I governi nazionali sono responsabili per la violazione delle quote di ricollocazione dei rifugiati? A proposito della sentenza del Tribunal Supremo sulla relocation

Alcuni giorni fa il Tribunal Supremo ha condannato il governo spagnolo per non aver rispettato l’obbligo di ricollocare 19.449 rifugiati dalla Grecia e dall’Italia tra il 2015 e il 2017. Con la sentenza del 9 luglio 2018, Il Tribunal ha ritenuto che la Spagna fosse vincolata dalle Decisioni del Consiglio di maggio e settembre 2015 che istituivano il meccanismo europeo di emergenza per la ricollocazione. Lo scopo di questo meccanismo era ricollocare da questi due paesi circa 160.000 rifugiati che arrivavano sulle coste italiane e greche durante la cosiddetta “crisi dei rifugiati” (cfr. qui per alcuni documenti rilevanti), in modo da alleviare la tensione a cui la crisi sottoponeva i rispettivi sistemi di asilo. Questo meccanismo di ricollocazione comprendeva una serie di tabelle allegate che contenevano il numero di rifugiati che ogni Stato membro era tenuto ad accogliere nei propri sistemi di protezione internazionale (“quote”).
Stop Mare Mortum, una ONG che sostiene la necessità di aprire vie legali e sicure per i rifugiati che giungono in Europa, ha chiesto al Tribunal Supremo di dichiarare che le Decisioni del Consiglio contenevano obblighi chiari e concreti che il governo spagnolo non aveva rispettato. Per fare ciò, l’ONG si è basata sulla precedente sentenza della Corte di giustizia (Grande sezione), Repubblica slovacca e Ungheria contro Consiglio dell’Unione europea (C-643/15 e C-647/15), del 6 settembre 2017 che aveva chiaramente indicato gli obblighi e le quote contenuti nelle decisioni del Consiglio come giuridicamente vincolanti per tutti gli Stati membri, respingendo i ricorsi di annullamento interposti dall’Ungheria e dalla Slovacchia contro queste decisioni. Il rifiuto di questi due paesi di ricollocare i rifugiati dalla Grecia o dall’Italia nel quadro del meccanismo europeo costituiva una flagrante violazione degli obblighi stabiliti dalla legislazione comunitaria.
Prima di analizzare e cercare di spiegare perché la sentenza del Tribunal Supremo può diventare un punto di riferimento su questo tema, è necessario chiarire una questione procedurale che risulta centrale: l’ONG Stop Mare Mortum ha presentato un ricorso contenzioso-amministrativo direttamente dinanzi al Tribunal Supremo successivamente ad una previa richiesta al governo spagnolo (allora guidato dal Partido Popular), con cui chiedeva che venissero rispettati gli obblighi derivanti dal meccanismo di ricollocazione di emergenza dell’Ue, richiesta che veniva completamente ignorata senza nemmeno fornire una risposta ufficiale. In queste circostanze, l’inerzia del governo ha determinato un’accelerazione della via giudiziaria davanti all’organo superiore della magistratura competente in questo tipo di situazioni. Da un punto di vista strategico, l’accesso diretto al Tribunal Supremo è stato molto utile per l’ONG, da un lato, perché ciò ha abbreviato le lungaggini dei procedimenti giudiziari, garantendo una risposta entro un periodo dli tempo ragionevole e, dall’altro in quanto le sue sentenze non possono essere impugnate con mezzi ordinari, essendo la più alta corte del paese.
Entrando nel merito della decisione, la sentenza del Supremo prende le mosse dalla giurisprudenza comunitaria piuttosto consolidata e, segnatamente, dalla citata sentenza della Corte di Giustizia del 6 settembre 2017, mediante la quale il giudice europeo ricordava all’Ungheria e alla Slovacchia che le Decisioni del Consiglio sono strumenti giuridici che possono imporre obblighi vincolanti per gli Stati membri. Tuttavia, nel caso di specie, il problema era più complesso, perché la Spagna non si era rifiutata di adempiere ai suoi obblighi, ma lo aveva fatto in modo inefficiente. A questo punto, il Tribunal ricorda che l’istituzione competente per il monitoraggio e la valutazione delle misure adottate da uno Stato membro per adempiere agli obblighi derivanti dal diritto dell’Ue è in linea di principio la Commissione europea la quale può, inoltre, avviare una procedura di infrazione contro gli Stati che resistono a tale adempimento oppure, in alternativa, può valutare i problemi e gli ostacoli della legislazione esistente ed elaborare nuovi progetti legislativi (oppure proporre modifiche rispetto ai testi normativi in vigore).
Tuttavia, il Tribunal Supremo, in virtù dell’effetto diretto delle norme europee, ha ricordato che la Commissione non è l’unica istituzione incaricata di sorvegliare la corretta applicazione del diritto dell’Ue; a livello nazionale spetta ai giudici comuni verificare l’adeguatezza della disciplina e dell’azione di governo rispetto agli obblighi imposti dalla legislazione comunitaria (è appena il caso di aggiungere che questa parte della sentenza è estremamente interessante in quanto mette in evidenza l’incoerenza della Commissione che, in una delle ultime relazioni sui progressi del meccanismo di ricollocazione, minacciava di avviare una procedura di infrazione contro diversi Stati membri, salvo poi non fare nulla una volta che il giudizio della Corte di giustizia risultò favorevole a questa tesi).
Tuttavia, i tribunali in Spagna non possono agire di propria iniziativa. È per questo motivo che un fattore decisivo per il successo del ricorso è stato il riconoscimento legislativo alle ONG della capacità di rappresentare l’interesse generale o addirittura di alcuni gruppi, davanti ai tribunali amministrativi, qualcosa che era tra i principi fondanti della ONG in questione. Quindi, un’interpretazione flessibile delle regole procedurali sulla legittimazione attiva – in linea con una precedente giurisprudenza consolidata -, insieme all’accesso diretto al Tribunal Supremo, e la chiara opposizione di quest’ultimo a sollevare, come richiesto dal Governo, un rinvio pregiudiziale alla CGUE su questo argomento, convergono perfettamente in questo caso per sostenere l’ammissibilità del ricorso e il suo successivo esito positivo.
La seconda questione chiave che il Tribunal esamina, riguarda l’impossibilità di rispettare le quote perché il meccanismo europeo era temporaneo e al momento attuale era già terminato, ma anche perché operava al di fuori della volontà del Governo spagnolo Il Tribunal Supremo ammette che ci possono essere molti fattori che possono ostacolare la ricollocazione dei rifugiati dalla Grecia e dall’Italia, come già indicato dalla stessa Commissione europea nelle sue relazioni di monitoraggio.
Il Supremo riconosce anche che alcune di queste difficoltà potrebbero non essere imputabili al governo spagnolo, ma a questo punto è significativo che la Spagna non abbia accettato le clausole di emergenza di questo meccanismo che permetteva la sospensione temporanea del programma di ricollocazione se un determinato paese lo richiedeva per un fondato motivo. Alla luce di tutto ciò, i giudici concludono che la Spagna non è stata abbastanza diligente nel fornire posti sufficienti nel quadro del meccanismo di ricollocazione in modo tale che il numero concordato di rifugiati potesse essere ricollocato dalla Grecia o dall’Italia.
È vero che il Tribunal Supremo non si spinge oltre –  a differenza di quanto richiesto dai ricorrenti – e non valuta se il ritardo e l’inefficienza siano stati un’azione deliberata del governo spagnolo al fine di rallentare il processo e scoraggiare la ricollocazione in Spagna. Il Tribunal ritiene che lo sforzo compiuto dalla Spagna fosse chiaramente insufficiente per raggiungere la quota di 19.449 rifugiati, ma non considera la conformità con la quota spagnola di rifugiati ricollocati al di sotto del 13% della cifra impegnata nel 2015, come tattica orientata a frenare la ricollocazione dei rifugiati fornendo ogni mese numeri insignificanti e tale insignificanza non aiuta a prevenire il collasso dei sistemi di accoglienza dei richiedenti asilo dei due paesi. Probabilmente, il Tribunal ha preferito percorrere questa strada per l’assenza di elementi di riscontro che dimostrassero una condotta deliberatamente ostruzionista e in malafede.
In sintesi, la sentenza del Tribunal Supremo pone diverse domande e presenta alcune linee di azione che mostrano numerose implicazioni oltre i nostri confini. In primo luogo, è ragionevole chiedersi perché la Commissione europea sia stata così moderata con gli Stati membri, dati i loro bassi tassi complessivi di conformità con le proprie quote di rifugiati. Più nel dettaglio, come mai non sono state avviate le procedure di non conformità nei confronti degli Stati membri che erano maggiormente inefficaci e inadempienti rispetto al meccanismo di ricollocazione, nonostante le denunce di numerose ONG? In secondo luogo, e ciò pare ancora più importante, se il ragionamento del Tribunal Supremo ha fondamento, potrebbero essere intentati simili procedimenti in altri paesi dell’Ue per obbligare i governi a rispettare tali quote o per cercare rimedi equivalenti? Se così fosse, saremmo testimoni di come la società civile attraverso le corti costringa i governi, a volte riluttanti, ad adempiere ai loro doveri di solidarietà nei confronti degli altri Stati membri e a partecipare in buona fede a meccanismi concreti per la distribuzione dei rifugiati.
Si tratterebbe di una buona notizia, non solo per gli Stati dell’Unione che gestiscono flussi di rifugiati inaspettati alle frontiere esterne, ma anche per l’Unione nel suo complesso, perché tali Stati membri non avrebbero scuse per ritirarsi dagli obblighi che incombono sull’Ue derivanti dalla Convenzione di Ginevra, dal Regolamento di Dublino e dal resto del diritto dell’UE in materia di asilo. Al riguardo, il Consiglio e il Parlamento europeo dovrebbero prendere nota e compiere uno sforzo supplementare per concordare l’istituzione di un meccanismo permanente di ricollocazione tra gli Stati membri, ma anche creare strumenti che contribuiscano indirettamente a progettare un sistema che faciliti la creazione di vie legali e sicure di accesso alla protezione internazionale in Europa.
Inoltre, l’esistenza di un meccanismo permanente di questo tipo faciliterebbe l’adempimento di condanne future da parte degli Stati che non dovessero rispettare le proprie quote. Tale meccanismo, infatti, costituirebbe uno strumento attraverso il quale forzare i governi – se così disposto dalle rispettive autorità giudiziarie – a rispettare i propri obblighi in materia di protezione internazionale.