GPA e trascrizione degli atti di nascita:
La Cassazione francese richiede il primo parere consultivo alla Corte EDU

La saga giurisprudenziale francese sulla trascrizione degli atti di nascita dei figli nati all’estero mediante gestazione per altri (GPA) si arricchisce di un nuovo avvincente episodio che non mancherà di destare interesse, nell’osservatore italiano, non solo per la questione di merito – sulla quale si attende la pronuncia delle Sezioni Unite – ma anche per alcuni aspetti procedurali degni di nota nell’ottica del rapporto tra sistemi, all’indomani dell’entrata in vigore del Protocollo n° 16 alla CEDU (non ancora ratificato dall’Italia).
Con la decisione n° 638 del 5 ottobre 2018, la Cassazione francese si è infatti avvalsa per la prima volta della nuova procedura di richiesta di parere consultivo alla Corte europea dei diritti dell’uomo, prevista dal Protocollo n° 16, entrato in vigore il 1° agosto 2018 nei 10 Paesi che l’hanno ad oggi ratificato. E l’ha fatto, inoltre, nell’ambito di un’altra procedura recentemente introdotta nell’ordinamento francese, che consente il riesame di una decisione civile definitiva a seguito di condanna da parte della Corte di Strasburgo.
La vicenda che ha dato luogo al lungo feuilleton giudiziario, che va avanti da oltre 15 anni, prende vita dalla richiesta di trascrizione in Francia dell’atto di nascita di due gemelle nate negli Stati Uniti a seguito di una GPA nell’ambito del progetto genitoriale di una coppia di cittadini francesi, i coniugi X e Y, rispettivamente padre biologico e madre intenzionale delle neonate. L’atto di nascita, che indicava entrambi i coniugi quali genitori, era stato annullato per “contrarietà alla concezione francese dell’ordine pubblico internazionale” (da ultimo, Corte d’appello di Parigi, 18 marzo 2010 e rigetto del ricorso per cassazione, 6 aprile 2011). I coniugi avevano quindi adito la Corte europea dei diritti dell’uomo che, con una decisione del 26 giugno 2014 (Mennesson c. France), aveva condannato la Francia per violazione dell’articolo 8 in relazione al rispetto della vita privata delle due figlie nate da GPA, che include il diritto all’identità, al riconoscimento del rapporto di filiazione e alla nazionalità.
A seguito della riforma del Codice dell’organizzazione giudiziaria francese ad opera della legge n° 2016-1547 del 18 novembre 2016 (e in particolare dell’emendamento definito “emendamento X” proprio con riferimento al procedimento in questione), i coniugi hanno potuto richiedere il riesame della decisione francese. La loro domanda è stata accolta dalla Corte del riesame delle decisioni civili, che ha quindi rinviato la questione all’Assemblea plenaria della Cassazione. Chiamata a decidere sulla legalità dell’annullamento della trascrizione, l’Assemblea plenaria ha ritenuto che, alla luce delle molteplici pronunce della Corte di Strasburgo degli ultimi anni, la questione non fosse di facile soluzione, in particolare per quanto riguarda il riconoscimento del rapporto di filiazione con il genitore non biologico, e ha quindi deciso di rivolgersi a Strasburgo.
In Francia, la GPA è vietata dalla cd. “legge bioetica”, n° 94-653 del 29 luglio 1994, la quale ha inserito nel codice civile le disposizioni che prevedono la nullità e la contrarietà all’ordine pubblico di qualunque convenzione avente ad oggetto una gestazione per conto di altri (art. 16-7 e 16-9 cod.civ). La trascrizione degli atti di nascita formati all’estero è disciplinara dall’art. 47 del codice civile, il quale dispone che un atto di stato civile redatto all’estero fa fede, salvo ove emerga “che tale atto è irregolare, falsificato o che i fatti ivi dichiarati non corrispondono alla realtà”.
Sulla base di questi riferimenti normativi la Cassazione ha in un primo momento considerato che la trascrizione degli atti di nascita di figli nati all’estero mediante GPA fosse contraria all’ordine pubblico internazionale (Cass. 1a sez. civile, 6 aprile 2011) e, in un secondo momento, che essa costituisse una frode alla legge che vieta la GPA (tra le altre, Cass, 1a sez. civ., 13 settembre 2013). Per quanto riguarda poi la possibilità di pervenire al riconoscimento della filiazione mediante adozione, la Cassazione ha mantenuto fino all’anno scorso la propria giurisprudenza, costante sin dagli anni 90, contraria all’adozione da parte del genitore intenzionale del figlio nato mediante GPA.
A seguito delle pronunce della Corte europea che avevano condannato la Francia per la mancata trascrizione dei figli nati all’estero da GPA, in particolare le sentenze Mennesson e Labassée del 26 giugno 2014, la Cassazione francese aveva parzialmente riformato la propria giurisprudenza: con due sentenze del 3 luglio 2015, aveva ritenuto che la conclusione di un contratto di GPA non ostasse di per sé alla trascrizione dell’atto di nascita estero (si ricordi anche la cd “circolare Taubira” del 25 gennaio 2013, con cui l’allora Guardasigilli raccomandava tale interpretazione ai fini dell’attribuzione di un certificato di nazionalità francese ai nati all’estero da GPA). Tuttavia, come rilevato dalla Corte di Strasburgo in un’ulteriore sentenza di condanna nei confronti della Francia, tale giurisprudenza non garantiva alcun riconoscimento del rapporto di filiazione (Corte EDU, Laborie c. Francia, 17 gennaio 2017).
In ossequio a tale giurisprudenza, la massima giurisdizione civile aveva quindi ulteriormente modificato la propria posizione con due decisioni del 5 luglio 2017, nelle quali aveva distinto la posizione del genitore biologico da quella del genitore intenzionale: ne risultava un obbligo di trascrizione parziale dell’atto con l’indicazione della filiazione nei confronti del padre biologico e una conferma invece della legittimità del rifiuto di trascrivere l’indicazione del genitore intenzionale. A quest’ultimo viene tuttavia aperta la via dell’adozione, in riforma della precedente giurisprudenza che faceva del ricorso alla GPA un ostacolo all’adozione del figlio del coniuge.
La posizione espressa dalla Cassazione nella più recente giurisprudenza si fonda, come da essa espressamente affermato, sull’interpretazione data, e condivisa dalla dottrina francese maggioritaria, alle sentenze della Corte di Strasburgo Labassée e Mennesson, che sembra confortata dalla sentenza della Grande Camera Paradiso e Campanelli c. Italia del 24 gennaio 2017. Da esse sembra infatti emergere con chiarezza che l’art. 8 della Convenzione imponga, in nome dell’interesse superiore del minore, il riconoscimento del legame di filiazione col genitore biologico, mentre un tale obbligo non sembra sussistere nei confronti del genitore intenzionale che non abbia alcun legame biologico col figlio.
Ci si sarebbe pertanto potuti aspettare una soluzione al caso di specie in linea con questa giurisprudenza, e tuttavia la formazione plenaria della Cassazione ha preferito dichiararsi incerta circa l’interpretazione convenzionalmente conforme e avvalersi della nuova procedura consultiva. I giudici del Quai de l’horloge hanno quindi richiesto alla formazione consultiva di Strasburgo se lo Stato eccede il proprio margine di apprezzamento “rifiutando di trascrivere sui registri dello stato civile l’atto di nascita di un figlio nato all’estero a seguito di una GPA nella parte in cui esso indica come madre legale la madre intenzionale, laddove la trascrizione è invece ammessa nella parte in cui indica quale padre il padre biologico”. Hanno altresì richiesto se il fatto che il figlio sia stato concepito o meno con dei gameti della “madre intenzionale” debba essere preso in conto e, ove il riconoscimento del rapporto di filiazione con il genitore intenzionale fosse da considerarsi un obbligo convenzionale, se lo Stato possa non incorrere nella violazione dell’art. 8 della Convenzione consentendo l’adozione da parte della madre intenzionale.
Alla luce della giurisprudenza richiamata, ci sembra che lo scopo di queste interrogazioni non sia tanto – o almeno non solo – quello di evitare, grazie ad una consultazione preventiva, un’ennesima condanna dello Stato francese a posteriori, ma soprattutto quello di dare consacrazione all’interepretazione interna, adeguatamente indicata nella decisione di rinvio, facendo appello alla funzione nomofilattica dei giudici europei.
L’impiego di questa procedura costituisce dunque un esempio di dialogo costruttivo, conformemente all’ambizione e all’aspirazione originaria dello strumento previsto dal Protocollo n° 16 che – giova ricordarlo – prevede l’emanazione di un parere che non è vincolante né per la giurisdizione richiedente né per la stessa Corte di Strasburgo, la quale potrà, se adita successivamente sulla medesima questione in sede contenziosa, discostarsi dal parere reso.
Si nota dunque come, attraverso tale strumento, le corti nazionali non si pongano in una posizione subordinata rispetto alla giurisdizione di Strasburgo, ma possano invece innescare una dinamica orizzontale di collaborazione – o di confronto-scontro secondo i casi – ai fini dell’interpretazione degli obblighi convenzionali. Attraverso tale procedura, che istituzionalizza una forma di dialogo diretto, i giudici nazionali possono infatti partecipare attivamente e formalmente al processo di determinazione degli standard europei di protezione dei diritti garantiti dalla CEDU, invece che esserne i meri recettori.
Come nel caso di specie, il ricorso a questo strumento potrà quindi essere cruciale nella determinazione del margine di apprezzamento statale, affinché questo sia percepito meno come un limite imposto “dall’alto” che come il risultato di una sintesi tra argomentazioni giudiziarie. Ma la dinamica dialogica, nei rapporti tra giurisidizioni come nella vita, non implica solo scambi pacifici, bensì anche conflittuali. Si pensi in particolare alle ipotesi in cui la Corte europea, che fa dell’interpretazione evolutiva uno dei capisaldi della propria giurisprudenza, ritenga opportuno discostarsi dai propri precedenti, nel parere consultivo, per ridurre il margine di apprezzamento precedentemente accordato. Essa potrebbe così scatenare una certa resistenza da parte della giurisdizione nazionale, la quale potrebbe legittimamente scegliere di non adeguarsi al parere, con motivazione adeguata, e preferire incorrere nel rischio di una successiva condanna pur di innescare un dialogo, seppur conflittuale, sulla determinazione del margine.
Se le manifestazioni di disaccordo e i colpi di forza non possono certo essere esclusi, lo strumento ha comunque tutte le potenzialità per favorire una certa armonizzazione oltre che, secondo quella che è l’ambizione principale del Protocollo, una riduzione dei contenziosi. L’epilogo della vicenda francese delle trascrizioni dei nati da GPA, che finora ha dato luogo a un ripetuto botta e risposta tra il Palais des droits de l’homme e il Quai de l’horloge in sede contenziosa, sarà un ottimo banco di prova in tal senso.