La chiesa dei diritti al centro del villaggio e il monumento più perenne del bronzo Recensione a Le tutele nel dedalo d’Europa Elena Falletti e Valeria Piccone (a cura di), Napoli, 2016

Il Volume “Le tutele nel dedalo d’Europa” a cura di Elena Falletti e Valeria Piccone, che inaugura la collana “Le giurisdizioni nella costruzione dell’Europa”, corona il tentativo di restituire, in un’epoca di crisi per l’Europa, per le sue istituzioni e, di riflesso, per i suoi cittadini, uno spaccato che consenta di recuperare la fiducia, guardando soprattutto alle conquiste che Europa ha saputo faticosamente conseguire attraverso lo strumento del dialogo tra le giurisdizioni nazionali ed europee.

Un dialogo a lungo e sapientemente coltivato, seppure non sempre nel segno della convergenza e talvolta costellato da qualche timore ed esitazione di troppo, che ha permesso di segnare tappe di cruciale importanza e raggiungere tappe, nel processo di integrazione, la cui portata e il cui effettivo valore non possono essere svalutati o rivisitati; ma che devono, al contrario, recuperare la propria centralitá in un’epoca dominata dall’incertezza di cui la recessione economica e i venti del populismo, uniti a un diffuso sentimento di insicurezza acuito dal terrorismo di matrice religiosa, hanno contagiato anche il credo, un tempo ben più solido, nella costruzione europea.

Come il Professor Tesauro ha evidenziato nella sua prefazione, è del resto merito soprattutto del dialogo tra le corti se, nel silenzio dei trattati, l’interpretazione offerta dei principi generali del diritto dell’unione ha permesso di emancipare gradualmente l’Europa dalla sua originaria fisionomia di organizzazione per la cooperazione economica, spingendola ad assumere le sembianze di un vero e proprio Stato di diritto di cui la protezione dei diritti fondamentali rappresenta un elemento centrale e qualificante.

È inevitabile che in una prospettiva dialogica, essendo rimasto per ora tendenzialmente incompiuto il disegno di rivitalizzare una vera e propria giurisdizione consultiva per la Corte di Strasburgo, il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia ha rappresentanto, come ricorda lo stesso Presidente Tesuaro, lo strumento più importante per mettere in contatto le giurisdizioni degli Stati membri con l’Europa e il suo diritto in una prospettiva critica e dialettica. L’importanza di tale strumento, del resto, pare confermata dallo sdoganamento che il suo utilizzo ha conosciuto in tempi più recenti da parte delle corti costituzionali, restìe in un primo momento a farvi ricorso.

È anche per il tramite del rinvio pregiudiziale che l’interpretazione conforme a Costituzione può ora dirsi a tutti gli effetti anche interpretazione conforme anche al primato del diritto dell’Unione europea. Certo, resistono fisiologiche aree di eccezione in cui un ricorso forse troppo disinvolto può risolversi in una eterogenesi dei fini, in cui una logica dialogante finisca per comprimere, in definitiva, lo spazio dei diritti, come il caso Taricco potrebbe forse testimoniare.

Non si può tuttavia negare, a dispetto di episodiche sortite, che è attraverso il dialogo tra le giurisdizioni che si è addivenuti alla creazione di un patrimonio europeo di diritti fondamentali, soprattutto in un contesto ordinamentale come quello dell’Unione che ne nasceva scevro, grazie a una logica osmotica che ha permesso alla Corte di giustizia di iniettare nelle radici in cui affondano le fondamenta comunitarie il contributo della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e dei principi generali.

Nell’articolare questo racconto, il Volume suddivide in tre parti la trattazione, che potremmo idealmente collegare al passato (inteso come momento di costruzione delle precondizioni per un ordinamento multilivello dialogante), al presente (inteso non solo come status quo ma come narrazione degli sforzi e delle tecniche elaborati nel dialogo giurisdizionale) e al futuro (stavolta…per esplicita ammissione del Volume).

La prima parte è dunque dedicata a quello che si potrebbe definire come l’esito del percorso che ha caratterizzato la formazione di una dialettica interordinamentale, in cui l’Europa ha assunto la attuale configurazione e fisionomia: al centro delle riflessioni si colloca infatti il primato del diritto dell’Unione, e il modo in cui tale principio, una volta emerso, non a caso per via pretoria, ha condizionato le dinamiche relazionali con i giudici degli Stati membri, nell’immediato e nel lungo periodo. Interrogarsi su quale sia l’ereditá di questo principio permette, in uno scenario di crisi per l’Europa, di ritornare idealmente le tappe iniziali del cammino di integrazione europea, per recuperare il senso di un rapporto ordinamentale che nasce come dialogante e che fa degli organi giurisdizionali il perno di un sistema alla ricerca di un non facile allineamento e di una coerenza interna che non sacrifichi sull’altare dell’integrazione le identitá nazionali.

La seconda parte del Volume si concentra sull’esperienza applicativa delle corti in questa relazione dialogante e dunque rappresenta, pur in una prospettiva dinamica, lo status quo, con particolare attenzione al tame dei diritti, suddividendo il piano di osservazione tra la prospettiva del diritto civile e quella del diritto penale

Il contributo della magistratura al Volume appare apprezzabile soprattutto in questa sezione, laddove si consente di rappresentare e far emerge  un punto di vista privilegiato di chi vanta una speciale prossimità con le situazioni di volta in volta alla ricerca di tutela.

Fattispecie che hanno imposto l’individuazione di soluzioni che, per un verso, fossero conformi al diritto dell’Unione e al principio che ne esige il primato; e per altro, non snaturassero eccessivamente il patrimonio giuridico formatosi a livello degli Stati membri, per esempio andando oltre il mandato e il perimetro d’azione del diritto dell’Unione.

Diversi sono i temi sui quali la giurisprudenza delle corti nazionali si è esercitata nel dialogo insturato con la Corte di giustizia: delle protezione dei diritti della sfera sociale, al grande tema delle discriminazioni, ambiti nei quali il primato dell’Unione europea e la dialettica tra organi giurisdizionali hanno rivestito particolare importanza.

Ma il Volume dedica ampia e approfondita trattazione anche ad alcuni profili di ordine metodologico e operativo che investono la dinamica dialogica tra Stati membri, Lussemburgo e Strasburgo, soffermandosi su tematiche come il ruolo del margine di apprezzamento e la sua interpretazione da parte delle corti, i poteri dei giudici nazionali nel rapporto con la Corte di giustizia e, e l’influenza della nuovo contesto interodinamentale sull’esercizio della giurisdizione, in particolare per quanto attiene ai giudici di legittimità, cui spetta idealmente, in questa direzione, un ruolo di “chiusura del sistema”.

Parimenti grande interesse desta il confronto che si gioca sul terreno del diritto penale, laddove l’affermazione di una specifica competenza in seno all’Unione europea risulta più recente e in cui ancora si assiste talvolta, come la sentenza Taricco sembra dar prova, a vere e proprie scosse ordinamentali. Il Volume presenta in chiave critica, in questa sezione della seconda parte, le importanti conquiste che l’Unione europea e gli Stati membri hanno conseguito nelle varie tappe della costruzione, anche sotto il profilo “istituzionale”, di un diritto penale europeo.

E descrive con disincantata fiducia anche le difficoltà che questo processo ha incontrato e ha ingenerato, senza sottacere le difficoltà e incertezze ancora esistenti, ma anche le opportunitá emergenti, dopo l’introduzione di una più ampia e chiara cooperazione penale nel Trattato di Lisbona.

La rappresentazione disincantata e non scevra dalle criticità che tuttora persistono su questo terreno, generando perplessità dalla maggior parte dei commentatori, trova un eccezionale testimone nella sentenza Taricco. Una decisione, quest’ultima, che ha posto un problema più ampio rispetto alla semplice questione, di per sè assai circoscritta, che era stata deferita alla Corte di giustizia. Questa sentenza, infatti, reca con sè il rischio di produrre conseguenze eccessivamente invasive e che espongono a tensione il sottile e bilanciato equilibrio che da sempre descrive i non facili rapporti tra gli Stati membri e l’Unione europea in materia penale. Non è casuale, del resto, che in questo settore si sia storicamente assistito a maggiori difficoltà in funzione della refrattarietá dimostrata da alcuni Stati ad accettare la sovranitá dell’Unione in una materia che è sempre stata ritenuta legata alla irripetibile discrezionalità dei legislatori nazionali.

La vicenda Taricco restituirà la narrazione della misura in cui questa pretesa di una resistenza da parte di alcuni degli Stati membri in materia penale rispetto all’applicazione, ancorchè disinvolta, del diritto europeo possa trovare seguito o meno; e racconterà parimenti in quale misura il diritto dell’Unione sia in grado di condizionare, per esempio, le scelte di criminalizzazione e le rispettive modalità adottate dagli Stati membri, scelte che un tempo sarebbero state considerate radicalmente esulare dall’ambito di competenza dell’Unione europea.

Esaurita la trattazione della seconda parte, il Volume si concentra, infine, sul futuro dell’Europa e in particolare sul suo futuro costituzionale. Non si tratta di una mera ridondanza lessicale ma di una precisa indicazione semantica. La terza parte compendia un insieme di riflessioni che intercettano una serie di problematiche di grande attualità non solo dal punto di vista strettamente giuridico ma anche da uno meramente culturale e politico. I temi sono del resto molteplici e descrivono lo scenario di crisi che percorre l’Europa, non solo come entitá e costruzione giuridica.

Proprio per questo è necessario, con uno slancio rivolto al futuro, individuare se gli strumenti attualmente esistenti nel diritto dell’Unione europea, quali le procedure di infrazione o un ricorso più ampio alle tradizioni costituzionali comuni, o anche un’accentuazione della linea dialogica orizzontale tra Lussemburgo e Strasburgo possono giocare un ruolo dirimente nel tutelare l’essenza del progetto europeo e la sua configurazione quale stato di diritto. Una fisionomia sempre più esposta a tensioni, non ultimo il diffondersi minaccioso di movimenti euroscettici e populisti che si collocano in una direzione opposta a quella sinora percorsa dall’integrazione europea. È davvero importante, dunque, che il Volume si concluda fronteggiando uno scenario di crisi e guardando agli strumenti giurisdizionali a tutela dei diritti. Infatti, se c’è una matrice e una radice comune che percorre come un denominatore comune il processo di integrazione europea, questa va propriamente identificata nella tutela dei diritti.

È quindi questo un momento in cui l’Europa necessita di un recupero di strumenti pensati in tempi in cui gli scenari di crisi non erano probabilmente inimmaginabili, e il progetto di integrazione era invece ambito e condiviso. Tale recupero serve a contrastare le tendenze e i venti che soffiano da oriente come da occidente e che costringono l’Europa ad arroccarsi timorosa sui propri confini.

Questi scenari impongono prima di tutto all’Europa stessa di rivitalizzare le proprie fondamenta per recuperare la propria identità e reagire con un senso di comunità alle minacce che ne attentano le basi, la sicurezza, in definitiva il futuro come stato di diritto.

È dunque un volume, quello a cura di Elena Falletti e Valeria Piccone, che non si limita a descrivere le conquiste che la cooperazione tra le giurisdizioni nazionali ed europee ha permesso di acquisire, ma che in aggiunta a operare una sapiente ricognizione, non immune, laddove necessario, dall’uso di toni critici, indica la via e offre gli strumenti per recuperare il sapiente uso di una dinamica dialettica nella quale si assista alla valorizzazione fondamentale della funzione giurisdizionale come perno del sistema, soprattutto nei momenti storici in cui i legislatori latitano e il crinale di tutela delle libertà e dei diritti vacilla.

Una bella lettura, per chi è convinto occorra un deciso e determinato recupero degli strumenti e dei valori che hanno permesso ai primi sei Stati membri che ne furono fondatori di edificare un monumento che tutti noi dobbiamo confidare, mutuando le parole di Orazio, più perenne del bronzo.