Al confine tra il diritto e la storia. Rileggendo “Antropologia giuridica. Contributo ad una macrostoria del diritto” di Rodolfo Sacco.

Le problematiche attuali del diritto sollevate dalla sempre crescente rilevanza costituzionale del multiculturalismo, dalla globalizzazione, dal trapianto delle regole nel rispetto della specificità e dalle spinte all’unificazione internazionale del diritto sono quantomai sfuggevoli e spesso tramandate in modo acritico e pedissequo. Gli strumenti ermeneutici sono molteplici e allo stesso tempo solo pochi ambiti disciplinari, come l’antropologia giuridica, riescono a cogliere con immediatezza ed acume le infinite sfaccettature del problema.

La riflessione di Sacco prende le mosse dalla constatazione che se dove c’è una società allora c’è il diritto, non sempre dove c’è una società lì c’è uno Stato. Sacco aveva riconosciuto che le premesse ad un corso di diritto comparato (… che lui riferiva all’ambito gius-civilistico …) dovevano partire dalla considerazione di due universi distinti: le società monocefale predisposte alla definizione di forme di organizzazione politica accentrata, come lo Stato, e le società acefale a potere diffuso, dunque non predisposte alla costruzione statuale. Un elemento aprioristico, quasi del tutto ignorato dal metodo comparato. Il volume di Rodolfo Sacco è particolarmente complesso e poliedrico, e permette al costituzional-comparatista di misurarsi con temi noti alle grandi narrazioni giuridiche europee ed elaborati al margine della costruzione statuale, come la laicità, il partito e la libertà, ma anche con temi e modelli non occidentali.
Sacco contribuisce a svelare con disincanto la necessità di riscoprire le forme mute del diritto, sotto la spinta della sinergia e dalla feconda contaminazione tra teorici del diritto e antropologi che avevano coniato l’espressione di “diritto vivente”, ad indicare quel “diritto creato fuori dell’istituzione, ossia il diritto che regola la vita sociale senza essere verbalizzato in proposizioni giuridiche” (p. 81). Le riflessioni di Sacco contribuiscono ad esplicare le ragioni per cui quella domanda di giustizia che attraversa le società europee ed extra-europee può portare al fallimento di tribunali internazionali ad hoc elaborati secondo canoni assiologici e procedural-processuali “universali”, ma nella realtà definite secondo canoni eurocentrici. Nelle società a potere diffuso, o nelle comunità con forti legami di appartenenza e interdipendenza, “il centro di imputazione della regola di responsabilità non è l’individuo, ma il gruppo” (p. 103). Nelle forme più estreme, la sanzione si sostanzia in un atto operato dal gruppo della vittima nei confronti dell’autore del crimine. Di contro, nei tornanti della Storia in cui le forme di giustizia vengono informate ai criteri della riconciliazione e della pacificazione sociale l’accettazione dell’individuo da parte della comunità è un passaggio essenziale dell’offerta di giustizia.
L’analisi grammaticale della vita della persona e la sua appartenenza al gruppo permettono di dischiudere la tensione insita nella dicotomia tra diritti dell’individuo e diritti dei gruppi, alla base della problematica dei diritti culturali, che attraversa in modo trasversale le moderne democrazie pluraliste. “Nelle società senza stato la vita della persona è strettamente legata alla sua appartenenza al gruppo. Ciò che è necessario al soggetto per sopravvivere gli viene assegnato all’interno del gruppo, e per lui sarebbe complicato procurarselo mediante caccia individuale, raccolta e scambi” (p. 248). Taluni argomenti, poi, rientrano nella sfera autonoma del diritto privato, al quale l’antropologia giuridica ha dato un forte contributo alla comprensione di fenomeni sociali come la parentela, il matrimonio, la famiglia, e la successione. Sulle variazioni che si possono avere al tema del vincolo tra coniugi (soggetti, effetti, modo di scelta del coniuge, clausole, struttura dell’atto, ed effetti) (p. 254), inoltre, si costruisce una branca importante del diritto costituzionale di famiglia, sempre più orientato al riconoscimento di forme di contratti matrimoniali differenziati e articolati in base alle latitudini geografiche e culturali [Sugli sviluppi giurisprudenziali più recenti, si rinvia ai post di T. Giovannetti e A. Romano].
L’incontro storico tra le forme di proprietà collettiva – che Sacco scompone in modo analitico evidenziandone gli elementi più reconditi (p. 267 ss) – e le concezioni proprietarie del censo, nell’evoluzione del suffragio nell’Africa australe, hanno dato vita a paradossi della rappresentanza. Lì dove i nativi erano esclusi formalmente, dalle regole del diritto positivo, all’accesso alla rappresentanza politica, l’istituto della proprietà collettiva contribuiva ad allargare il numero degli aventi diritto .. contro ogni previsione del legislatore coloniale!
Si percepisce dunque come “il diritto muta instancabilmente” e se il giurista vuole averne una visione dinamica, ha bisogno degli strumenti conoscitivi adatti, come quelli dello storico. La storia, tuttavia, ha una “storia” breve e viene fatta coincidere con la scoperta della scrittura, poiché si fonda in sede scientifica su documenti scritti. Di contro, “lo steccato che delimita preistoria e storia”, fondato sul “muro divisorio tra la scrittura e la non scrittura”, è inesistente per l’antropologia giuridica (p. 22). Eccola, dunque, l’intuizione di Sacco di tramandare l’antropologia giuridica: un’alchimia al confine tra il diritto e la storia.

 

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