I diritti delle minoranze e l’Iniziativa dei Cittadini europea – sviluppi recenti

In Europa si contano più di 350 minoranze linguistiche, etniche o nazionali che rappresentano il 15 % di una popolazione di circa 770 milioni di persone. Dei più di 500 milioni di abitanti dell’Unione europea, circa il 10% parla una lingua regionale o minoritaria. In Italia, intorno ai 2,5 milioni di persone che rappresentano circa il 4,5% della popolazione appartengono a una minoranza linguistica. A livello dell’Unione europea, prima del Trattato di Lisbona che ha introdotto fra i valori dell’Unione il rispetto dei diritti umani compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze (articolo 2 Trattato sull’Unione Europea TUE), la tutela dei diritti di minoranze linguistiche, etniche o nazionale rilevava soprattutto verso l’esterno. Infatti, in rapporto all’adesione di nuovi membri, i cd. criteri di Copenaghen del 1992 prevedano come uno dei requisiti per un’adesione all’Unione il rispetto e la tutela delle minoranze per evitare tensioni interne e conflitti. All’interno dell’Unione invece i diritti delle minoranze erano tutelati tramite i principi di non-discriminazione e di parità di trattamento (cfr. in particolare la direttiva 43/2000 sulla parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica). Anche la Carta dei Diritti Fondamentali (CDF) dichiarava al suo articolo 21 il divieto di discriminazione in base all’appartenenza a una minoranza nazionale e all’articolo 22 il principio del rispetto della diversità culturale e linguistica.

Dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, oltre al nuovo l’articolo 2 TUE l’articolo 3 TUE dichiara al suo comma 3 che l’Unione rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica. Nella definizione e nell’attuazione delle sue politiche ed azioni l’Unione deve tenere conto della lotta contro l’esclusione sociale e mirare a combattere le discriminazioni fondate sulla razza o l’origine etnica (cfr. gli articoli 9 e 10 TFUE). Una grave violazione del valore del rispetto dei diritti delle persone appartenenti a minoranze potrebbe innescare la procedura di cui all’articolo 7 TUE che può comportare anche la sospensione di diritti degli Stati membri come per esempio il diritto di voto in seno al Consiglio. Inoltre, in base all’articolo 6 comma 1 TUE, gli articoli 21 e 22 CDF acquisiscono lo stesso valore giuridico dei Trattati, vincolando gli organi dell’Unione e gli Stati membri che devono rispettarli nel caso che attuino il diritto UE (cfr. anche l’articolo 51 comma 1 CDF). La diversità linguistica e culturale è rispettata nelle politiche dell’Unione dedicate all’istruzione e alla cultura (cfr. gli articolo 165 comma 1 TFUE e 167 comma 1 TFUE). Nel caso di un’adesione dell’Unione europea alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo CEDU (finora non avvenuta), vi si aggiungerebbe come ulteriore tassello l’articolo 14 CEDU che statuisce il divieto di discriminazione in base all’appartenenza a una minoranza nazionale. Dalla natura di valore e dal mancato inserimento fra gli obiettivi dell’Unione di cui all’articolo 3 TUE consegue però che anche dopo il Trattato di Lisbona l’Unione non gode di una competenza in materia di diritti delle minoranze. Garantisce la parità di trattamento e la non-discriminazione, ma non risultano delle basi giuridiche per introdurre azioni cd. positive mirate all’uguaglianza sostanziale che rappresentano però un elemento indispensabile per un’effettiva tutela delle minoranze linguistiche, etniche o nazionali. Questa situazione rispecchia anche il fatto che non tutti gli Stati membri riconoscono la presenza di minoranze sul proprio territorio (in particolare la Francia).

Nonostante questa situazione, le novità introdotte con il Trattato di Lisbona hanno incoraggiato rappresentanti di varie minoranze a tentare di fare un passo in avanti. Lo strumento scelto per realizzare queste ambizioni è un’altra novità introdotta dal Trattato di Lisbona: l’Iniziativa dei Cittadini europei (ICE). In base all’articolo 11 comma 4 TUE almeno un milione di cittadini dell’Unione aventi la cittadinanza di un numero rilevante di Stati membri possono invitare la Commissione europea a presentare nell’ambito delle sue attribuzione una proposta su materie nelle quali ritengono necessario un atto giuridico dell’Unione ai fini di attuare i Trattati. Il regolamento UE n. 211/2011 del 16 febbraio 2011 disciplina il funzionamento dell’ICE prevedendo al suo articolo 4 che l’ICE debba essere registrata dalla Commissione europea, la quale può rifiutare tale registrazione se ritiene che la proposta esuli manifestamente dalle competenze della Commissione a presentare una proposta di iniziativa legislativa ai fini dell’applicazione dei Trattati.  Contro questa decisione può essere proposto ricorso di annullamento presso il Tribunale oppure ricorso al Mediatore Europeo.

La prima ICE con l’obiettivo di tutelare le minoranze etniche, culturali, religiose o linguistiche è stata proposta nel giugno 2013 da parte di cittadini ungheresi. Essa mira a realizzare una politica di coesione per l’uguaglianza delle regioni e per la preservazione delle culture regionali. Sostiene la necessità che l’Unione europea nella sua politica di coesione economica, sociale e territoriale rivolga particolare attenzione alle regioni considerate regioni a minoranze nazionali e cioè regioni le cui caratteristiche etniche, culturali, religiose o linguistiche differiscono dalle regioni circostanti, anche se comprendono zone geografiche prive di strutture dotate di competenze amministrative all’interno dello Stato membro al quale appartengono. In particolare, si richiede un atto che, fornendo una definizione di regioni a minoranza nazionale, accordi a queste l’accesso ai fondi e ai programmi della politica di coesione dell’Unione alla pari delle regioni finora ammesse in base alla classificazione comune delle unità territoriali per la statistica NUTS. L’obiettivo è di prevenire divari o ritardi di sviluppo economico di tali regioni e di preservare le culture regionali. La Commissione europea rifiutò la registrazione dell’ICE ritendendola manifestamente esulante dalla sua competenza a presentare una proposta di atto legislativo. Nella sentenza T-529/13 del 10 maggio 2016, il Tribunale respinse il ricorso di annullamento. In particolare, il Tribunale rileva che l’atto proposto doveva condurre a ridefinire la nozione di regione definita nel settore della politica di coesione tramite il conferimento di un vero e proprio status alle regioni a minoranza nazionale indipendentemente dalla situazione politica, amministrativa e istituzionale esistente negli Stati membri. Ciò avrebbe condotto alla violazione dell’obbligo di rispettare l’identità nazionale degli Stati membri di cui al comma 2 dell’articolo 2 TUE. Inoltre, agli occhi del giudice europeo, i ricorrenti non hanno dimostrato che l’attuazione della politica di coesione dell’Unione da parte dell’Unione stessa e degli Stati membri minacci le caratteristiche specifiche delle regioni a minoranza nazionale e violi di conseguenza l’obbligo di non discriminare le persone e le popolazioni in ragione della loro appartenenza a una minoranza nazionale di cui all’articolo 2 TUE e all’articolo 21 comma 2 CDF. Solo una tale situazione avrebbe permesso alla Commissione di proporre un atto legislativo per rimediare ad essa.

La seconda ICE in materia di diritti delle minoranze è la cd. “Minority Safepack – One million Signatures for Diversity in Europe”, ideata nell’ambito della FUEN (Federal Union of European Nationalites) e presentata nel 2013. Si tratta di un’ICE molto articolata che mira alla tutela delle persone appartenenti a minoranze nazionali e linguistiche e al rafforzamento della diversità culturale e linguistica nell’Unione. Sono proposte una serie di atti legislativi in base a varie disposizioni dei Trattati che spaziano dalle lingue regionali e di minoranza e dai settori dell’istruzione, della cultura e della politica regionale alle questioni della partecipazione politica e dell’uguaglianza fino alla politica audiovisiva e dei media, includendo anche disposizioni in materia di aiuti di stato. In particolare, si sottolinea il fatto che, benché i criteri di Copenaghen del 1992 pongano come uno dei requisiti per l’adesione all’Unione il rispetto e la tutela delle minoranze per evitare tensioni interne e conflitti, questo non vale più una volta diventati membri dell’Unione. L’ICE propone tra altro: una raccomandazione nei settori dell’istruzione, della gioventù e della cultura diretta a una politica di promozione e tutela della diversità linguistica e culturale nell’Unione; l’adattamento dei regolamenti nel settore della politica di coesione per rendere possibile l’accesso ai fondi alle comunità rappresentanti minoranze regionali e linguistiche e riconoscendo il loro ruolo; ripristinare i Centri per la diversità linguistica; realizzare un organo consultivo per il Parlamento europeo per dare una voce alle minoranze non rappresentate in Parlamento; integrare le norme antidiscriminatorie con una direttiva che contenga misure di promozione dell’uguaglianza materiale. La Commissione europea ha negato la registrazione dell’ICE argomentando che né l’articolo 2 TUE né l’articolo 3 comma 3 TUE o l’articolo 21 comma 1 CDF offrono una base giuridica per una competenza dell’Unione nel settore della tutela delle minoranze. Ne consegue che l’ICE esula manifestamente dalle competenze della Commissione impedendo alla Commissione di presentare il pacchetto di misure richieste dall’ICE. Il diniego di registrazione è stato impugnato davanti al Tribunale (causa T-646/13). In particolare, i ricorrenti sostengono che la Commissione avrebbe dovuto motivare puntualmente quali delle proposte esulavano manifestamente dalla propria competenza e di conseguenza registrare l’ICE in riferimento alle parti dell’iniziativa che rientravano nella competenza della Commissione a proporre un atto legislativo per l’attuazione dei Trattati. Il Tribunale dovrà dunque rispondere non solo in riferimento alle basi ritenute adeguati per implementare una politica mirata alla tutela delle minoranze, ma anche in relazione all’interpretazione delle disposizioni che riguardano la registrazione delle ICE da parte della Commissione. In questa prospettiva, la decisione del Tribunale, attesa per la fine del 2016, avrà anche una valenza generale per l’ICE. Nel caso che il Tribunale decidesse per l’obbligo della Commissione di valutare un’ICE punto per punto, questo imporrebbe un dovere di argomentazione molto puntuale alla Commissione. Inoltre, nel caso concreto potrebbe anche portare a qualche iniziativa come per esempio ad una raccomandazione nei settori dell’istruzione, della gioventù e della cultura diretta a una politica di promozione e tutela della diversità linguistica e culturale a livello europeo.

Il quadro giuridico attuale non stabilisce una competenza dell’Unione in materia di tutela delle minoranze, in quanto neanche il Trattato di Lisbona le ha attribuito una tale competenza. L’Unione può e deve osservare nell’esercizio dei propri poteri il fattore della diversità linguistica e culturale e i diritti delle persone appartenenti a minoranze.  Ma la competenza legislativa a definire questi diritti rimane a livello degli Stati membri secondo il loro ordinamento costituzionale e gli eventuali obblighi internazionali assunti in base a dei trattati anche multilaterali ai quali essi hanno aderito, come per esempio la Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali del 1995. Questa convenzione, elaborata nell’ambito del Consiglio d’Europa, conta fra le sue parti contraenti quasi tutti gli Stati membri dell’Unione, mancando all’appello solo la Francia, il Belgio e la Grecia. Nell’ambito del diritto dell’Unione, le decisioni del giudice europeo sui ricorsi pendenti sulle ICE in materia di tutela delle minoranze faranno senz’altro più chiarezza sulla misura nella quale la Commissione dovrà prendere in considerazione l’aspetto della tutela della diversità linguistica e regionale e gli eventuali aspetti collegati alla tutela dei diritti delle persone appartenenti a minoranze, per esempio nella sua politica di coesione economica, sociale e territoriale. Pare però poco probabile che ciò possa portare anche a una politica di realizzazione di misure cd. positive targate esplicitamente pro minoranze.