La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, le extraordinary renditions, ed il diritto alla verità

Il 13 dicembre 2012 la Corte EDU ha pronunciato un’importante sentenza in materia di extraordinary renditions. Il caso, El-Masri c. Macedonia, concerneva un cittadino tedesco di origini libanesi, El-Masri, arrestato dalla polizia macedone su sospetto che fosse un terrorista e consegnato alla CIA che lo aveva segretamente trasferito in un black site in Afganistan al fine di sottoporlo ad interrogatorio. Dopo aver detenuto ed interrogat El-Masri per quattro mesi in condizioni indegne, la CIA si era resa conto di aver arrestato la persona sbagliata e lo aveva quindi riportato in Europa, abbandonandolo ai bordi di una strada in Albania. Al termine di questo incubo, El-Masri aveva avviato un procedimento per risarcimento danni dinnanzi alle corti federali USA. Su richiesta dell’Amministrazione Bush, tuttavia, il processo era stato cancellato in virtù del segreto di Stato. D’altro canto, i tentativi di avviere un procedimento penale in Macedonia si erano scontrati con il muro della complicità delle autorità locali.

Nella sua decisione, la Corte EDU condanna la Macedonia per violazione degli Articoli 3, 5, 8 e 13 della CEDU. A giudizio di Strasburgo, i trattamenti subiti da El-Masri durante la detenzione da parte delle autorità macedoni costituivano tortura e trattamento disumano e degradante ai sensi dell’Articolo 3. Inoltre, la Macedonia era responsabile per aver trasferito di El-Masri in custodia alla CIA nonostante vi fosse un rischio evidente che egli fosse sottoposto ad ulteriori trattamenti in violazione dell’Articolo 3. Allo stesso tempo, la Corte EDU ha ritenuto che, nel mancare al dovere di effettuare un’indagine sui fatti accaduti ad El-Masri, la Macedonia aveva violato l’obbligo procedurale previsto dall’Articolo 3 di indagare casi di tortura, ed altresì infranto il diritto ad un rimedio effettivo di cui all’Articolo 13. Per la Corte EDU, infine, la Macedonia aveva violato gli Articoli 5 e 8, per la detenzione arbitraria subita da El-Masri in Macedonia nonchè per la sua successiva cattività in Afghanistan.

La decisione della Corte EDU rappresenta un’importante vittoria per lo stato di diritto che pone fine all’impunità che sino ad ora aveva caratterizzato le pratiche di extraordinary renditions. Nei ricorsi giurisdizionali avviati a livello nazionale un’interpretazione estensiva del segreto di Stato aveva sostanzialmente impedito di vendicare i diritti fondamentali di persone come El-Masri. (Per una comparazione della giurisprudenza sul segreto di Stato negli USA nel caso El-Masri ed in Italia nel caso Abu Omar, si veda F. Fabbrini, Extraordinary Renditions and the State Secret Privilege, 2 It. J. Pub. L. 255 (2011)). La Corte EDU, invece, ha esercitato uno scrutinio rigoroso sulla condotta della Macedonia e l’ha ritenuta responsabile per gravi violazioni della CEDU. In aggiunta, la Corte EDU ha, seppure cautamente, affermato un rilevante principio: le vittime di gravi abusi e, più in generale, la società hanno un diritto alla verità, ovvero a venire informati delle gravi violazioni compiute dai governi nella lotta al terrorismo.

Se il riconoscimento di un diritto alla verità rappresenta un utile strumento per rafforzare l’accountability dei governi nel campo della sicurezza nazionale, la decisione della Corte EDU, tuttavia, lascia ancora delle questioni aperte. Per evidenti limiti giurisdizionali, infatti, la Corte non ha (nè avrebbe potuto) giudicare la responsabilità degli agenti CIA per l’extraordinary rendition di El-Masri. Nel rivelare dettagliatamente tutte le condotte lesive dell’intelligence USA, però, la decisione della Corte EDU offre supporto agli argomenti di coloro che negli USA, da tempo, invocano una Commissione d’inchiesta finalizzata a riconoscere gli abusi commessi nella “guerra al terrorismo” e a compensare adeguatamente chi, come El-Masri, di queste pratiche è stata vittima innocente. (Per un invito ad istitutire una Commissione d’inchiesta indipendente si veda sopratutto D. Cole, Getting Away With Torture, New York Review of Books, 16/12/2009).


L’Ungheria, i diritti fondamentali e l’Unione Europea: è tempo di attivare l’art. 7 TUE?

Il nuovo anno ha risvegliato in Europa timori che da tempo si speravano sopiti. Il 1° gennaio 2012 è entrata in vigore la nuova Costituzione ungherese con la quale il partito ultra-nazionalista Fidesz ha suggellato un anno di radicali riforme che hanno profondamente ridefinito l’assetto costituzionale e democratico della Repubblica Ungherese (da ora rinominata patriotticamente solo: Ungheria). Forte di una maggioranza parlamentare superiore ai 2/3, nel corso del 2011 il partito di governo ha adottato una serie di misure legislative – dall’istituzione di un’Autorità governativa incaricata di regolare l’attività dei media, alla modifica in senso puramente politico dei criteri di nomina della Corte Costituzionale, sino alla definizione con legge modificabile solo a maggioranza dei 2/3 delle circoscrizioni elettorali in modo da assicurare un perdurante dominio elettorale al partito di governo – che da più voci sono state definite liberticide (si vedano tra l’altro i commenti di Katalin Kelemen su questo sito nonché l’analitica ricostruzione di K. Kovács & A. Tóth, “Hungary’s Constitutional Transformation”, 7 European Constitutional Law Review (2011), 183). In un rapporto adottato dall’Adunanza Plenaria il 17-18 giugno 2011, la Commissione di Venezia ha espresso la propria disapprovazione per il processo di adozione della nuova Costituzione ungherese e per molti dei suoi contenuti (vedi: http://www.venice.coe.int/docs/2011/CDL-AD%282011%29016-E.pdf) ed il 23 dicembre 2011, il Segretario di Stato USA H. Clinton ha manifestato “significant and well-founded concerns” per la tenuta della democrazia in Ungheria (come riportato dal New York Times il 31 dicembre 2011. vedi: http://www.nytimes.com/2011/12/31/business/global/hungary-passes-central-bank-rules-despite-risk-to-bailout.html?_r=1&scp=1&sq=clinton%20hungary&st=cse) . Di fronte a questa drammatica situazione il continuo silenzio delle istituzioni dell’UE comincia a diventare sempre più assordante.

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La Corte di Strasburgo ed il diritto all’aborto tra Art. 8 e Art. 3 CEDU

A pochi mesi di distanza dalla decisione della Gran Camera nel caso A. B. & C. v. Ireland (sulla quale vedi il post di Giorgio Repetto su diritticomparati), il 26 maggio 2011 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Quarta Sezione) è ritornata sul tema del diritto all’aborto e della compatibilità con la CEDU di regolamentazioni nazionali che restringono de jure o de facto la libertà della donna di ottenere un’interruzione volontaria di gravidanza.

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La Corte Suprema USA, tra criminalizzazione del supporto al terrorismo e freedom of speech

In una recente decisione dell’estate 2010, Holder v. Humanitarian Law Project, 561 U.S. __ (2010), la Corte Suprema degli USA si è pronunciata per la prima volta sulla costituzionalità di misure anti-terrorismo limitative della libertà di manifestazione del pensiero. Oggetto del ricorso era il cd. Material Support Statute, U.S.C. §2339A, una disposizione federale che criminalizza il supporto materiale ad organizzazioni terroristiche straniere designate dal Segretario di Stato anche laddove tale supporto si manifesti esclusivamente sottoforma di speech. Nello specifico, Humanitarian Law Project, una ONG operante nel campo della tutela dei diritti umani, lamentava una violazione del I emendamento della Costituzione USA per l’impossibilità di assistere i Tamil dello Sri Lanka in varie attività umanitarie (tra cui la preparazione di petizioni all’ONU) in quanto l’organizzazione in questione era stata appunto inserita nella lista delle organizzazioni terroristiche straniere. Tuttavia, con una controversa decisione, adottata a maggioranza di 6 voti contro 3, la Corte Suprema ha riconosciuto la compatibilità della misura in questione con la libertà di manifestazione del pensiero.

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La guerre des juges franco-europea (Atto IV e Epilogo)

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ATTO IV: Il 29 giugno 2010 la Cassazione francese ha rapidamente tratto le proprie conclusioni dalla pronuncia della CGE comunicando la sua decisione definitiva (arrêt n° 12132) sulla domanda pregiudiziale originariamente sollevata dal Tribunale di grande istanza di Lille. La Cassazione, dopo aver ripetuto il dispositivo della sentenza Melki, ha rilevato che laddove una disposizione legislativa sia sospettata di essere contestualmente in contrasto sia con la Costituzione che con il diritto dell’UE, spetta ai giudici comuni adottare le misure necessarie ad assicurare la protezione giurisdizionale dei diritti conferiti dall’ordine giuridico dell’UE.

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La guerre des juges franco-europea (Atto III)

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ATTO III: Il 22 giugno 2010 la CGE, con un’attesa decisione in Gran Camera (Melki (C-188/10 & C-189/10)), ha risposto alle questioni pregiudiziali sollevate dalla Cassazione francese e riaffermato con chiarezza i principi fondamentali sui quali si regge l’architettura dell’UE. Dopo aver ribadito l’importanza dell’art. 267 TFUE quale meccanismo di raccordo con i giudici nazionali, richiamato la sua giurisprudenza Simmenthal (C-70/77 [1978]) e riaffermato l’obbligo per i giudici nazionali di sollevare rinvio pregiudiziale in caso di dubbio di validità o interpretazione del diritto UE; la CGE ha statuito che il diritto UE si oppone ad una legislazione nazionale che introduce una procedura incidentale di controllo di costituzionalità delle leggi nella misura in cui il carattere prioritario di tale procedura ha l’effetto di impedire ai giudici nazionali di assicurare immediatamente l’efficacia del diritto UE o di adire in via pregiudiziale la CGE. Ammettendo i rilievi del governo francese – che basava la difesa della Loi organique sull’interpretazione che di essa aveva fornito il Consiglio Costituzionale nella Décision 2010-605 DC – tuttavia, la CGE non si è pronunciata in concreto sulla compatibilità con il diritto UE del modello di giustizia costituzionale francese, e ha invece invitato lo stesso giudice rimettente a verificare se la legge francese consente in effetti ai giudici comuni di adire la CGE, di garantire l’efficacia provvisoria del diritto UE e di disapplicare l’eventuale diritto nazionale con esso in contrasto. Con il che, la parola ritorna ora alla Cassazione…

 


La guerre des juges franco-europea (Atto II)

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Atto II: Il 12 maggio 2010, infatti, il Consiglio Costituzionale, investito di una questione di legittimità costituzionale in via preventiva, ha colto l’occasione con la Décision 2010-605 DC per replicare agli argomenti della Cassazione e per sottolineare la piena compatibilità del nuovo sistema di giustizia costituzionale francese con il diritto comunitario. Dopo aver ribadito, come da antica giurisprudenza (cfr. IVG (Décision 74-54 DC)), che non spetta allo strumento del controllo di costituzionalità garantire la compatibilità tra le leggi e le norme europee e internazionali, il Consiglio Costituzionale ha infatti affermato che la nuova legge organica sulla questione prioritaria di costituzionalità non impedisce ai giudici ordinari ed amministrativi di adempiere agli obblighi derivanti dal diritto sovranazionale: secondo il Consiglio, resta quindi aperta la possibilità per i giudici comuni di disapplicare autonomamente e subito una norma nazionale in contrasto con il diritto dell’UE; e la natura prioritaria della questione di costituzionalità non ostacola i giudici comuni dal sollevare contestualmente anche rinvio pregiudiziale alla CGE. Sebbene questo ultimo argomento non paia convincente, per gli evidenti rischi di conflitto tra giudicati al quale potrebbe dare adito, l’interpretazione del Consiglio de facto neutralizza tout court i problemi – evidenziati dalla Cassazione – nascenti dalla natura asseritamente prioritaria del controllo di costituzionalità. Così, forse, il Consiglio fornisce alla CGE una possibile via d’uscita dal campo minato...

 


La guerre des juges franco-europea (Prologo e Atto I)

PROLOGO: Il 1° marzo 2010 è entrata in vigore in Francia Loi organique n° 2009-1523 di attuazione del nuovo art. 61-1 della Costituzione, introdotto nella Carta della V Repubblica dalla revisione costituzionale del 2008. Per effetto di tale riforma, che rappresenta una rilevante cesura con la tradizione costituzionale di ispirazione giacobina, oggi i giudici ordinari ed amministrativi francesi possono finalmente sollevare dinnanzi al Consiglio Costituzionale questione di legittimità costituzionale di una legge approvata dall’organo che esprime la volontà generale, laddove essi dubitino che un tale atto sia compatibile con i diritti e le libertà garantite dalla Costituzione. Il nuovo modello di giustizia costituzionale francese prevede tuttavia che il potere di adire il Consiglio Costituzionale spetti in via diretta solo alla Cassazione e al Consiglio di Stato; i giudici di I e II grado debbono invece adire la Corte Suprema del rispettivo ordine, la quale valuta i requisiti di ammissibilità per poter trasmettere la questione al Consiglio Costituzionale. In aggiunta, la legge organica ha stabilito che il controllo di costituzionalità deve esercitarsi prioritariamente al controllo di compatibilità tra la legge ed i trattati internazionali (che nell’ordinamento francese hanno rango supra-legislativo). E’ in questo innovativo contesto, che vanno analizzate una serie di ravvicinate pronunce delle supreme giurisdizioni francesi ed europee, che verranno di seguito descritte a mò di atti d’opera (lasciando al lettore decidere se si tratti di tragedia o di commedia…)

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Cosa vuole dire essere un cittadino europeo?

Il 2 marzo 2010 la Corte di giustizia europea (CGE) si è pronunciata nella causa C- 135/08, Janko Rottmann c. Freistaat Bayern. La sentenza rappresenta un’importante decisione in materia di cittadinanza europea. Nondimeno essa contiene diversi profili critici in ragione dell’atteggiamento prudente con il quale la CGE ha affrontato l’ipotesi della de-naturalizzazione di un cittadino europeo da parte di uno Stato membro. Il sign. Rottmann era per nascita cittadino austriaco. Negli anni ’90 si trasferiva in Germania ed otteneva la nazionalità tedesca, perdendo automaticamente quella austriaca. Durante il processo di naturalizzazione, tuttavia, egli ometteva di menzionare il fatto di essere stato sottoposto a procedimento penale in Austria. Venuta a conoscenza di ciò, l’amministrazione tedesca revocava al sign. Rottmann la concessione della cittadinanza rendendolo apolide. Egli agiva quindi in giudizio lamentando la revoca della propria cittadinanza tedesca da parte del Land della Baviera e soprattutto la perdita dello status di cittadino europeo.
La CGE, tuttavia, ha rinunciato a sindacare la legittimità della revoca della cittadinanza disposta dalle autorità amministrative tedesche, riconoscendone in principio l’ammissibilità e delegando ai giudici nazionali il compito di verificare la proporzionalità della misura disposta nei confronti del sign. Rottmann. La sentenza Rottmann costituisce quindi un occasione mancata per stabilire una maggiore autonomia della cittadinanza europea rispetto alla cittadinanza nazionale, parzialmente in contrasto con le più recenti riforme introdotte dal Trattato di Lisbona. I nuovi artt. 9 TUE e 20 TFUE stabiliscono infatti che la “cittadinanza europea si aggiunge alla cittadinanza nazionale” (e non più, come prevedeva l’art. 17 TCE, che la “cittadinanza europea è complementare alla cittadinanza nazionale”): ciò significa che un domani la cittadinanza europea potrebbe esistere anche in assenza di una cittadinanza nazionale. Per effetto della sentenza Rottmann, invece, la cittadinanza statale rimane saldamente primaria e lo status di civis europeus si perde nell’ombra…