Il sindacato sulle revisioni costituzionali tra teoria e comparazione. In margine ad un recente libro di Sabrina Ragone

È un tema formidabile quello preso in esame nella recente monografia di Sabrina Ragone, I controlli giurisdizionali sulle revisioni costituzionali. Profili teorici e comparativi (Collana “Ricerche di diritto comparato”, Bononia University Press 2011, 203 pp.), e non solo perché interseca una serie di problemi centrali del dibattito costituzionalistico moderno, dalle metamorfosi del potere costituente al continuo riassestarsi dei rapporti tra potere legislativo e corti costituzionali. Il merito dell’autrice sta nell’aver ripreso temi così ampi e complessi ed aver applicato ad essi gli strumenti epistemologici della ricerca comparatistica, che finora si era occupata solo incidentalmente del problema, proponendo da par suo una ri-classificazione delle funzioni dei tribunali costituzionali prendendo come parametri di riferimento il fondamento, le modalità di esercizio ed i limiti del sindacato da parte di questi ultimi sulla costituzionalità delle revisioni costituzionali.


L’indagine si snoda in modo attento e dettagliato, dandosi cura di ordinare la mole imponente di materiale (in primo luogo ovviamente giurisprudenziale) emergente dall’analisi comparata aggregando i molti ordinamenti presi come casi studio non in base a variabili storiche o geografiche, bensì a partire dalle forme di controllo positivamente previste in costituzione (siano esse solo preventive, preventive e successive o solo successive) rispetto a quelle rivendicate nella prassi dalle corti costituzionali, distinguendo all’interno di questa categoria il controllo esercitato solo per vizi formali o anche per quelli sostanziali.

Il primo e più evidente motivo di interesse del libro di Ragone sta quindi proprio nello sforzo di proporre una tipizzazione delle forme di sindacato sulle revisioni costituzionali che si discosta dalle classificazioni consolidate, in primo luogo insistendo opportunamente sulla grande distinzione tra le ipotesi di controllo codificato  e quelle di controllo meramente rivendicato. Ed è significativo come, già da questo punto di vista, l’ampia indagine comparativa svolta nel volume (in cui un’attenzione particolare è dedicata agli ordinamenti latinoamericani, pur andando ben oltre) riveli le difficoltà di operare una rigida distinzione tra le categorie impiegate, considerato che, sulla strutturazione delle diverse forme di controllo giurisdizionale sulle revisioni costituzionali, operano e si sovrappongono fattori diversi come certamente l’influenza dei diversi “formanti”, ma ancora prima la tradizione costituzionale e le connesse variabili politiche e sociali che contraddistinguono i vari ordinamenti. Così, per fare un esempio, lo spazio di intervento e la stessa legittimazione ad intervenire dei tribunali costituzionali risentono in modo talvolta decisivo, oltre che di un’espressa attribuzione di competenza, del consolidamento del principio della superiorità costituzionale (esemplare, ad esempio, nella vicenda statunitense), che storicamente ha anche fatto emergere – secondo prospettive di cui l’Autrice dà ampiamente conto – la riflessione intorno al nucleo non rivedibile delle costituzioni nonché la configurazione del potere di revisione costituzionale come potere costituito o, tutt’al più, “costituente derivato” (riprendendo la formula diffusa nell’area latinoamericana del poder constituyente derivado).

Discorso analogo vale per l’accurata ricostruzione tipologica che Ragone propone per gli ordinamenti in cui il sindacato viene svolto solamente per vizi formali (Stati Uniti, Messico e Argentina) rispetto a quelli in cui il giudice di costituzionalità può prendere in esame anche i vizi sostanziali (come in Germania e Italia nonché, più problematicamente, in Perù e in India). Se infatti, almeno da Kelsen in poi, la sovrapponibilità tra i due vizi è una costante della riflessione costituzionalistica, la prospettiva che emerge da questa analisi getta una luce nuova sull’argomento, perché dimostra come, in chiave comparativa, si sia venuta progressivamente affermando l’idea che non è tanto la natura del vizio a venire in discussione (come a ritenere che esista un vizio che, in questa materia, sia di per sé solo formale o solo sostanziale), perché una volta proclamato un nucleo intangibile al potere di revisione, ogni lesione di esso ridonda comunque in un vizio di competenza, quasi a rimarcare l’oggettivazione dei principi costituzionali fondamentali ma anche, al tempo stesso, il tentativo delle corti di non essere accusate di volersi sostituire alla volontà degli organi rappresentativi.

Un ulteriore motivo di interesse della ricerca è che l’ampia rassegna giurisprudenziale e dottrinale – che si muove su coordinate spaziali molto ampie, dal Cile al Sudafrica, dalla Germania all’Argentina, all’India – riesce a dimostrare per tabulas come la spesso decantata, ed il più delle volte semplicistica, affermazione su scala globale di un modello di “stato costituzionale” si riveli decisamente articolata e complessa proprio a partire dagli itinerari attraverso i quali in primis i giudici di costituzionalità, ed in subordine la dottrina, (ri)costruiscono i margini per garantire un limite all’azione delle maggioranze politiche. In particolare, appaiono emblematiche le vicende legate all’inquadramento di quelle revisioni con cui, specialmente in Costa Rica e in Colombia, si è tentato di rimuovere i limiti alla rielezione del capo dello stato: casi nei quali, come ampiamente viene spiegato nel volume (pp. 69 e ss.), pur nella vigenza dei medesimi parametri costituzionali si alternano decisioni volte a qualificare scelte simili come political questions e decisioni che, al contrario, fanno leva sul principio di alternanza e sulla pienezza e libertà del diritto di voto per sanzionarne l’incostituzionalità.

Un altro tratto caratterizzante del volume di Sabrina Ragone attiene invece al profilo strettamente metodologico. L’Autrice, infatti, chiarisce sin dalle prime pagine che l’approccio comparatistico, che qualifica e caratterizza l’intera ricerca, è rivolto a far emergere dei tratti comuni rispetto al tema studiato, “tali da consentire una visione sistematica della funzione di controllo della costituzionalità delle revisioni” (p. 17) nonché, parallelamente, a configurare il controllo di costituzionalità sulle revisioni costituzionali come una distinta funzione delle corti costituzionali, “ulteriore” rispetto alle tradizionali funzioni arbitrali tra centro e periferia e di controllo di costituzionalità sulla legislazione ordinaria (p. 18).

Da questa prospettiva, sono degne di attenta considerazione alcune delle conclusioni che, nel capitolo finale, l’Autrice trae al fine di evidenziare i tratti comuni agli ordinamenti e ai modelli presi in esame. Allorché, ad esempio, si riflette sul proprium del sindacato sulle revisioni costituzionali e sulle sue specificità rispetto all’ordinario sindacato di costituzionalità, questo viene rinvenuto nella funzione di salvaguardia dell’”identità costituzionale”, coincidente il più delle volte con una nozione lato sensu intesa di forma di stato, che si qualifica primariamente in ragione della connessione tra principio democratico e tutela dei diritti (p. 157) e che opera, con tutti i dovuti adattamenti, quale argine ultimo rispetto all’azione delle maggioranze politiche. Sulla stessa scia, la progressiva affermazione della legittimazione delle corti costituzionali a sindacare le leggi di revisione fa emergere sempre più chiaramente come queste ultime siano venute assumendo il ruolo di “controllori ultimi” del legislatore, perché – ancora prima che nelle concrete dinamiche dei singoli ordinamenti – “è la Costituzione medesima a consacrare, accanto ad un potere democratico (il legislativo) un organo ‘intellettualmente aristocratico’, che possa arginare eventuali scelte illegittime” (p. 166). Dove, sembra di capire, la particolare accezione sia della “forma di stato” che della Costituzione ambiscono a rappresentare non solo il modo d’essere degli ordinamenti presi in esame, ma identificano sempre di più categorie dalla portata generale, in grado di rivendicare almeno potenzialmente una prevalenza assiologica su altri modelli, in ipotesi confliggenti o anche solo alternativi.

A partire da questi spunti, tra i molti altri che il libro offre al lettore, mi sembra che la cifra metodologica della ricerca stia proprio nella sforzo di saldare alla ricerca comparatistica “in senso stretto” – coincidente con la raccolta e l’elaborazione del materiale normativo e giurisprudenziale promanante dai singoli ordinamenti presi in esame e la sua successiva sistemazione in tipi e categorie –, una riflessione, come appunto si prefiggeva l’Autrice, “sistematica” sulle costanti e le continuità tra le molte e complesse variabili esaminate, che la porta a trarre conclusioni che avvalorano l’esistenza, si potrebbe dire, di un comune denominatore intorno al tema oggetto di esame. Un comune denominatore che talvolta, soprattutto in ragione dell’ampiezza dell’analisi e dell’attenta e consapevole sistemazione dei dati raccolti, finisce inevitabilmente per offrire una prospettiva generale di inquadramento del problema, valevole anche al di là dei casi esaminati. Riflettere su questa cifra del libro di Sabrina Ragone – che l’Autrice persegue assai coerentemente, sulla scia del resto della prevalente dottrina comparatistica ma su un terreno di ricerca in larga parte inesplorato – può essere quindi utile, a riprova ulteriore del valore del volume, per riflettere su alcuni tratti identificativi dell’odierno metodo comparatistico, che proprio da questo punto di vista sembra avere ridato lustro, almeno in una certa misura, alla lezione metodologica consolidata della teoria generale.