I controlimiti ai tempi della crisi finanziaria: note a margine della sentenza portoghese relativa alle misure di austerità imposte dall’UE

Attraverso l’Acórdão 187/2013 il Tribunale Costituzionale portoghese si è pronunciato in merito a quattro ricorsi relativi alla legge di bilancio 2013 (Lei do Orçamento do Estado n° 66-B/2012), sollevati dal Presidente della Repubblica, Anibal Cavaco Silva (ricorso n. 2/2013), da alcuni deputatidell’opposizione (ricorsi nn. 5 e 8/2013) e dal Provedor de Justiça (ricorso n.11/2013). La pronuncia appariva particolarmente attesa, poiché rappresentava il terzo confronto del Tribunale con le misure di riduzione della spesa pubblica adottate dal Governo conservatore di Coelho, e il secondo in meno di un anno. In effetti, già nel 2012 (Acórdão 353/2012) il Tribunale si era pronunciato sulla legittimità della sospensione della tredicesima e della quattordicesima per i dipendenti pubblici e i pensionati, giudicando tali misure in aperto contrasto con il principio di uguaglianza sancito dall’art.13 Cost., atteso che tali provvedimenti tendevano a determinare una disparità di trattamento ingiustificata tra lavoratori del settore pubblico e quelli del settore privato. Dunque, ad appena nove mesi di distanza dalla precedente decisione, il Tribunale torna a confrontarsi con talune misure di austerity, adottate nella legge di bilancio 2013, rilevando l’incostituzionalità di quattro misure su nove: la sospensione parziale o totale del pagamento delle ferie ai lavoratori dell’amministrazione pubblica, l’estensione del taglio delle ferie ai lavoratori impegnati in attività di insegnamento o di ricerca, la sospensione del pagamento del 90% delle ferie e dei sussidi per i pensionati e il pagamento dei contributi previdenziali del 6% per coloro che ricevono l’indennità di disoccupazione e del 5% per coloro che ricevono l’indennità di malattia. In prima battuta, il Tribunale ricorda che la legge finanziaria 2013 si inquadra “nell’ambito della concretizzazione di un orientamento strategico connesso al perseguimento di uno sforzo di consolidamento finanziario previsto nel Programma di aggiustamento economico e finanziario (PAEF) concordato tra il governo portoghese e la Troika (Commissione, FMI, BCE)”. Tuttavia, ciò che all’analisi particolarmente interessa è il reasoning che conduce a tali decisioni, poiché il Tribunale, malgrado le pressioni sociali e mediatiche, si dimostra particolarmente attento alla crisi economica in atto; ovvero, cerca di bilanciare l’interesse collettivo, l’uguaglianza e le necessarie misure di austerità che i tempi impongono. Un’ardua impresa, dunque, ma il Tribunale portoghese pare destreggiarsi con ordine e coscienza, mettendo in luce che la società ha, senza dubbio, bisogno che il principio di uguaglianza resti punto fermo e principio supremo della Costituzione, ma ciò deve bilanciarsi con gli impegni internazionali assunti in sede europea. In altre parole, il Tribunale portoghese si trova a pesare sulla bilancia il diktat della Troika e i principi supremi del proprio ordinamento costituzionale: i controlimiti ai tempi della crisi.

Una impresa titanica, quindi, ma gestita con estrema lucidità, facendo leva sul principio di eguaglianza e quello di proporzionalità; ciò consente al Tribunale di giungere a risposte ben lungi dall’essere scontate o a posizioni di chiusura nei confronti dell’Unione. In effetti, la Corte  riconosce  la legittimità di trattamenti differenziati, ma ribadisce che la differenziazione deve essere “proporzionata e non eccessiva”. Nel caso di specie, tuttavia, i giudici riscontrano che le disposizioni impugnate colpiscono in maniera sproporzionata ed eccessiva i dipendenti pubblici, chiedendo a questi un sacrificio enorme, riprendendo, in tal senso, le parole del Presidente della Repubblica, pronunciate in occasione del discorso di fine anno.

La Corte sostiene, quindi, che “l’imposizione di sacrifici più pesanti ai dipendenti pubblici non può essere giustificata da fattori macroeconomici legati alla recessione economica e all’aumento della disoccupazione, i quali devono essere affrontati attraverso misure di politica economica e finanziaria di carattere generale, e non per mezzo di una maggiore penalizzazione dei lavoratori che, in termini di occupabilità, non subiscono lo stesso effetto della crisi economica”. Tuttavia, una domanda può essere legittimante sollevata, poiché il Tribunale sostiene senza mezzi termini che talune disposizioni della Legge finanziaria siano incostituzionali perché lesive dei principi supremi della Costituzione, dei diritti sociali e, infine, perché esse hanno violato la “giusta misura” nell’imporre trattamenti differenziati. Chi decide, dunque, qual è la giusta misura ed in base a quali canoni? Proprio durante questa fase del dibattimento le posizioni dei giudici iniziano a divergere, poiché taluni ravvisavano un intervento quasi-legislativo del Tribunale, ritenendo che si fosse spinto troppo oltre le proprie competenze. Tuttavia, la maggioranza dei membri fa notare che il ruolo delle Corti nell’epoca del Fiscal Compact deve mutare, poiché ad esse continua a spettare il ruolo di garanti della Costituzione e dell’ordine costituzionale, ma con un aggravante, un qualcosa che rende più difficoltoso il loro ruolo: bilanciare valori interni e fattori esterni, principi costituzionali e crisi economica, controlimiti e accordi di austerity. Probabilmente è proprio tale affermazione a rendere la pronuncia portoghese non soltanto degna positivamente di nota, ma essa diviene, altresì, lucida e lungimirante, poiché il Portogallo mette in luce i suoi controlimiti, si spinge addirittura fino a sostenere che gli accordi internazionali si rispetteranno fintanto che, ma trova un compromesso orientato verso l’integrazione: le misure di austerità sono necessarie, ma non possono ledere i diritti inviolabili ed i principi supremi dell’ordinamento, per tale ragione suggerisce “aggiustamenti” al legislatore interno, tali da rendere la norma legittima tanto a livello costituzionale, quanto comunitario.

Le ripercussioni politiche della sentenza, tuttavia, sono state imponenti, atteso che per la terza volta il Tribunale bocciava una Legge Finanziaria elaborata da un governo di centrodestra, concedendo alla sinistra ogni possibile argomentazione per screditare l’operato politico del Governo in carica. La sentenza portoghese è, dunque, emblematica del ruolo che le Corti costituzionali sono chiamate a svolgere in tempi di crisi economica; come si accennava esse devono operare un difficile bilanciamento di principi che vede, da un lato gli interessi economici, e dall’altro il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento, come il diritto di uguaglianza e, più in generale, i diritti sociali. L’elemento di maggiore peculiarità risiede nel fatto che nella maggior parte dei casi, le norme sottoposte a giudizio di costituzionalità sono attuative di accordi sovranazionali e, dunque, il carattere “esterno” di queste previsioni normative potrebbe rappresentare un freno al sindacato di costituzionalità. Nel caso portoghese, tale carattere è stato volontariamente ignorato e, per ciò stesso, il Tribunale si è distinto nel panorama europeo per aver risposto con rapidità alle richieste di un giudizio di costituzionalità relativo alla misure adottate per far fronte alla crisi. In altre parole, il Tribunale portoghese ha riaffermato la sua piena legittimità a vigilare sul rispetto della Costituzione, anche in caso di norme esterne nate per far fronte ad una crisi finanziaria senza precedenti. La Corte, dunque, non abbandona il suo ruolo, non si lascia intimidire dalla Troika, anzi sottolinea che il Trattato di Lisbona e, dunque, l’Unione Europea ha ribadito a chiare lettere il rispetto per le peculiarità nazionali e neanche la crisi economica può far cadere nel dimenticatoio una promessa di tale portata. Dunque, austerity si, ma con i dovuti accorgimenti, meglio, con le cautele imposte dai principi supremi costituzionali e dai diritti inviolabili.

La sentenza, per quanto non lo si affermi esplicitamente, pare utilizzare i principi e i diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione come limite alla supremazia del diritto europeo. Nulla di nuovo, verrebbe da dire allo studioso quanto al lettore; del resto i “controlimiti” li avevamo già “scoperti” a partire dagli anni Sessanta, ma vi è qualcosa in più in questa sentenza, poiché traspare una tensione crescente, un tempo solo ipotizzata in Portogallo, ma non è ancora tutto. Tale tensione è resa ancora più forte dalla inderogabilità nella protezione  che il Tribunale costituzionale assegna ai diritti sociali e che ciò vada a scontrarsi apertamente con le misure che il Governo portoghese aveva concordato con gli organismi sovranazionali, aventi come priorità il rientro del debito sovrano ed il rispetto dei parametri di politica economico-finanziaria imposti dalla Troika e che, peraltro, erano dirette ad ottenere in cambio i prestiti internazionali per l’anno in corso. Audacia e lungimiranza, dunque, ma, soprattutto, lucidità nell’affermare la volontà di essere membro d’Europa, accettando anche gli oneri che derivano da tale appartenenza, ma ciò, secondo il Portogallo, mai può tradursi nella pericolosa sottomissione delle regole fondamentali costituzionali agli accordi sovranazionali, perché da ciò deriverebbe la negazione della sovranità e la perdita stessa del potere di concludere accordi. Tuttavia, preme sottolineare, altresì, che la sentenza è un forte monito, ma non all’Unione o, quantomeno, non soltanto ad essa, poiché tale pronuncia ha un duplice volto e, di conseguenza, una duplice valenza, interna ed esterna. Da un lato, quello interno, il Tribunale “rimprovera” al legislatore di aver legiferato ledendo la Costituzione nel rendere esecutivi gli accordi conclusi a livelli internazionale; sul versante esterno, il Portogallo ribadisce la volontà incondizionata d’essere membro d’Europa, ma anche tale ordinamento si spinge a dire che lo sarà fintanto che.

Non sono, tuttavia, in numero esiguo coloro i quali hanno accolto con stupore l’audacia della Corte portoghese, ma, probabilmente, ciò è ascrivibile alla infondata tendenza a vedere i controlimiti circoscritti in talune aree d’Europa, quelle “sovraniste” o quelle che all’Unione hanno dato vita. Eppure nel Paese che visse sotto Salazar la Costituzione parla a chiare lettere di una sovranità che nulla ha da “ammirare” all’est Europa. Era solo questione di tempo, dunque, si trattava solo di aspettare che l’UE scoprisse il fianco affinché il Portogallo sfoderasse l’arma dei controlimiti? Sembrerebbe, piuttosto, che questi erano già ben delineati, messi semplicemente a tacere dall’europeismo, ma il Tribunale non poteva restare in silenzio di fronte alla lesione delle “zone intangibili” della Costituzione, in questo caso, i diritti fondamentali. Peraltro, tale opera di affermazione dei controlimiti ha, come si accennava, una peculiarità di rilievo: il Tribunale lancia il suo avvertimento, sulla scia delle storiche sentenze italiane emesse a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, a due legislatori, interno ed esterno, sostenendo che nulla può giustificare lesioni di talune parti della Costituzione. Tuttavia, il Tribunale costituzionale portoghese si destreggia meglio di altri nel tortuoso cammino dell’affermazione dei controlimiti: si alle misure d’emergenza, ma l’uguaglianza ed i diritti sociali non possono essere sacrificati sull’altare dei piani di rientro, di austerity o su quello del Fiscal compact, quasi a dire che la crisi economica ce la lasceremo alle spalle, la Costituzione deve restare pietra miliare.

Seppure appare impossibile fare previsioni sul futuro, è impensabile che la portata della pronuncia resti circoscritta all’interno dei confini portoghesi, poiché altre corti europee stanno confrontandosi con le stesse problematiche e la pronuncia portoghese segna innegabilmente un punto fermo per le corti europee.