Si chiude un ciclo costituente in Cile

Il 17 dicembre scorso, per la seconda volta negli ultimi quindici mesi, i Cileni hanno rigettato, con una maggioranza del 55,7%, un testo costituzionale, proposto dal Consejo Constitucional. Il 4 settembre del 2022 avevano votato contro un altro testo con una maggioranza ancora maggiore, pari al 61,82%.  Si tratta di un risultato assolutamente inedito, sia per la vicinanza delle due votazioni sia per le peculiarità dei processi costituenti, che non a caso sono stati forieri di riflessione e ispirazione fuori dai confini nazionali.
Riflettendo su quali possano essere state le ragioni del rigetto, vanno presi in considerazione, in maniera sinottica rispetto ai due processi, fattori diversi, che vanno dalle difficoltà strutturali ai conflitti politici, fino ad aspetti specifici delle due proposte (sia con riferimento al dato testuale sia – soprattutto – con riferimento alla proiezione mediatica).
Il processo costituente iniziato nel 2019, che aveva destato enorme interesse nella dottrina straniera e in particolare italiana (come dimostrato, tra l’altro, dalla creazione di un apposito osservatorio e dalla pubblicazione di numerosi contributi su diverse riviste), era scaturito da proteste e manifestazioni canalizzate poi nel c.d. Acuerdo por la Paz Social y la Nueva Constitución. Tale accordo, sottoscritto il 15 novembre 2019 dalla quasi totalità dei partiti politici rappresentati in Parlamento, mirava alla redazione di una nuova carta fondamentale che sostituisse quella risalente al 1980, adottata durante la dittatura di Pinochet. Il popolo era stato convocato a votare in un primo plebiscito “di partenza”, che aveva fatto registrare un alto consenso per la alternativa “apruebo” a favore della redazione di un nuovo testo costituzionale, per la prima volta da parte di un organo elettivo e paritario. I lavori della Convención Constitucional erano stati accompagnati, tuttavia, da un clima di progressivo scetticismo e mancanza di immedesimazione. A questo proposito, vale la pena di ricordare, però, che il quorum di partecipazione raggiunto nel citato plebiscito era stato solo del 51% degli aventi diritto al voto.
Tra gli elementi di institutional design che hanno inciso negativamente, spicca la frammentazione dovuta alla presenza di una quota di oltre due terzi di convencionales indipendenti. La presentazione di candidature indipendenti era un’opportunità, eccezionalmente prevista per l’elezione della Convención, che chiaramente rispondeva alla ratio delle proteste del 2019 e alla mancanza di fiducia nei partiti tradizionali, ma che aveva finito per restituire un’immagine complessiva di disorganizzazione e assenza di leadership.
La possibilità di approvare le proposte all’interno delle otto commissioni della Convención a maggioranza semplice aveva portato al successo di opzioni radicali, poi spesso rigettate dal Plenum (che doveva approvarle con la maggioranza dei 2/3) ma comunque presenti nel dibattito pubblico e discrasiche rispetto alla visione conservatrice prevalente nel paese. La sovrarappresentazione della sinistra (66%) nella Convención e la sottorappresentazione della destra (24%), discordanti rispetto alle preferenze partitiche della popolazione, avevano dato adito, insomma, a un testo così progressista da rasentare l’utopia. La norma relativa ai 2/3, infatti, non aveva arginato derive ideologiche anche su temi sensibili com aborto o fine vita, sui quali le forze conservatrici non erano state coinvolte.
Lo stesso art. 1, ai sensi del quale “Chile  [sarebbe diventato] un  Estado  social  y  democrático  de  derecho.  Es plurinacional, intercultural, regional y ecológico”, rifletteva sensibilità e orientamenti ideologici minoritari, nel quali si riverberavano rivendicazioni identitarie, pur apprezzabili, legate alla plurinazionalità, l’ambiente, il decentramento, il genere, il caring state, etc. Gli stravolgimenti delle fondamenta della costituzione vigente, dovuti al marcato carattere programmatico e massimalista del testo proposto nel 2022, raramente avevano ingenerato fenomeni di immedesimazione, né avevano risposto davvero alle idiosincrasie diffuse. La logica binaria del referendum (approvo/rigetto), a sua volta, aveva polarizzato il voto su un testo del quale è stata giustamente sottolineata la “construcción caleidoscópica [que] tiene el valor de la suma de intereses, pero por sí misma no representa el universo global de una propuesta constitucional”.
Il voto del 2022 non aveva portato, però, a una chiusura definitiva del ciclo costituente, giacché a dicembre era stato firmato il c.d. Acuerdo Por Chile, finalizzato a un nuovo processo costituente. Tale accordo faceva tesoro della recente esperienza e, pur prevedendo di nuovo un organo elettivo paritario, definiva dodici bases constitucionales sul cui rispetto vegliava un organo nuovo, il Comité Técnico de Admisibilidad. Al contempo, alla mancanza di expertise di cui erano stati accusati i convencionales indipendenti si sopperiva con una Comisión Experta. Quest’ultima, composta da esperti che rappresentavano tutti i partiti presenti in Parlamento, ha redatto un anteproyecto che è stato poi stravolto dal Consejo Constitucional (con buona pace dello straordinario accordo trasversale raggiunto nella Commissione).
Diversamente da quanto avvenuto in precedenza, questo processo è stato caratterizzato dall’indifferenza della maggior parte della popolazione e da un risultato tutt’altro che progressista, in linea di continuità con la costituzione del 1980 (se non persino più esplicitamente conservatore, con riguardo ad es. al ruolo sussidiario dello Stato in merito ai diritti sociali). Questo effetto è dovuto stavolta alla sovrarappresentazione delle forze di destra nel Consejo Constitucional (30 membri su 50), che da sole disponevano della maggioranza dei 3/5 necessaria per l’approvazione delle norme. Di nuovo si è raggiunto un testo massimalista e di parte.
Se si aggiunge a questi due processi il tentativo di riforma della Presidente Bachelet (2015-2018), nell’ultimo decennio il Cile ha vissuto (invano) due accordi politici volti alla sostituzione della costituzione del 1980 (Por la Paz Social y la Nueva Constitución, 2019; e Por Chile, 2022); tre processi costituenti e quattro diverse proposte. Di positivo c’è stata sicuramente l’opportunità di sperimentare processi istituzionali, democratici, partecipativi e inclusivi di cambio costituzionale. Per la prima volta in democrazia, il paese si è interrogato sulla propria storia (costituzionale), sul suo patto politico, sociale e intergenerazionale.
Nei tre processi costituenti – se si annovera anche quello della Presidente Bachelet tra il 2015 e il 2018 –, la partecipazione è stata straordinaria: migliaia di cittadini si sono espresse in assemblee e iniziative popolari di varia natura. Negli ultimi due processi, gli organi costituiti ad hoc sono stati composti in modo paritario tra uomini e donne (per la prima volta al mondo), con una quota riservata ai popoli indigeni.
Nonostante questi elementi certamente all’avanguardia e al di là delle questioni tecniche che abbiamo brevemente ricordato, ciò che ha portato al rigetto dei due testi costituzionali è stata l’assenza di un accordo ampio e inclusivo, di quel “compromesso costituzionale” così caro alla dottrina italiana, che è stata percepita come incompetenza dei costituenti e/o mancanza di volontà di negoziare (ed eventualmente cedere) per raggiungere un testo in cui almeno la maggioranza potesse riconoscersi.
Dopo il 17 dicembre si può considerare terminato il ciclo costituente volto al superamento della carta fondamentale del 1980 attraverso meccanismi partecipativi. Nel prossimo futuro pare più probabile che queste modifiche vengano canalizzate attraverso l’attività parlamentare, con riforme costituzionali che, a seguito di una modifica del 2022 postulano solo l’approvazione da parte dei 4/7 (non più 3/5 o 2/3) dei deputati e dei senatori in carica. In base ai dibattiti attuali, è prevedibile che un primo tentativo di riforma costituzionale riguardi il sistema politico, stante l’opinione relativamente condivisa della necessità di ridurre la frammentazione partitica. Anche il sistema pensionistico potrebbe essere oggetto di riforme, così come un nuovo patto fiscale per la crescita economica. Più dubbio l’esito di eventuali proposte in merito ai diritti sociali, dalla salute all’istruzione alla casa.
Per concludere, va ricordato che l’approvazione di una nuova costituzione presenta elementi normativi, sociali, ma soprattutto politici. Quando una simile iniziativa viene portata avanti in un contesto di politica democratica altamente competitiva, a fronte di una società divisa come quella cilena, essa necessita di negoziati, accordi, compromessi e concessioni. Senza un accordo politico previo, difficilmente la maggioranza dei cittadini si identificherà con il testo e lo ratificherà.


Il complesso (ma sempre più globale) cammino dei diritti degli omosessuali: segnalazione del volume di Angioletta Sperti, “Omosessualità e diritti. I percorsi giurisprudenziali ed il dialogo globale delle Corti costituzionali”, Pisa, PLUS, 2013

Il recente volume di Angioletta Sperti affronta uno dei temi caldi del costituzionalismo comparato, su cui negli ultimi anni – a fronte, spesso, del mutismo dei legislatori – si sono succeduti contributi giurisprudenziali e dottrinali: i diritti degli omosessuali.

Già dal titolo si inferisce chiaramente il taglio del lavoro, in cui ci si prefigge di ricostruire gli argomenti usati dalle Corti costituzionali, supreme e sovranazionali nel percorso di progressiva tutela dell’omosessualità e, poi, delle coppie composte da persone dello stesso sesso.

Le questioni che vengono in rilievo, e che l’autrice affronta con accuratezza rispetto a ciascuna delle giurisdizioni analizzate, affondano le proprie radici nel diritto costituzionale più puro: emergono, infatti, il principio di uguaglianza, il divieto di discriminazione, la dignità, il diritto alla privacy, lo sviluppo pieno della personalità e dell’identità.

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