Figli di haitiani in transito? Note sui recenti sviluppi in materia di cittadinanza nella repubblica dominicana

La decisione resa recentemente dal Tribunale costituzionale della Repubblica dominicana (sentenza TC/0168/13) in materia di cittadinanza merita alcune considerazioni perché tocca aspetti fondamentali per il funzionamento di qualsiasi società democratica. In particolare, l’analisi della sentenza ci porterà ad approfondire due elementi: il significato e la funzione della cittadinanza e gli strumenti di garanzia dei diritti fondamentali.

Partiamo dai fatti: Juliana Dequis Pierre, cittadina dominicana nata nel 1984 da genitori haitiani, lavoratori migranti, si reca all’ufficio anagrafe della sua città per ottenere il documento di identità ed elettorale. L’ufficio, tuttavia, riscontrando che la sua registrazione come cittadina dominicana è avvenuta, alla nascita, in modo irregolare, non rilascia il documento richiesto, costringendo la donna in uno “stato di indefinitezza”. A nulla serve il ricorso presentato al Tribunale di primo grado di Monte Plata, respinto per motivi formali, né quello sollevato dinanzi al Tribunale costituzionale, dove non soltanto la donna non vede riconosciuto il suo diritto ad ottenere il documento, ma addirittura vede privarsi dello status di cittadina, ricevendo in cambio un permesso di residenza temporaneo nell’attesa dell’approvazione (fortunatamente in seguito avvenuta) di un piano nazionale di regolarizzazione. E, fatto ancora più grave, dato che al peggio non c’è limite, il Tribunale allarga gli effetti della sua decisione agli altri cittadini, secondo alcune stime circa 200.000, nelle stesse condizioni di Juliana Dequis Pierre.

Le argomentazioni sviluppate dal Tribunale ci consentono di sviluppare alcune considerazioni sulla funzione stessa della cittadinanza. La Repubblica dominicana, destinazione di ingenti flussi migratori (in prevalenza proprio da Haiti) ha adottato, da più di un secolo, il principio dello jus soli. A partire dal 1872, le Costituzioni che si sono succedute hanno previsto, infatti, la preferenza per tale criterio di acquisto della cittadinanza. Con la Costituzione del 1929, accanto a tale principio generale è stata introdotta l’eccezione per i “figli di genitori in transito”,i quali non hanno diritto all’acquisto della cittadinanza. Tale eccezione è stata confermata nei successivi testi costituzionali, compreso quello del 1966 (art. 11), in vigore alla nascita di Juliana Dequis Pierre e utilizzato come parametro dal Tribunale costituzionale per argomentare la sua decisione. Ed è proprio sulla definizione di “genitori in transito” che si è giocata tutta la partita. La logica, nonché la grammatica, imporrebbero di dare una qualificazione temporale a questa categoria, intendendola come comprendente quelle persone che si trovano, per un periodo di tempo limitato, sul territorio dello Stato; non bastasse la logica, e si scegliesse pure di non utilizzare la grammatica, è la giurisprudenza della Corte interamericana dei diritti umani (citata, ma ritenuta erroneamente interpretativa del diritto nazionale, dai giudici dominicani) a ricordare che la definizione di transitorietà deve tenere conto di un’indicazione temporale ragionevole (Corte Interamericana de Derechos Humanos, Caso de las Niñas Yean y Bosico V. República Dominicana,Sentencia de 8 de septiembre de 2005).

Al contrario, il Tribunale applica una definizione assai più estensiva di transitorietà, finendo per includervi anche coloro che si trovano, o si sono trovati, sul territorio dello Stato in maniera irregolare; in tal modo, considera in transito i genitori della ricorrente, che pure hanno vissuto, in seguito alla nascita della figlia, per molti anni nella Repubblica dominicana, così come decine di migliaia di persone nelle loro stesse condizioni. Gli aspetti criticabili del ragionamento del Tribunale sono molteplici e vengono sottolineati anche nelle due opinioni dissenzienti espresse da altrettanti giudici del collegio.

In primo luogo, appare dubbio che si possano assimilare la posizione degli immigrati irregolari a quella delle persone in transito; tanto è vero che il legislatore ha sentito la necessità di aggiungere nel 2010, tra le eccezioni all’utilizzo dello jus soli presenti nella Costituzione, la nascita da genitori irregolarmente presenti sul territorio domenicano (art. 18), status che caratterizza, come visto, la situazione della ricorrente; tale eccezione va quindi ad affiancarsi a quella già presente, dimostrando in qualche modo come questa – la transitorietà – non comprendesse anche l’altra – la irregolarità.

In secondo luogo, e in maniera connessa a quanto appena detto, il giudice sembra quasi applicare in maniera retroattiva la novella costituzionale del 2010, comprendendo tra le eccezioni stabilite dalla Costituzione il caso della ricorrente, apparentemente violando il principio di irretroattività della legge e, in maniera conseguente, quello altrettanto fondamentale di certezza del diritto.

In terzo luogo, i giudici non sembrano tenere in debita considerazione una situazione di fatto che, pur segnalata dallo stesso Tribunale, non ha alcun peso sulla sua decisione: questa consiste nella totale inadeguatezza del servizio di registro civile, dovuta a una normativa poco chiara e a inefficienze nella pubblica amministrazione, che ha reso in passato difficile regolarizzare posizioni che invece potevano essere sanate; le conseguenze di questa situazione sono però rovesciate sui cittadini dominicani, e in particolare sui figli di immigrati irregolari, che pagano tale inadeguatezza dello Stato con la perdita della cittadinanza.

Sullo sfondo di tutto questo, come si è anticipato, rimane a giudizio di chi scrive una sbagliata concezione della funzione della cittadinanza negli ordinamenti democratici. Lungi dal costituire soltanto un vincolo di tipo giuridico con lo Stato, essa è caratterizzata, come sottolineato dai giudici dissenzienti, da legami di tipo politico, sociale e culturale con la società in cui la persona trova realizzazione; questo, a maggior ragione, in Paesi ad alto tasso di immigrazione come la Repubblica dominicana che, proprio alla luce di questo dato di fatto, ha da più di un secolo adottato il criterio dello jus soli. Il Tribunale sembra dimenticare questo nel momento in cui argomenta la sua decisione (anche) sulla base del fatto che le persone di origine haitiana che perdessero eventualmente la cittadinanza domenicana non diventerebbero apolidi in quanto Haiti riconosce, in maniera assoluta, il principio dello jus sanguinis. Andando a spezzare il legame che lega gli individui alla società nella quale si sono formati, la perdita retroattiva della cittadinanza disarticola il rapporto di cittadinanza, lasciando migliaia di persone in una situazione di indefinitezza e privandole di gran parte dei diritti dei quali erano titolari fino a quel momento.

L’altro motivo di perplessità che sorge dalla lettura delle motivazioni della sentenza, strettamente connesso a quelli poc’anzi accennati, deriva dalla funzione stessa del Tribunale costituzionale domenicano, che sembra qui abbandonare il suo ruolo di supremo garante dei diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione. Anche questo aspetto viene sottolineato in entrambe le opinioni dissenzienti espresse nella recente sentenza e con le quali non si può non essere d’accordo: rinunciando a svolgere la sua funzione di tutela di tali diritti, il Tribunale ignora un principio, quello di favorevolezza (richiamato anche nelle opinioni dissenzienti e sancito dalla Ley 137-11 Orgánica del Tribunal Constitucional y de los procedimientos constitucionales), che imporrebbe di interpretare i diritti fondamentali in modo che essi siano goduti nella maniera più ampia ed effettiva dai loro titolari. Esattamente il contrario di quanto deciso in questo caso dal Tribunale che, applicando in modo estensivo la categoria di transitorietà, finisce per trasformare tale condizione in quella di precarietà, trasferendola in capo alle decine di migliaia di persone che si vedono private dello status di cittadino. Peraltro l’estensione degli effetti della sentenza apre un altro fronte problematico, sottolineato nelle opinioni dissenzienti, dovuto al fatto che il giudizio di amparo (quale è quello che qui si commenta) dovrebbe avere soltanto effetti inter partes, mentre il Tribunale afferma che il caso obbliga ad adottare misure che trascendano la situazione particolare al fine di proteggere diritti fondamentali di un gruppo molto esteso di persone nelle stesse situazioni di fatto e di diritto della ricorrente; il paradosso evidente è che gli effetti inter comunis della sentenza ledono i diritti fondamentali di queste persone, piuttosto che proteggerli come invece sostiene il Tribunale.

Con il fine di ammortizzare le possibili, nefaste, conseguenze di questa decisione è  stata approvata la “Ley 196-14 que establece un régimen especial para personas nacidas en el territorio nacional inscritas irregularmente en el Registro Civil dominicano y sobre naturalización”. Tale normativa sembra risolvere il caso aperto dalla decisione del Tribunale, prevedendo la regolarizzazione di tutte le persone nate da genitori irregolarmente residenti sul territorio domenicano tra il 1929 e il 2010.

La legge precede peraltro, di poco, una sentenza della Corte interamericana dei diritti umani che, a nove anni dal suo precedente, è tornata a pronunciarsi in maniera negativa sulla disciplina della cittadinanza domenicana, proprio per quanto riguarda i punti toccati anche dalla recente sentenza del Tribunale costituzionale (Corte Interamericana de Derechos Humanos, Caso de personas dominicanas y haitianas expulsadas v. República Dominicana, Sentencia de 28 de agosto de 2014). Confermando la sua precedente giurisprudenza, la Corte afferma infatti che la sentenza del Tribunale costituzionale, introducendo una distinzione tra figli di genitori stranieri, basata non su situazioni giuridiche che riguardano i figli ma sullo status migratorio dei genitori, viola il principio di uguaglianza davanti alla legge sancito dall’art. 24 della Convenzione americana sui diritti umani.

Questi ultimi sviluppi, se da una parte risolvono la difficile situazione che era venuta a crearsi, dall’altra non esimono dall’esprimere preoccupazione per come il caso era stato deciso dal Tribunale che, in maniera certo non costituzionalmente necessaria e probabilmente irragionevole, rischiava di creare conseguenze gravissime per una consistente parte di popolo dominicano.