Il parere 2/13 della Corte di giustizia sull’adesione dell’Unione europea alla CEDU: questo matrimonio non s’ha da fare? (1)

Il parere 2/13 della Corte di giustizia è stato pubblicato il 18 dicembre 2014 suscitando da subito accese reazioni in dottrina[2]. Pur non potendo conoscere la presa di posizione dell’avvocato generale Kokott, la quale, pur essendo stata adottata il 13 giugno 2014, non è stata resa pubblica fino alla data del parere, da più parti si immaginava che la Corte avrebbe adottato un approccio simile a questa, ovvero che avrebbe pronunciato un sostanziale consenso all’adesione, evidenziando al tempo stesso i punti critici del progetto di accordo.

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L’istituto della mediazione nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo

Come descritto in un precedente post su questo blog, l’istituto della mediazione recentemente introdotto dalla legislazione italiana è stato recentemente sottoposto al vaglio della Corte di giustizia nell’ambito di due rinvii pregiudiziali. In tale occasione, i giudici italiani hanno richiesto alla Corte l’interpretazione della Direttiva 2008/52 dalla cui attuazione trae origine il neo- introdotto istituto, al fine di verificare la corretta trasposizione da parte del legislatore italiano ed ottenere lumi sulla compatibilità della normativa nazionale con i principi dell’equo processo.

A questo proposito, tuttavia, per comprendere tutti i profili di criticità dell’istituto della mediazione in relazione al diritto di difesa occorre verificare anche la presenza di pronunce in temada parte della Corte di Strasburgo, punto di riferimento imprescindibile per tutti gli Stati europei. Il tema della compatibilità dei sistemi alternativi di risoluzione delle controversie con i principi dell’equo processo non è, infatti, nuovo per la Corte e da tale giurisprudenza possono essere tratti validi spunti per la riflessione sull’istituto della mediazione recentemente introdotto in Italia con il D. Lgs. 28/2010.

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Mediazione ed equo processo

L’istituto della mediazione recentemente introdotto in Italia dal D. Lgs. 28/2010 ha suscitato un dibattito nel mondo forense tanto ampio da travalicare le frontiere nazionali.

Come è noto, il D. Lgs. 28/2010 è stato emanato sulla base della Legge Delega 69/2009 in attuazione della Direttiva 2008/52 relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale (consultabile qui).

Tale decreto legislativo introduce, in particolare, la procedura di mediazione obbligatoria: in determinate materie[1], infatti, il previo esperimento di tale procedimento è condizione di procedibilità e, di conseguenza, le parti hanno l’obbligo di effettuare un tentativo di conciliazione presso gli appositi organi di mediazione prima di instaurare il giudizio.

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La lotta al turismo della droga prevale sulla libertà di prestazione di servizi

Il 16 dicembre 2010 la Corte di giustizia ha pronunciato la tanto attesa sentenza Josemans  di cui si era già discusso in questo blog. La questione riguardava la compatibilità con il diritto dell’Unione europea della regolamentazione del Comune di Maastricht che vieta l’accesso ai coffeshop ai non residenti in Olanda. In particolare, ci si chiedeva se tale normativa non fosse contrastante con la libera circolazione delle merci o la libera prestazione di servizi oppure con il principio di non discriminazione in base alla nazionalità.

La Corte esamina la questione sulla base dell’attività svolta nei coffeeshop e considera separatamente l’attività di commercializzazione di cannabis rispetto a quella di vendita di cibi e bevande, riformulando la questione così come era stata sottoposta dal giudice del rinvio. Per quanto riguarda la prima attività, la Corte considera che nessuna disposizione del diritto dell’Unione può essere invocata per opporsi al divieto nazionale, in quanto l’importazione e la commercializzazione degli stupefacenti è vietata in tutti gli Stati membri (salvo che si tratti di stupefacenti circolanti nel circuito rigorosamente sorvegliato dalle competenti autorità in vista dell’uso per scopi medici o scientifici). La circostanza che l’Olanda applichi in tema una politica di tolleranza non elimina il fatto che si tratti di un’attività vietata: nessuna libertà di circolazione può, dunque, essere invocata per una merce o un servizio proibiti nell’Unione europea.

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La delimitazione del legal privilege nell’ordinamento dell’Unione europea: il “peso” della comparazione

Con sentenza resa il 14 settembre 2010 nel caso Akzo Nobel, la Corte di giustizia ha fornito una nuova chiarificazione circa i limiti che l’ordinamento dell’Unione europea riconosce al legal privilege nell’ambito dei procedimenti antitrust.

Nell’ordinamento dell’Unione, il legal privilege assume il rango di principio generale in virtù del quale, nell’ambito dei procedimenti di indagine svolti ai sensi del Regolamento n. 1/2003/CE, le comunicazioni tra avvocato indipendente e impresa, finalizzate all’esercizio del diritto di difesa, sono coperte da segretezza così come affermato dalla Corte nella sentenza AM&S del 1982. Tale principio è espressione del bilanciamento tra diritto alla riservatezza e diritto di difesa delle imprese, da un lato, ed esigenze di tutela della concorrenza, cui tendono le indagini delle autorità antitrust, dall’altro. Come ricordato dall’avvocato generale Kokott nelle conclusioni rese nella causa in commento, il legal privilege è riconosciuto in tutti gli ordinamenti degli Stati europei, in virtù di un’espressa disposizione legislativa o di un orientamento giurisprudenziale, sebbene la portata ed i criteri per la sua applicazione varino secondo le diverse discipline nazionali.

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Il caso Pititto: un nuovo caso di superamento del giudicato in adempimento dell’obbligo di conformarsi alle sentenze della Corte di Strasburgo

La recente pronuncia della Corte d’Appello di Milano nel caso Pititto ( Corte d’appello di Milano, IV sez. pen., depositata il 15 giugno 2010) ha segnato un nuovo capitolo nella questione dell’incidenza delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo sul giudicato in Italia. La Corte d’Appello, infatti, di fronte all’accertamento da parte della Corte di Strasburgo della violazione dei diritti della difesa nell’ambito di un processo nazionale, ha rimesso nei termini il ricorrente per impugnare la sentenza che lo condannava a 21 anni di carcere e a 100 milioni di multa per traffico di stupefacenti, a seguito del processo iniquo, ed ha concluso per l’ annullamento di tale pronuncia ai sensi dell’art. 604, comma 4, c.p.p.
Come è noto è da tempo emersa nell’ordinamento italiano la tensione tra la necessità del rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea e degli altri obblighi internazionali e la tutela del giudicato nazionale.

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I limiti del legal privilege di nuovo in discussione presso la Corte di giustizia

La Corte di giustizia in passato si è più volte pronunciata sul c.d. legal privilege, ovvero sulla tutela del segreto professionale dell’avvocato, principio giuridico generale avente il rango di diritto fondamentale. In particolare, sono state enucleate le condizioni in virtù delle quali le comunicazioni tra impresa e avvocati sono coperte da segreto ed è stato sancito che la corrispondenza deve essere scambiata nell’ambito e nell’interesse dei diritti della difesa del cliente e deve provenire da avvocati indipendenti.

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Diritto dell'Unione europea e coffee shops

 

È attualmente pendente davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea una causa pregiudiziale relativa al principio di non discriminazione in base allanazionalità che desta particolare curiosità per la tematica in oggetto (C-137/09, Josemans).

 

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