Corti e diritti culturali. Lezione n. 2 dal Sudafrica

La redazione degli articoli riferiti ai c.d. “diritti culturali” nella Costituzione sudafricana del 1996 ha subito una forte influenza da parte del diritto internazionale. Propriamente parlando, si fa riferimento agli articoli 15 (libertà di religione), 29 (diritto all’istruzione), 30 (lingua e cultura), 31 (diritti della comunità culturali, linguistiche e religiose).
In particolare, l’articolo 31 della Costituzione “Persons belonging to a cultural, religious or linguistic community may not be denied the right, with other members of that community to enjoy their culture, practise their language; and to form, join and maintain cultural, religious and linguistic associations and other organs of civil society” riprende l’articolo 27 del Patto sui diritti civili e politici: “In those States in which ethnic, religious or linguistic minorities exist, persons belong to such minorities shall not be denied the right, in community with the other members of their group, to enjoy their own culture, to profess and practice their own religion, or to use their own language” … se non fosse per alcune piccole differenze …
La sostituzione del lemma “etnico” dell’articolo 27 del Patto con il lemma “culturale” contribuisce a promuovere uno spirito del tutto diverso.

Come ha osservato attenta dottrina, piuttosto che riconoscere “legami di sangue” che derivano dal sentimento della comune appartenenza, la Costituzione protegge e promuove “legami di affinità”, ossia quelle associazioni di individui legati della comunanza linguistica e dei costumi, rigorosamente su base volontaristica. Invece di riconoscere “i diritti delle minoranze”, che avrebbero suggerito l’idea di una popolazione divisa, frammentata e arroccata su posizioni difensive, la nuova formula costituzionale protegge il valore delle associazioni di individui e dell’affinità culturale [I. Currie, Minority Rights: Education, Culture, and Language, in A. Chaskalson et al., a cura di, Constitutional Law of South Africa, Juta, Cape Town, 1999].
Sulla scia di tale impostazione, la Corte costituzionale ha riconosciuto e codificato il “diritto ad essere diversi” (the right to be different) come corollario del principio dell’autonomia personale e del diritto a praticare la propria cultura, lingua e religione. Come esplicita la Corte in un passaggio memorabile: le numerose disposizioni relative alla protezione dei diritti dei membri di una comunità sottolineano la predisposizione costituzionale al riconoscimento della diversità e del pluralismo nella società sudafricana. Nel loro insieme, riconoscono i diritti delle persone di esprimere loro stessi senza essere costretti a sottomettersi alle norme culturali e religiose di altri, e mette in evidenza l’importanza per i singoli e per le comunità di poter godere di quello che viene definito “il diritto ad essere diversi” [Christian Education South Africa v. Minister of Education, Case n. CCT 4/00 del 18 agosto 2000]
Ben più complicato è delimitare il significato del concetto di cultura e definire il contenuto della sua manifestazione. Nell’ottobre 2007 la Corte ha accolto il ricorso di una studentessa di origine indiana cui era stato impedito di portare il brillantino al naso durante l’orario scolastico nel rispetto della divisa della scuola. I termini della controversia riguardavano il diritto di non-discriminazione della studentessa per l’origine e la religione, e il diritto della stessa di esprimere la propria cultura e praticare la religione, secondo l’articolo 31 CRSA. Il problema era quello di stabilire se la pratica del brillantino al naso fosse conforme alla religione e cultura indiana Tamil, e se la convenuta mostrasse sincera e volontaria adesione a tale pratica.
“Per quanto la giurisprudenza straniera (foreign jurisprudence) possa essere utile, deve essere accuratamente esaminato il contesto entro cui la particolare pronuncia è stata emessa”. Così la Corte ha ristretto il margine di utilizzo, previsto all’articolo 39 della Costituzione sudafricana del foreign law di fronte alla nozione di “gruppo etnico” definito nella celebre sentenza Mandla del 1983 della House of Lords.
Le convinzioni culturali sono ancora più profonde nei contesti in cui l’individuo vive di un forte legame di appartenenza con la comunità. “Una persona è tale attraverso le altre persone”, come ha ricordato la Corte, riprendendo i capisaldi della filosofia africana. Così l’identità culturale è uno delle parti più importanti dell’identità di una persona perché origina dall’appartenenza ad una comunità. La Corte, inoltre, ha specificato che le culture sono fondate su base associativa e per tale ragione non si possono considerare monolitiche e ipostatizzate nel tempo e nello spazio.
Per quanto breve il periodo della giornata in cui Sunaly Pillay era obbligata a rimuovere l’orecchino dal naso, tale regola dava il preciso segnale che la sua religione e le sue origini culturali non erano ben volute all’interno della scuola. Certificando la presenza di un trattamento differenziale illegittimo e non fondato, la Corte ha ritenuto che chiedere alla scuola di ammettere l’orecchino al naso, sarebbe stato un ragionevole adattamento alla pluralità delle pratiche religiose e culturali del Sudafrica [MEC for Education KwaZulu-Natal v. Pillay, Case n. CCT 51/06].