La Convención UNESCO sobre diversidad cultural y la OMC: ¿ conflicto o complementariedad?

El 20 de octubre de 2005 la Conferencia General de la UNESCO adoptó la Convención sobre la protección y promoción de la diversidad de las expresiones culturales, que entró en vigor el 18 de marzo de 2007. Es claro desde el principio que un convenio internacional que intenta, inter alia, proteger las culturas incluso en contra de los intereses económicos y comerciales irá a enfrentarse con la institución cuyo papel es precisamente el de asegurar tales intereses, o sea la Organización Mundial del Comercio, creada en 1994 tras la Ronda Uruguay y cuyo texto fundamental es el Acuerdo de Marrakech, el Acuerdo General sobre aranceles aduaneros y comercio (AGAAC, más conocido por su acrónimo inglés, GATT) y los otros textos anexos.
En el preámbulo de la Convención UNESCO no se menciona ningún instrumento de la OMC, sólo hay una referencia al doble carácter que se reconoce a la noción de cultura: “Persuadida de que las actividades, los bienes y los servicios culturales son de índole a la vez económica y cultural, porque son portadores de identidades, valores y significados, y por consiguiente no deben tratarse como si sólo tuviesen un valor comercial”. Probablemente, habría sido recomendable incluir una cláusula que tratara directamente la relación con la OMC, para proporcionar coherencia en este respecto.
Es previsible que los conflictos con otro regímenes internacionales serán determinados especialmente en virtud del alcance muy amplio de la Convención.

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Once you tweet, there’s no more privacy

When you use Twitter, your comments are public and can be reported by newspapers without your consent. This is what the UK Press Complaints Commission decided in the cases Ms Sarah Baskerville v Daily Mail and Ms Sarah Baskerville v The Independent on Sunday on 8 February 2011.

The Commission is an independent body which administers the system of self-regulation for the press. It was established after the public outcry provoked by the disregard of the basic ethics of journalism by several publications in the 1980s. Instead of a legislative intervention, it was agreed that national and regional editors would write a formal Code of Practice. The latter was adopted in January 1991. Editors’ voluntary adhesion is thus the basis for the Commission’s mandate.

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Non è un'Unione per principi. Il caso Sayn-Wittgenstein

Una legge costituzionale sull'eguaglianza formale giustifica la limitazione del diritto alla libera circolazione. Questo il responso che ha dato la Corte di Giustizia nell’affaire “Sayn-Wittgenstein” (C-208/09), deciso il 22 dicembre 2010.
I fatti, in breve. La ricorrente nel giudizio principale è un’austriaca, adottata da un cittadino tedesco. Con un'ordinanza del 1992, il Kreisgericht Worbis tedesco ha dichiarato l'acquisto del nome “Ilonka Fürstin von Sayn Wittgenstein”, visto che l'adottante aveva come parte del cognome Fürst, ovvero “principe”. La signora ha portato da allora questo cognome con titolo nobiliare annesso e si è occupata di compravendite di castelli e manieri di lusso in Germania e altrove, mantenendo sempre la cittadinanza austriaca. Nel 2003 il Verfassungsgerichtshof, la Corte costituzionale d'Austria, in un caso molto simile a quello in esame, ha dichiarato che la legge relativa all’abolizione della nobiltà, degli ordini secolari di cavalieri e dame e di determinati titoli e dignità, una legge di rango costituzionale del 1919, impedisce ai cittadini della Repubblica di integrare titoli nobiliari nel proprio cognome come risultato dell'adozione da parte di un tedesco. Pertanto, lo stato civile austriaco ha proceduto a rettificare il cognome della ricorrente, che era stato modificato a seguito dell'adozione, in «Sayn Wittgenstein». Il ricorso contro questa rettifica è giunto sino alla Corte di giustizia amministrativa di Vienna. Il Verwaltungsgerichtshof ha quindi domandato alla Corte di Giustizia se l'art. 21 TFUE “osti ad una normativa in base alla quale le autorità competenti di uno Stato membro possono rifiutare di riconoscere un cognome – in quanto contenente un titolo nobiliare non ammesso in tale Stato (anche sotto il profilo giuridico costituzionale) – che sia stato attribuito in un altro Stato membro ad un figlio adottivo (adulto)”.

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