia, il cui parere verrà analizzato di seguito, ed a livello di Unione europea.

Innanzitutto si prevede che il Tribunale giudichi in seduta plenaria, alla presenza di almeno 13 giudici (su 15 che compongono il Tribunale, in luogo dei 9 richiesti dalla precedente normativa) e si pronunci a maggioranza di due terzi dei presenti (è necessario dunque il consenso di 9 giudici, in luogo della maggioranza semplice richiesta dal testo precedente). La modifica riguarda in particolare i ricorsi principali (controllo di costituzionalità “astratto”), mentre per i ricorsi individuali e i ricorsi incidentali è previsto che il Tribunale si pronunci in un collegio di 7 giudici. È comunque sempre possibile deferire al Plenum i casi di particolare importanza e complessità, su decisione del Presidente del Tribunale o su richiesta del collegio giudicante (art. 44, c. 2). Infine, è previsto che anche l’Assemblea generale dei giudici del Tribunale adotti risoluzioni a maggioranza di due terzi, alla presenza di almeno 13 giudici, compresi il Presidente e il Vice-Presidente del Tribunale (art. 10, c. 1).

Il Tribunale costituzionale è vincolato a stabilire le date delle udienze e delle sedute a porte chiuse seguendo l’ordine nel quale sono stati presentati i ricorsi (art. 80, c. 2).

Viene introdotta la possibilità per il Presidente della Repubblica e per il Ministro della Giustizia di avviare un procedimento disciplinare nei confronti dei giudici del Tribunale (art. 28a). Inoltre, l’Assemblea generale viene privata della competenza di determinare il termine delle funzioni di un giudice (art. 8, c. 4), che viene invece attribuita al Sejm.

Vengono, infine, abrogate una serie di disposizioni, tra le quali l’art. 16 (sull’indipendenza dei giudici), l’art. 17, c. 1 (sul numero dei giudici che compongono il Tribunale), art. 17, c. 2 secondo periodo (sul divieto alla rielezione dei giudici del Tribunale) e tutto il Capitolo X (sui procedimenti per determinare l’esistenza di un impedimento all’esercizio delle funzioni del Presidente della Repubblica).

Il 12 gennaio 2016 il Presidente del Tribunale costituzionale, Andrzej Rzepliński, ha ammesso ai lavori del Tribunale due dei giudici eletti nel corso dell’VIII legislatura. Di conseguenza nel Tribunale, che si compone di norma di 15 giudici, vi sono 12 giudici in carica e 3 posizioni vacanti (per le quali sono stati eletti 6 giudici, tre alla fine della VII e tre all’inizio dell’VIII legislatura).

Il 14 gennaio 2016 il Tribunale, in composizione plenaria (12 giudici), ha deciso di esaminare il ricorso K 47/15 sulla costituzionalità degli emendamenti alla Legge sul Tribunale costituzionale, approvati il 22 dicembre 2015, affermando esplicitamente che avrebbe effettuato la sua analisi esclusivamente sulla base della Costituzione, solo parametro al quale il Tribunale si ritiene vincolato.

Il Governo ha sostenuto, invece, che il Tribunale avrebbe dovuto rispettare la legge oggetto del controllo di costituzionalità e le procedure in essa previste e si è rifiutato per questo di procedere alla pubblicazione della sentenza.

Tuttavia, l’osservanza di quanto previsto negli emendamenti avrebbe comportato per il Tribunale l’impossibilità di pronunciarsi, considerato che – con gli attuali 12 giudici in carica – non sarebbe stato possibile raggiungere il quorum di 13 giudici previsto per la seduta plenaria ordinaria.

Nella sentenza K 47/15, il Tribunale costituzionale ha dichiarato la non conformità alla Costituzione della quasi totalità degli emendamenti introdotti con la legge del 22 dicembre 2015, sulla base di considerazioni sia procedurali che sostanziali.

Si fa riferimento in particolare a:

– l’introduzione dell’obbligo per l’Assemblea generale dei giudici del Tribunale e per il Plenum di pronunciarsi a maggioranza di 2/3 alla presenza di almeno 13 giudici;

– l’attribuzione al Presidente della Repubblica ed al Ministro della Giustizia della facoltà di presentare richiesta, all’Assemblea generale, per la revoca di un giudice del Tribunale;

– l’attribuzione della competenza di revoca di un giudice del Tribunale costituzionale al Sejm, invece che all’Assemblea generale dei giudici costituzionali.

Infine, non si ritengono conformi alla Costituzione anche le disposizioni relative alle modalità per fissare la data delle udienze, le disposizioni transitorie e l’entrata in vigore della legge senza vacatio legis.

 

Il parere 833/2015 della Commissione di Venezia e il procedimento di verifica dello stato di diritto della Commissione europea

La Commissione di Venezia, nel suo parere dell’11 marzo 2016, è entrata nel merito della vicenda, attraverso un’analisi delle disposizioni introdotte dalla legge del 22 dicembre 2015.

In particolare, la Commissione di Venezia ha espresso perplessità in merito a numerose modifiche introdotte dalla legge del 22 dicembre 2015, con particolare riferimento a:

  • l’obbligo di stabilire le date delle udienze e delle sedute a porte chiuse seguendo l’ordine cronologico nel quale vengono presentati i ricorsi al Tribunale;
  • l’introduzione di un periodo di tre mesi tra la notifica alle parti della data della prima udienza e la prima udienza stessa, e di un periodo di sei mesi (sempre tra la notifica della data della prima udienza e l’udienza) nei casi in cui sia chiamato a decidere il Plenum (art. 87, c. 2);
  • il quorum funzionale per l’Assemblea generale dei giudici del Tribunale costituzionale e per il Plenum di 13 giudici su un totale di 15;
  • la maggioranza dei 2/3 richiesta per l’adozione delle decisioni del Tribunale, sia nella composizione plenaria che nell’Assemblea generale (corrispondente a 9 giudici su un totale di 15);
  • la possibilità per il Presidente della Repubblica e per il Ministro della Giustizia di avviare un procedimento disciplinare nei confronti dei giudici del Tribunale;
  • la competenza di revoca di un giudice attribuita al Sejm.

La Commissione di Venezia ha ritenuto che l’operare congiunto delle modifiche introdotte con gli emendamenti del 22 dicembre 2015 potrebbe costituire un serio ostacolo allo svolgimento dell’attività del Tribunale e raccomanda per questo l’adozione di misure più appropriate.

La Commissione di Venezia invita il Parlamento polacco a promuovere il dialogo tra le istituzioni al fine di trovare una soluzione politica alla crisi in corso, che si fondi sul rispetto della Costituzione e dell’organo chiamato ad interpretarla. Viene rivolto un invito anche agli altri organi dello Stato perché rispettino quanto deciso dal Tribunale, in conformità agli standard europei e internazionali relativi alla separazione tra i poteri, l’indipendenza del potere giudiziario, e lo stato di diritto.

A parere della Commissione, inoltre, la prosecuzione della crisi costituzionale polacca rappresenta una grave minaccia per lo stato di diritto, la democrazia e i diritti umani, ovvero i principi fondamentali alla base del Consiglio d’Europa.

Nelle Conclusioni, la Commissione di Venezia ribadisce la necessità per la maggioranza e l’opposizione del Parlamento di trovare una soluzione ed invita le parti a promuovere un dialogo aperto che assicuri la partecipazione di tutte le istituzioni per apportare le modifiche richieste alla Legge sul Tribunale costituzionale.

La Polonia è sottoposta, come detto sopra, anche alla procedura per la verifica del rispetto della “rule of law” a livello di Unione europea. Si tratta del primo caso di utilizzo dei meccanismi previsti dal “nuovo quadro” dell’UE per rafforzare lo Stato di diritto, introdotto nel 2014 a seguito della crisi costituzionale ungherese.

Nel corso del primo incontro orientativo, il 13 gennaio 2016, la Commissione europea aveva deciso di proseguire con una valutazione preliminare della questione, sulla base del “rule of law framework”. Il 5 aprile 2016 si è tenuta una seconda serie di incontri, a Varsavia, tra il Vice Presidente della Commissione europea Timmermans e il Ministro degli Esteri Waszczykowski, il Ministro della Giustizia Ziobro, il Vice Primo Ministro Morawiecki e il Presidente del Tribunale costituzionale Rzepliński, al termine dei quali il Vice Presidente della Commissione europea ha ribadito che “il punto di partenza per trovare una soluzione duratura e di lungo periodo al conflitto in corso deve basarsi sul pieno rispetto dell’ordine costituzionale vigente, e ciò richiede il pieno rispetto delle sentenze del Tribunale costituzionale, che devono essere pubblicate e trovare attuazione” (warsawvoice.pl).

Si ricorda infine che il Parlamento europeo – a seguito di un accordo tra il Partito Popolare Europeo e il Gruppo dell’Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici, che ha ricevuto il sostegno anche dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa – voterà una risoluzione sulla situazione in Polonia il 13 aprile 2016.

Nel progetto di risoluzione (in 12 punti) che verrà presentato al Parlamento europeo – pubblicato dalla stampa polacca il 7 aprile 2016 (tvn24.pl) – si richiede alle autorità polacche di rispettare il parere della Commissione di Venezia (punto 4). Si esorta, inoltre, il Governo polacco a pubblicare la sentenza del Tribunale Costituzionale, nella quale si dichiara la non conformità alla Costituzione della legge del 22 dicembre 2015 (punto 5).

 

L’avvio di una soluzione politica alla crisi costituzionale 

La crisi costituzionale polacca, come ricordato, si trova nella fase attuale in una situazione di stallo.

Nonostante le richieste della Commissione di Venezia e, successivamente, della Commissione europea, il Governo ha ribadito il proprio rifiuto a procedere alla pubblicazione della sentenza del Tribunale costituzionale K47/15 del 9 marzo 2016.

All’indomani dell’adozione del parere della Commissione di Venezia state avanzate una serie di proposte, da parte di diverse forze politiche polacche, per il superamento del conflitto tra il Governo e il Tribunale costituzionale, tra le quali:

– l’approvazione di un emendamento alla Costituzione, per aumentare il numero di giudici del Tribunale costituzionale da 15 a 18, cosa che consentirebbe a tutti i giudici eletti nel corso della VII e dell’VIII legislatura di assumere la carica;

–  l’approvazione di una legge per far cessare il mandato dei giudici in carica (entro 60 giorni dall’entrata in vigore della stessa) e procedere ad una nuova elezione di tutti i giudici del Tribunale;

– l’impegno di tutti i gruppi parlamentari del Sejm a eleggere i tre giudici eletti nel corso della VII legislatura per coprire le future posizioni vacanti del Tribunale.

Il Governo si è dimostrato favorevole all’apertura di un dialogo con le altre forze politiche, per trovare una soluzione alla crisi.

Il 12 marzo 2016, il Primo Ministro, Beata Szydło, ha inviato il parere della Commissione di Venezia al Sejm ed ha annunciato l’intenzione di istituire un gruppo di esperti per procedere all’esame del testo.

Successivamente, il 24 marzo 2016, il leader del partito di governo, Jarosław Kaczyński, ha richiesto al Maresciallo del Sejm, Marek Kuchciński (ossia lo Speaker della camera bassa, del partito di Governo Diritto e Giustizia) la convocazione di un incontro tra i principali partiti della Polonia per affrontare le questioni alla base dello scontro tra le più alte istituzioni dello Stato.

All’incontro del 31 marzo 2016 hanno partecipato i rappresentanti di otto partiti polacchi: Diritto e Giustizia, Piattaforma Civica, Nowoczesna, Kukiz’15, il Partito Popolare Polacco e tre partiti che non sono rappresentati in Parlamento, ovvero l’Alleanza Democratica di Sinistra (SLD), Razem, e KORWiN.

Si tratta probabilmente del primo di una serie di incontri finalizzati a promuovere il dialogo tra le principali forze politiche del paese ed arrivare ad una soluzione di compromesso tra le stesse.

L’elezione di un nuovo giudice del Tribunale costituzionale, il cui mandato dovrebbe terminare il 27 aprile 2016, potrebbe rappresentare un ulteriore elemento di complessità nello scenario appena configurato. Il 29 marzo 2016, trenta giorni prima della scadenza del mandato del giudice (art. 19 c. 2 Legge sul Tribunale costituzionale), Diritto e Giustizia ha presentato, infatti, la candidatura di Zbigniew Jędrzejewski alla carica di giudice del Tribunale.

Per concludere, si ricorda che nella fase attuale il raggiungimento di un accordo “politico” tra le principali forze del paese rappresenta con ogni probabilità l’unica soluzione possibile alla crisi costituzionale in corso.