La Consulta rimette abilmente a punto la strategia dei suoi rapporti con la Corte EDU e, indossando la maschera della consonanza, cela il volto di un sostanziale, perdurante dissenso nei riguardi della giurisprudenza convenzionale

(“a prima lettura” di Corte cost. n. 264 del 2012)*

* La nota riproduce i contenuti salienti di una lezione svolta presso il dottorato in Scienze Giuridiche dell’Università di Pisa il 13 dicembre 2012.

Sommario: 1. Delimitazione dell’oggetto della riflessione ora svolta e cenni all’orientamento della Corte EDU in merito alle leggi d’interpretazione autentica ed alla reazione nei suoi riguardi manifestata dalla prima giurisprudenza costituzionale. – 2. Il mutamento di linea strategica reso palese dalla pronunzia in commento: l’abbandono del riferimento alla certezza del diritto quale “imperioso motivo d’interesse pubblico” e la sottolineatura della diversa prospettiva da cui le Corti guardano alla tutela dei diritti, quella europea facendosi cura del singolo diritto in gioco, diversamente da quella costituzionale che si fa cura dell’intero sistema dei diritti (e, in genere, degli interessi costituzionalmente protetti). – 3. Il bilanciamento tra pretese soggettive e interessi della collettività, con particolare riguardo alla osservanza dei vincoli di stabilità e di parità del bilancio, e l’uso singolare che la Corte fa del principio secondo cui il rispetto della giurisprudenza EDU resta circoscritto alla sua sola “sostanza”, coi vantaggi e però pure gli inconvenienti che possono aversi nella pratica giuridica per effetto delle selezioni operate in seno alla giurisprudenza suddetta. – 4. La maschera e il volto: l’una ci mostra una Corte sensibile interprete dell’esigenza di far sempre valere il sistema, l’altro è quello di una Corte preoccupata dell’esigenza di far comunque quadrare i conti, ovverosia quando il fondamento dei diritti non è più nella Costituzione (o in altre Carte) bensì unicamente nel contesto, specie per come segnato dalla gravissima congiuntura economica in atto.

 

1.Delimitazione dell’oggetto della riflessione ora svolta e cenni all’orientamento della Corte EDU in merito alle leggi d’interpretazione autentica ed alla reazione nei suoi riguardi manifestata dalla prima giurisprudenza costituzionale

Nulla ora dirò di ciò che si dice nella decisione cui si dirige questo breve commento a riguardo del rilievo della CEDU in ambito interno e, dunque, del modo complessivo di essere dei suoi rapporti con le leggi da un canto, la Costituzione dall’altro. In particolare, non indugerò su quelli che lo stesso giudice costituzionale considera i punti fermi del proprio indirizzo in merito ai rapporti in discorso, richiamati in sunto anche dalla decisione ora annotata[1]: ad es., per ciò che attiene al carattere comunque “subcostituzionale” che è proprio della Convenzione, all’obbligo fatto ai giudici di esperire il tentativo di interpretare le leggi in modo conforme a Convenzione, nel significato datovi dalla Corte di Strasburgo, nonché all’obbligo, conseguente all’esito infruttuoso del tentativo stesso, di adire la Consulta, ritenendosi loro precluso di far luogo in ogni caso all’applicazione diretta della Convenzione[2].
Mi limito, dunque, solo a trarre spunto dall’annosa vicenda delle leggi d’interpretazione autentica, che qui non ripercorro passo passo a motivo della sua notorietà[3], per ricavarne qualche indicazione di ordine generale, idonea cioè a portarsi oltre il thema decidendum, nel tentativo di stabilire quale sia la strategia di fondo che il giudice delle leggi va definendo al piano dei suoi rapporti con la Corte EDU, ponendo le basi su cui i rapporti stessi possano saldamente reggersi e dalle quali muovere nei loro prossimi svolgimenti.
Rammento in due parole qual è il percorso giurisprudenziale tracciato dalla Corte EDU con Agrati e Maggio, a riguardo delle leggi d’interpretazione autentica: da un canto, è palese la preoccupata attenzione per i diritti soggettivi (anche sociali o, meglio, “economico-sociali”)[4], la cui salvaguardia, rivendicata in sede giudiziaria, potrebbe risultare vanificata da interventi del legislatore interferenti con l’amministrazione della giustizia e, come tali, lesivi dell’art. 6 della Convenzione; dall’altro, non si dichiara la violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1, conseguente alla riduzione della pensione per effetto della interpretazione “autentica” operata dal legislatore stesso.
La reazione della Corte italiana si presenta in forme differenziate nel corso del tempo ed a mezzo di tecniche decisorie parimenti diverse.
Dapprima, viene adottata una strategia processuale che non cela il contrasto di vedute rispetto alla Corte europea a riguardo delle condizioni di azionabilità e dei limiti di svolgimento delle operazioni di interpretazione autentica. L’indirizzo adottato a Strasburgo appare infatti essere tendenzialmente restrittivo: per norma, le leggi stesse non possono aversi, siccome appunto interferenti col fisiologico esercizio della funzione giurisdizionale, salvo comunque il caso, di tutta evidenza ritenuto eccezionale, che soccorrano (non meglio definiti) “imperiosi motivi d’interesse pubblico”. Tendenzialmente di favore è, di contro, l’indirizzo patrocinato dalla Consulta, che annovera tra tali motivi proprio quello della certezza del diritto[5]: un’affermazione praticamente tautologica[6], che potrebbe in fin dei conti portare a mettere al riparo dalla sua caducazione pressoché ogni legge che si autoqualifichi d’interpretazione autentica[7], i ripetuti appelli ai giudici fatti dai ricorrenti e le resistenze opposte dall’amministrazione statale evidenziando per tabulas l’esistenza di contrasti interpretativi tali appunto da giustificare l’intervento del legislatore.

 

2.Il mutamento di linea strategica reso palese dalla pronunzia in commento: l’abbandono del riferimento alla certezza del diritto quale “imperioso motivo d’interesse pubblico” e la sottolineatura della diversa prospettiva da cui le Corti guardano alla tutela dei diritti, quella europea facendosi cura del singolo diritto in gioco, diversamente da quella costituzionale che si fa cura dell’intero sistema dei diritti (e, in genere, degli interessi costituzionalmente protetti)

Ora, con la decisione qui annotata si rende palese un significativo mutamento di strategia processuale.
Il debole argomento teorico che si rifà alla certezza, offrendo “copertura” alle leggi in discorso, non è qui più riproposto, così come si abbandona il terreno del confronto (e del possibile, temuto scontro) con la giurisprudenza EDU costituito dall’art. 6. La Corte, in fondo (e tra le righe), sembra ammettere la violazione del principio del giusto processo; e, d’altro canto, una volta che essa sia ormai stata riconosciuta dal giudice europeo, sarebbe vano contestarla. Sposta, dunque, il tiro e dà al discorso un tono più elevato, dotandolo di un respiro teorico che non appare presente nei ragionamenti fatti a Strasburgo, maggiormente segnati dalla concretezza del caso e dalle pretese soggettive in esso avanzate.
Riprendendo un’indicazione affacciata da una sensibile dottrina[8], la Corte rileva in premessa la diversità delle prospettive, rispettivamente adottate da se stessa e dalla Corte europea, dalle quali si guarda alle questioni di giustizia portate alla cognizione di ciascuna Corte: a Strasburgo, preme stabilire se v’è stata, o no, la violazione del singolo diritto in gioco; a Roma, non ci si può fermare a questo soltanto e devesi piuttosto verificare che ne è dell’intero sistema dei diritti e, più largamente, dei beni o interessi costituzionalmente protetti[9].
Non è chiaro, per vero, se, marcando la diversità delle prospettive, la Corte punti allo stesso tempo ad evidenziare lo “stacco” esistente tra se stessa, quale giudice stricto sensu ed optimo iure costituzionale, e la Corte europea, giudice pur sempre internazionale, malgrado ormai molti segni si abbiano della vocazione di tale giudice (al pari, peraltro, della Corte dell’Unione europea[10]) alla propria “costituzionalizzazione”, senza nondimeno che ne risulti per ciò rinnegata l’origine e la peculiare connotazione; ovvero se punti, puramente e semplicemente, a fare del “sistema” il grimaldello che apra al giudice delle leggi la porta per sfuggire alla “presa” del giudice convenzionale, sgravandolo dell’obbligo di conformarsi a pronunzie da quest’ultimo emesse che risultino alla Consulta sgradite[11].
Sta di fatto che è al piano del “sistema” che – ci dice la pronunzia qui annotata – va, dunque, raffrontata la tutela, rispettivamente apprestata dalle norme convenzionali e da quelle di diritto interno, onde stabilire quale di esse risulti essere maggiormente intensa[12].
La Corte riprende sul punto un’indicazione più volte data (spec. in sent. n. 317 del 2009[13]), ammettendo espressamente l’eventualità che dalla disciplina convenzionale possa venire una garanzia ancora più avanzata ai diritti[14]. Altra cosa ancora, qui come altrove non chiarita, è quale sia il parametro o il criterio che consenta di “misurare” il grado o la intensità della tutela, fermo restando che la soluzione ottimale è quella che risulta non già in applicazione della “logica” dell’aut-aut, espressiva del primato di questa o quella norma (o, meglio, di questo o quel sistema di norme), bensì l’altra che porta alla “integrazione delle tutele”[15]; ma, è chiaro che la nostra Corte si riserva pur sempre, dal proprio punto di vista (vale a dire, dal punto di vista dell’ordinamento di appartenenza), di poter dire la parola definitiva al riguardo. Non sappiamo, tuttavia, cosa possa accadere nel caso che tale parola risulti quindi incompatibile rispetto ad una (anteriore ovvero sopravveniente) pronunzia della Corte EDU[16]; al giudice delle leggi non fanno, ad ogni buon conto, difetto le risorse argomentative che consentano di “smarcarsi” dal pressing esercitato dalla Corte europea, secondo quanto già ampiamente dimostrato in passato e di cui qui pure si è avuta ulteriore conferma.
Sappiamo da risalenti pronunzie che la Corte orgogliosamente rivendica esser la tutela apprestata ai diritti dalla Costituzione non inferiore a quella data da qualsivoglia altra Carta (CEDU compresa)[17]. Quando pure tuttavia dovesse aversi riscontro dell’ipotesi formulata nell’art. 53 della Convenzione, laddove si configura come “sussidiario” il ruolo esercitato dalla Convenzione stessa (e dalla sua Corte), ugualmente potrebbe darsi – è questo il punto che sta oggi a cuore alla Consulta di fissare in modo fermo – che, seppur la salvaguardia di un diritto dato risulti maggiormente avanzata secondo la disciplina posta dalla CEDU[18], l’intero sistema di beni riceva dalla Costituzione una protezione tale da consentire di pervenire a sintesi assiologiche maggiormente apprezzabili in relazione alle esigenze del caso rispetto a quelle raggiungibili in base alle previsioni convenzionali. Detto altrimenti: la Corte rilegge ed adatta, al fine dell’affermazione della Costituzione come “sistema”, l’art. 53 della Convenzione, discostandosi nettamente dal modo con cui esso è inteso e praticato a Strasburgo[19].

 

3.Il bilanciamento tra pretese soggettive e interessi della collettività, con particolare riguardo alla osservanza dei vincoli di stabilità e di parità del bilancio, e l’uso singolare che la Corte fa del principio secondo cui il rispetto della giurisprudenza EDU resta circoscritto alla sua sola “sostanza”, coi vantaggi e però pure gli inconvenienti che possono aversi nella pratica giuridica per effetto delle selezioni operate in seno alla giurisprudenza suddetta

A sostegno dell’operazione condotta, la Corte fa abilmente appello anche ad interessi che sono, sì, dell’intera collettività ma che nondimeno fanno altresì capo ai soggetti riguardati dalle norme sub iudice: interessi di prima grandezza, in cui si specchiano valori fondamentali, quali quello della uguaglianza e della solidarietà[20]; è, però, chiaro che il bilanciamento che può dar modo di mettere in secondo piano (o, diciamo pure, da canto) la pretesa economica del ricorrente, pur laddove costituzionalmente fondata, va operato con interessi che, specie nella presente congiuntura caratterizzata da una crisi economica senza precedenti, non possono in alcun caso o modo essere posposti, in particolare quello alla osservanza dei vincoli di stabilità e di parità del bilancio imposti, a un tempo, dall’Unione europea e dall’art. 81 della Carta costituzionale, così come riscritto dalla legge cost. n. 1 del 2012.
Il punto è di estremo rilievo, per più aspetti ed a più piani di riflessione teorica.
La Corte è accorta nel rilevare che l’interesse a far quadrare i conti, “al fine di garantire un sistema previdenziale sostenibile e bilanciato”[21], è uno di quegli interessi pubblici “imperiosi” che, secondo la giurisprudenza EDU, può giustificare il sacrificio delle posizioni soggettive. Ed è altresì accorta nel rammentare, nella chiusa del suo articolato ragionamento, quanto ha più volte dichiarato[22], vale a dire che la giurisprudenza stessa richiede di esser osservata non già in ogni sua parte bensì unicamente nella sua “sostanza”: una “sostanza” che, a suo dire, autorizzerebbe ad avere riguardo, se del caso, anche ad un solo frammento di un indirizzo internamente composito delineato a Strasburgo, nella sua parte cioè in cui è stata esclusa la violazione del Protocollo n. 1, chiudendo un occhio (o, meglio, tutti e due…) davanti alla pur acclarata violazione dell’art. 6 della CEDU.
Qui è, a mio modo di vedere, una palese debolezza di passaggio argomentativo, ove si convenga che, riferita ad una pronunzia data, la sua “sostanza” non possa che risultare dall’insieme della pronunzia stessa, non già da una sola delle decisioni in essa incorporate, quella sfavorevole alla pretesa del ricorrente, tralasciando invece per intero l’altra di segno opposto (la dichiarazione della violazione dell’art. 6, cit.). Ed è del tutto chiaro che, orba la pronunzia della Corte EDU di una sua parte costitutiva essenziale, il significato dell’insieme subisce una profonda, irreparabile alterazione[23].
Il riferimento alla “sostanza” è, ad ogni buon conto, l’espressione di una tecnica decisoria raffinata, che offre il destro alla Corte per far luogo a vistose selezioni e manipolazioni della giurisprudenza europea[24]. La qual cosa, per vero, qualche vantaggio pure lo dà, quale quello di rendere estremamente remota l’eventualità, in astratto dalla Consulta non scartata, che sia prima o poi dichiarata l’incompatibilità di questa o quella norma convenzionale rispetto alla Costituzione[25] o, ancora, l’altro di far risaltare le specificità culturali e positive della tutela data ai diritti in ambito interno rispetto a quella apprestata dalla Convenzione. La salvaguardia dell’identità costituzionale, tuttavia, non può (e non deve) far da ostacolo alla diffusione di quel “patrimonio costituzionale comune” – per riprender una fortunata espressione di un’autorevole dottrina[26] – che ha proprio presso le Corti europee il luogo elettivo della sua custodia ed emersione[27].
Per altro verso, il richiamo alla “sostanza” fa correre il rischio di uno scostamento (sostanziale, appunto) dalla CEDU, vanificandosi pertanto il raggiungimento di quell’obiettivo dell’impianto di pratiche interpretative diffuse convenzionalmente orientate che la Consulta considera quale l’autentica stella polare che guida il quotidiano e non di rado sofferto cammino di tutti gli operatori di diritto interno (Corte inclusa…)[28].
Sta di fatto che quello alla “sostanza” è un riferimento prezioso, perché è proprio il frutto delle selezioni effettuate nel suo nome che entra a comporre quel bilanciamento che la Corte riserva a se stessa, orientandone il verso, fino appunto a determinarne l’esito.

 

4.La maschera e il volto: l’una ci mostra una Corte sensibile interprete dell’esigenza di far sempre valere il sistema, l’altro è quello di una Corte preoccupata dell’esigenza di far comunque quadrare i conti, ovverosia quando il fondamento dei diritti non è più nella Costituzione (o in altre Carte) bensì unicamente nel contesto, specie per come segnato dalla gravissima congiuntura economica in atto

Da una prospettiva di più ampio respiro, poi, la soluzione oggi accolta dal giudice costituzionale offre un’ulteriore, eloquente testimonianza del fatto che il fondamento dei diritti fondamentali non sta oggi tanto nella Costituzione o in altre Carte, che pure ne danno l’astratto riconoscimento, bensì nel contesto: un contesto, di certo, al presente non benigno per i diritti stessi (specie per alcuni diritti e di alcuni soggetti[29]), obbligati a forti riduzioni di senso ed a pressoché sistematico sacrificio davanti al pressante e prioritario bisogno di far salvi i vincoli di ordine economico-finanziario imposti dall’Unione (e – come si diceva – ora anche dall’art. 81 cost.).
C’è, come si suol dire, la maschera e il volto: l’una ci mostra una Consulta sensibile interprete dell’esigenza di far sempre valere il sistema, a mezzo degli opportuni bilanciamenti tra gli interessi costituzionalmente protetti; l’altro è quello di una Corte preoccupata di anteporre le esigenze dell’erario ad ogni cosa, persino appunto ai diritti fondamentali (e, in ultima istanza, alla dignità della persona umana[30]), esigenze alla luce delle quali si verifica di volta in volta fin dove sia possibile restare in asse rispetto agli indirizzi delineati dalla Corte EDU, costi quel che costi: persino, dunque, laddove si tratti di far passare per “interpretativa” una legge che tale, a conti fatti, non è[31].
È col metro che dà modo di apprezzare la consistenza di tali esigenze che si misura e verifica la possibilità di mantenere aperto (ed anzi di ravvivare senza sosta) il “dialogo” tra le Corti: un “dialogo” vero, non già quel doppio monologo tra parlanti lingue diverse che ha fin qui, non poche volte, segnato lo svolgimento dei rapporti tra le Corti stesse in talune delle sue più rilevanti espressioni.

[1] V., in particolare, il punto 4 del cons. in dir.

[2] Quest’ultimo punto, in special modo, ha – come si sa – animato un fitto dibattito, ad oggi in corso, alcuni ritenendo che l’applicazione diretta dovrebbe esser sempre consentita ai giudici, altri invece dichiarandosi ad essa favorevoli unicamente al ricorrere di talune circostanze. Di tutto ciò, nondimeno, non tocca ora dire; mi limito solo a far notare, facendo richiamo ad un rilievo altrove svolto, come per una singolare eterogenesi dei fini per effetto dell’indirizzo accolto dal giudice costituzionale non poche volte i giudici facciano luogo ad adattamenti interpretativi dei testi di legge forzatamente orientati verso la Convenzione, in buona sostanza facendo applicazione diretta di quest’ultima (e, dunque, della sua giurisprudenza). Altre volte, poi, la sospetta incompatibilità della legge a Convenzione non viene denunziata davanti alla Consulta, nel timore che presso quest’ultima possa aversi non già la dichiarazione della invalidità della fonte interna bensì quella della incompatibilità della fonte convenzionale a Costituzione. Ed è così che norme legislative dalla assai dubbia conformità a CEDU seguitano imperterrite ad essere portate ad applicazione… (su ciò, di recente, E. Lamarque, Corte costituzionale e giudici nell’Italia repubblicana, Roma-Bari 2012, 138 s.).

[3] Tra i molti commenti, M. Massa, Agrati: Corte europea vs. Corte costituzionale sui limiti alla retroattività, e il mio, Ieri il giudicato penale, oggi le leggi retroattive d’interpretazione autentica, e domani? (a margine di Corte EDU 7 giugno 2011, Agrati ed altri c. Italia), entrambi in www.forumcostituzionale.it, e in Quad. cost., 3/2011, rispettivamente, 706 ss. e 709 ss.; S. Foà, Un conflitto di interpretazione tra Corte costituzionale e Corte europea dei diritti dell’uomo: leggi di interpretazione autentica e ragioni imperative di interesse generale, in www.federalismi.it, 15/2011; ancora M. Massa, Dopo il caso Agrati il caso Scattolon: le leggi interpretative tra disapplicazione e prevalenza sulla CEDU, in Quad. cost., 4/2011, 957 ss. e, dello stesso, Difficoltà di dialogo. Ancora sulle divergenze tra Corte costituzionale e Corte europea in tema di leggi interpretative, in corso di stampa in Giur. cost.; G. Repetto, Il triangolo andrà considerato. In margine al caso Scattolon, in www.diritticomparati.it, 27 dicembre 2011; G. Ricci, Il passaggio del personale Ata dagli enti locali allo Stato: per la Corte di giustizia è un caso di trasferimento d’azienda (Osservaz. a Corte giust. 6 settembre 2011, causa C-108/10), in Foro it., 11/2011, IV, 503 ss.; V. De Michele, Le vicende del personale Ata trasferito allo Stato dopo le giurisdizioni superiori tornano al vero giudice: quello comune “europeo” che decide nel merito, in www.europeanrights.eu, 14 marzo 2012; R. Caponi, Giusto processo e retroattività di norme sostanziali nel dialogo tra le Corti, in Giur. cost., 5/2011, 3753 ss., e, nella stessa Rivista, A. Guazzarotti, Precedente CEDU e mutamenti culturali nella prassi giurisprudenziale italiana, 3779 ss.

[4] Contrariamente a ciò che un nutrito drappello di studiosi ritiene [indicazioni nei contributi al convegno su I diritti sociali dopo il trattato di Lisbona, in ricordo di Massimo Roccella, Roma 14 giugno 2011 (e, tra questi, R. Caponi, Diritti sociali e giustizia civile: eredità storica e prospettive di tutela collettiva, e G. Bronzini, La tutela dei diritti fondamentali e la loro effettività: il ruolo della Carta di Nizza, entrambi in www.europeanrights.eu, rispettivamente, 18 marzo 2012 e 5 maggio 2012) e, ancora, nei contributi al convegno su I diritti sociali dopo Lisbona. Il ruolo delle Corti. Il diritto del lavoro fra riforme delle regole e vincoli di sistema, Reggio Calabria 5 novembre 2011, i cui Atti sono in corso di stampa, ma alcuni di essi sono già disponibili: v., dunque, A. Spadaro, I diritti sociali di fronte alla crisi (necessità di un nuovo “modello sociale europeo”: più sobrio, solidale e sostenibile), in www.rivistaaic.it, 4/2011; C. Salazar, A Lisbon story: la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea da un tormentato passato… a un incerto presente?,  in www.gruppodipisa.it, 21 dicembre 2012 e, nella stessa Rivista, C. Panzera, Per i cinquant’anni della Carta sociale europea, 28 febbraio 2012; A. Rauti, La “giustizia sociale” presa sul serio. Prime riflessioni, in www.forumcostituzionale.it; inoltre, AA.VV., Lo strumento costituzionale dell’ordine pubblico europeo. Nei sessant’anni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (1950-2010), a cura di L. Mezzetti e A. Morrone, Torino 2011, ed ivi part. G. Romeo, Civil rights v. social rights nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo: c’è un giudice a Strasburgo per i diritti sociali?, 487 ss., della quale v., inoltre, amplius, La cittadinanza sociale nell’era del cosmopolitismo: uno studio comparato, Padova 2011, nonché, ora, La garanzia dei diritti sociali tra “autosufficienza nazionale” e tutela sopranazionale, in paper; S. Giubboni, Diritti e solidarietà in Europa. I modelli sociali nazionali nello spazio giuridico europeo, Bologna 2012; S. Gambino, Constitutionnalismes nationaux et constitutionnalisme européen: les droits fondamentaux sociaux, la Charte des droits de l’Union Européenne et l’identité constitutionnelle nationale, in www.federalismi.it, 6/2012, e, dello stesso, I diritti sociali fra costituzioni nazionali e costituzionalismo europeo, pure ivi, 24/2012; A. Cardone, La tutela multilivello dei diritti fondamentali, Milano 2012; altri riferimenti ancora possono aversi dai contributi al convegno di Trapani dell’8 e 9 giugno 2012 su I diritti sociali: dal riconoscimento alla garanzia. Il ruolo della giurisprudenza, in www.gruppodipisa.it, agosto 2012, tra cui, D. Tega, I diritti sociali nella dimensione multilivello tra tutele giuridiche e politiche e crisi economica, e A. Guazzarotti, Giurisprudenza CEDU e giurisprudenza costituzionale sui diritti sociali a confronto; infine, AA.VV., I diritti dei lavoratori nelle Carte europee dei diritti fondamentali, a cura di S. Borelli-A. Guazzarotti-S. Lorenzon, Napoli 2012], non poche sono le occasioni – e la vicenda che ha dato lo spunto a queste notazioni ne dà palmare conferma – in cui in ambito sovranazionale si presta un’ancòra maggiore attenzione alle sorti dei diritti “economico-sociali” di quella che è invece loro data in ambito interno.

[5] Si dice, ad es., in Corte cost. n. 257 del 2011 che “la finalità di superare un conclamato contrasto di giurisprudenza, essendo diretta a perseguire un obiettivo d’indubbio interesse generale qual è la certezza del diritto, è configurabile come ragione idonea a giustificare l’intervento interpretativo del legislatore” (punto 5.1 del cons. in dir.).

[6] … le leggi d’interpretazione autentica essendo sempre adottate in presenza di incertezze e divergenze d’indirizzo manifestate dalla pratica giuridica, specie processuale.

[7] … salvo appunto che non lo sia, vale a dire che agli occhi della Corte non appaia esser tale e, dunque, irragionevolmente retroattiva (da tempo predicata, come si sa, l’astratta assoggettabilità delle leggi in discorso a scrutinio stretto di costituzionalità, senza che però si sia sempre rimasti fedeli a questa direttiva d’azione. Un caso recente di annullamento è quello avutosi con sent. n. 78 del 2012).

[8] Tra gli altri, E. Lamarque, Gli effetti delle sentenze della Corte di Strasburgo secondo la Corte costituzionale italiana, in Corr. giur., 7/2010, 955 ss., spec. 961.

[9] V. spec. al punto 4.1 del cons. in dir.

[10] La questione, come si sa assai discussa, relativa alla “costituzionalizzazione” della Corte dell’Unione fa tutt’uno con quella della “costituzionalizzazione” dell’ordinamento di appartenenza: si tratta, infatti, di due facce di una stessa medaglia o, se si preferisce, di due processi, tuttora in corso, che confluiscono l’uno nell’altro ricaricandosi senza sosta a vicenda (su ciò, nella ormai nutrita lett., v., ora, G. Martinico, The Tangled Complexity of the EU Constitutional Process, London 2012).

[11] Ho discusso questo passaggio argomentativo con O. Pollicino, che ringrazio per avermi sollecitato a riflettere sul punto. Lo stesso P. si è in molti luoghi intrattenuto sulla vocazione di cui è parola nel testo (ad es., in Allargamento ad est dello spazio giuridico europeo e rapporto tra Corti costituzionali e Corti europee. Verso una teoria generale dell’impatto interordinamentale del diritto sovranazionale?, Milano 2010, spec. 451 ss.; O. Pollicino-V. Sciarabba, Tratti costituzionali e sovranazionali delle Corti europee: spunti ricostruttivi, in AA.VV., L’integrazione attraverso i diritti. L’Europa dopo Lisbona, a cura di E. Faletti-V. Piccone, Roma 2010, 125 ss., nonché in altri scritti subito appresso citt.; v., inoltre, utilmente, E. Malfatti, L’“influenza” delle decisioni delle Corti europee sullo sviluppo dei diritti fondamentali (e dei rapporti tra giurisdizioni), in AA.VV., Le garanzie giurisdizionali. Il ruolo delle giurisprudenze nell’evoluzione degli ordinamenti. Scritti degli allievi di Roberto Romboli, a cura di G. Campanelli-F. Dal Canto-E. Malfatti-S. Panizza-P. Passaglia-A. Pertici, Torino 2010, 165 ss.).

[12] Attorno al criterio della “intensità” della tutela si è tessuta una tela assai fitta di elaborazioni teoriche di vario segno ed orientamento: tra i molti altri, v. O. Pollicino, Margini di apprezzamento, art. 10, c. 1, Cost. e bilanciamento “bidirezionale”: evoluzione o svolta nei rapporti tra diritto interno e diritto convenzionale nelle due decisioni nn. 311 e 317 del 2009 della Corte costituzionale?, in www.forumcostituzionale.it; AA.VV., Corti costituzionali e Corti europee dopo il Trattato di Lisbona, a cura di M. Pedrazza Gorlero, Napoli 2010; AA.VV., The National Judicial Treatment of the ECHR and EU Laws. A Comparative Constitutional Perspective, a cura di G. Martinico e O. Pollicino, Groningen 2010; AA.VV., Le garanzie giurisdizionali, cit.; R. Conti, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il ruolo del giudice, Roma 2011; G. Repetto, Argomenti comparativi e diritti fondamentali in Europa. Teorie dell’interpretazione e giurisprudenza sovranazionale, Napoli 2011; AA.VV., Lo strumento costituzionale dell’ordine pubblico europeo, cit.; A. Randazzo, Alla ricerca della tutela più intensa dei diritti fondamentali, attraverso il “dialogo” tra le Corti, in AA.VV., Corte costituzionale e sistema istituzionale, Giornate di studio in ricordo di A. Concaro, a cura di F. Dal Canto ed E. Rossi, Torino 2011, 313 ss.; L. Cappuccio, Differenti orientamenti giurisprudenziali tra Corte EDU e Corte costituzionale nella tutela dei diritti, in AA.VV., La “manutenzione” della giustizia costituzionale. Il giudizio sulle leggi in Italia, Spagna e Francia, a cura di C. Decaro-N. Lupo-G. Rivosecchi, Torino 2012, 65 ss.; G. Martinico-O. Pollicino, The Interaction between Europe’s Legal Systems. Judicial Dialogue and the Creation of Supranational Laws, Cheltenham (Gran Bretagna) – Northampton (Stati Uniti d’America) 2012; AA.VV., Diritti, principi e garanzie sotto la lente dei giudici di Strasburgo, a cura di L. Cassetti, Napoli 2012; D. Tega, I diritti in crisi. Tra Corti nazionali e Corte europea di Strasburgo, Milano 2012; A. Cardone, La tutela multilivello dei diritti fondamentali, cit.; A. Guazzarotti, I diritti sociali nella giurisprudenza CEDU, cit.; P. Caretti, I diritti e le garanzie, relaz. al Convegno dell’AIC su Costituzionalismo e globalizzazione, Salerno 23-24 novembre 2012, in www.rivistaaic.it.

[13] … una delle due “gemelle cresciute”, secondo l’azzeccata qualifica che ne dà E. Lamarque, Corte costituzionale e giudici nell’Italia repubblicana, cit., 165 in nt. 104; forse, però, non è inopportuno aggiungere che, crescendo, alle volte si cambia…

[14] Per vero, nella decisione appena richiamata, che si rifà ad un sibillino passaggio della sent. n. 348 del 2007, l’intento è esattamente rovesciato, prefigurandosi il caso che, nel contrasto tra legge e Convenzione, possa esser la prima ad avere la meglio, siccome idonea a portare ancora più in alto la tutela. È però chiaro (ed è stato fatto notare in altri luoghi) che trattasi di un’affermazione perfettamente rovesciabile su se stessa, a doppio verso di marcia insomma, non potendosi ovviamente escludere l’ipotesi opposta di una tutela maggiore apprestata dalla Convenzione, ipotesi che – come si viene dicendo – è espressamente presa in considerazione dalla decisione in commento.

[15] Così, espressamente, nella chiusa del punto 4.2 del cons. in dir. della pronunzia qui annotata, laddove la Corte mostra di rifarsi, pur senza farvi esplicito richiamo, ad una sua ispirata pronunzia, la n. 388 del 1999, nella quale è l’efficace rilievo secondo cui la Costituzione e le altre Carte (CEDU inclusa) “si integrano, completandosi reciprocamente nella interpretazione”. Quanto, poi, siffatta affermazione armonicamente s’inscriva nel quadro teorico-ricostruttivo ormai marcatamente delineato secondo cui la Convenzione è seccamente, stancamente qualificata quale fonte “subcostituzionale”, come tale obbligata a prestare rispetto ad ogni norma della Carta costituzionale, seguita ad apparire ai miei occhi misterioso.

[16] Ad oggi bisognosa di ulteriore, approfondito studio è la questione cruciale relativa agli eventuali conflitti tra giudicato costituzionale e giudicato europeo (sempre che il termine risulti appropriato all’uno o all’altro o, ancora, ad entrambi; ma di ciò qui non discorro). Per quanto se ne può ora dire, per un verso, conviene a mia opinione distinguere a seconda dei “tipi” di giudicato, in relazione alle funzioni di volta in volta esercitate, ciascuno di essi presentando connotati non riscontrabili in capo agli altri. Per un altro verso, conviene riguardare a siffatte vicende senza alcun pregiudizio di ordine ideologico o teorico, in particolare senza muovere dall’assunto, giudicato indiscutibile, della irreversibilità del giudicato costituzionale, ex art. 137, ultimo comma, cost. Si commetterebbe altrimenti l’errore che la stessa Corte ci dice oggi esser assai grave e, perciò, da evitare a tutti i costi, di far luogo ad una considerazione – come dire? – “atomistica” del disposto suddetto, al di fuori della sua doverosa riconduzione al sistema di cui è parte; e il sistema vuole che ogni volta, nel corso di un’esperienza processuale data, si ricerchi il punto di sintesi assiologica maggiormente elevato, a mezzo delle opportune operazioni di bilanciamento: un bilanciamento che, come sempre, appare essere imprevedibile nei suoi possibili esiti, ora giocando a beneficio della norma interna ed ora però premiando quella sovranazionale, siccome appunto maggiormente idonea a farsi cura dei diritti, nel loro fare – come opportunamente si segnala alla Consulta – “sistema” (maggiori ragguagli sul punto possono, volendo, aversi da miei studi anteriori, a partire da Corte costituzionale e Corti europee: il modello, le esperienze, le prospettive, in AA.VV., Corte costituzionale e sistema istituzionale, cit., 178 ss., spec. 185 ss.).

[17] Senza nulla togliere agli incommensurabili meriti della nostra Carta, che seguito a giudicare un’ottima Carta ancorché bisognosa ormai di non pochi aggiustamenti (nella seconda così come nella prima parte e, persino, nei princìpi fondamentali), considero però l’animus del giudice delle leggi, cui si accenna nel testo, espressivo di un nazionalismo o patriottismo costituzionale sterile e, anzi, alla prova dei fatti, dannoso.

[18] Una evenienza, questa, alla quale – come si è fatto poc’anzi notare – espressamente si riferisce il punto 4.1 del cons. in dir. della decisione in commento.

[19] Ci si può chiedere, ma in luogo diverso da questo, se la medesima “logica” può valere altresì nei rapporti con la Carta dei diritti dell’Unione (e la sua Corte). Posso qui solo dire che, malgrado la diversità dei rapporti stessi, la “logica” sistematica, con lo strumentario di cui si avvale allo scopo di potersi affermare (sopra ogni altra, la tecnica dei bilanciamenti secondo valore), a me pare dotata di generale valenza. Gli esiti possono, poi, ovviamente essere varî da caso a caso, in ragione della specificità degli interessi in campo e delle  norme da essi evocate a loro tutela; e, tuttavia, non si trascuri la spinta formidabile verso la convergenza degli esiti stessi che viene già dal sol fatto che la Carta dell’Unione dichiara di volersi rifare alla CEDU, salva comunque la maggior tutela offerta ai diritti in ambito “eurounitario”, e tutte, poi, alle “tradizioni costituzionali comuni” (sul punto, ulteriori rilievi a breve).

[20] V., part., il punto 5.3 del cons. in dir. Trovo particolarmente opportuno il richiamo ai valori in parola, specie al secondo, stranamente molte volte dimenticato e forse più di ogni altro oggi afflitto da una crisi lacerante (in argomento, ora, A. Apostoli, La svalutazione del principio di solidarietà. Crisi di un valore fondamentale per la democrazia, Milano 2012).

[21] Punto 5.4 del cons. in dir.

[22] Con particolare vigore, in sent. n. 236 del 2011, a commento della quale, per tutti, R. Conti, La scala reale della Corte Costituzionale sulla tutela della CEDU nell’ordinamento interno, in Corr. giur., 9/2011, 1259 ss., ed E. Cacace, Fra deroghe alla retroattività della lex mitior e collocazione delle norme Cedu: ribadendo principi consolidati, aperture non irrilevanti della Corte Costituzionale. Nota a margine della sentenza 236/2011, in www.forumcostituzionale.it, nonché, volendo, il mio La Corte costituzionale “equilibrista”, tra continuità e innovazione, sul filo dei rapporti con la Corte EDU, in www.giurcost.org, 7 novembre 2011.

[23] Altra cosa è che la “sostanza” si reputi apprezzabile unicamente in senso diacronico, vale a dire con riferimento non già ad una singola decisione bensì ad un “indirizzo” giurisprudenziale composto da plurime e convergenti decisioni e, perciò, a conti fatti, al “diritto vivente”. Ciò che autorizzerebbe gli operatori di diritto interno a discostarsi da un isolato verdetto del giudice europeo, non ancora appunto commutatosi in “indirizzo”. Dalla giurisprudenza EDU, tuttavia, non abbiamo indicazioni univoche, che consentano di prendere partito su questa intricata questione teorica, peraltro gravida di implicazioni pratiche a largo raggio e suscettibile di lasciare un segno marcato, a seconda che sia risolta nell’uno ovvero nell’altro modo, sugli equilibri istituzionali (dei giudici inter se e nei loro rapporti con gli organi della direzione politica).

[24] È qui appena il caso di far notare che le selezioni in parola possono, ancora prima, aversi ad opera dei giudici comuni, la delimitazione dell’obbligo di osservanza della giurisprudenza EDU alla sua sola “sostanza” valendo – com’è chiaro – per tutti i giudici, non per il solo giudice costituzionale. La qual cosa, poi, potrebbe avere una significativa ricaduta su ciascuno dei “paletti” fissati dalla Consulta, a partire dalle sentenze “gemelle” del 2007: sull’interpretazione conforme così come, nel caso del suo infruttuoso esperimento, sull’obbligo del ricorso al giudizio di costituzionalità per ogni sospetta incompatibilità tra norme legislative e norme convenzionali.

Ora, poiché la “sostanza” può essere, in prima battuta, apprezzata dai giudici comuni e, solo in seconda (ed eventualmente), dalla Corte costituzionale, nulla esclude che la stessa Corte EDU possa, se adita avverso la pronunzia di un giudice nazionale, far sentire la propria voce, emettendo un verdetto che, a sua volta, immesso in ambito interno, si presta a costituire oggetto di ulteriore vaglio in applicazione del canone della “sostanza”. Come si vede, la opportuna messa a punto di quest’ultima, resta naturalmente rimessa al mai finito “dialogo” intergiurisprudenziale, non già alla esclusiva determinazione di un’autorità nazionale, foss’anche il giudice delle leggi.

[25] Si è, poi, in altri luoghi discusso se tale dichiarazione debba aversi nelle forme ordinarie, vale a dire con la caducazione della legge di esecuzione della CEDU “nella parte in cui…”, secondo quanto il giudice delle leggi ha tenuto a ribadire fino alla sent. n. 311 del 2009, ovvero se possa aversi – come a me parrebbe – senza il passaggio obbligato dell’annullamento della norma convenzionale, il quale poi ridonderebbe nella espunzione della disposizione che quella norma racchiude ed esprime, in ogni suo possibile significato, secondo quanto usualmente (e però, a mia opinione, assai discutibilmente) si ha ogni qual volta venga appunto meno per mano del giudice costituzionale una statuizione di legge. Per questo secondo corno dell’alternativa, dunque, il giudice costituzionale dovrebbe limitarsi a dichiarare la “irrilevanza” della Convenzione al fine della risoluzione del caso, siccome inidonea ad integrare il parametro di cui al I c. dell’art. 117 (così, già nel mio Corte costituzionale e Corti europee, cit., 168 ss.). Si è poi avuto modo di far notare (nel mio Costituzione e CEDU, alla sofferta ricerca dei modi con cui comporsi in “sistema”, in www.giurcost.org, 21 aprile 2012, spec. al § 4) che, in molti casi e verosimilmente, più che di un vero e proprio contrasto tra le due Carte, si avrebbe una varietà di “gradi” di tutele, disponendosi le norme delle Carte stesse ad una diversa “altezza” senza nondimeno dar vita ad un’antinomia strettamente intesa, dovendosi pertanto scegliere quale di esse offra appunto la più “intensa” salvaguardia ai beni della vita in gioco. Per quest’ultimo ordine di idee, non dandosi un’antinomia, non ci si dovrebbe comunque rivolgere al giudice delle leggi, restando pertanto demandata la scelta della norma più adeguata al caso al giudice comune.

[26] Ovvio il riferimento al noto saggio monografico di A. Pizzorusso, Il patrimonio costituzionale europeo, Bologna 2002.

[27] Tra “tradizioni europee” e “tradizioni nazionali” si dà un rapporto complesso, di mutuo soccorso, vale a dire di circolare alimentazione semantica: quelle attingendo da queste al fine della loro conformazione e del loro incessante rinnovo e queste, a loro volta, da quelle ricevendo suggestioni ed indicazioni per il cui tramite esse pure si rigenerano, caricandosi di inusuali valenze espressive. Perlomeno, così dovrebbe essere secondo modello, ove delle une e delle altre si faccia buon uso; ed è superfluo qui nuovamente precisare che ciò può aversi alla sola condizione che nessuna Carta (e Corte) si arrocchi, rinchiudendosi in modo autoreferenziale in se stessa, in nome di una supposta primauté che, a mia opinione, non si dà per sistema ma che va conquistata sul campo, in relazione alle specifiche esigenze del caso, e che piuttosto ciascuna Carta (e Corte) si renda con molta umiltà disponibile a farsi beneficamente fecondare dalle altre, con ciò stesso esaltandosi e realizzandosi al massimo grado, alle condizioni oggettive di contesto. Tengo molto, infatti, qui a far richiamo ad un pensiero che ho in molti luoghi enunciato, vale a dire che, quando pure la Costituzione dovesse piegarsi davanti ad un’altra Carta per cederle il posto in una spinosa vicenda processuale, ciò pur sempre farebbe in nome dei suoi valori fondamentali, al fine della loro ottimale realizzazione e salvaguardia: primi su tutti i valori di libertà ed eguaglianza, nelle loro mutue implicazioni (a riguardo delle quali, sopra tutti, G. Silvestri, Dal potere ai princìpi. Libertà ed eguaglianza nel costituzionalismo contemporaneo, Roma-Bari 2009), le due gambe su cui si regge e muove l’intero ordinamento, anche nelle sue proiezioni verso l’esterno.

[28] Il punto è già stato toccato in altri miei scritti, ai quali faccio dunque rimando: v., ad es., Tutela dei diritti fondamentali, squilibri nei rapporti tra giudici comuni, Corte costituzionale e Corti europee, ricerca dei modi con cui porvi almeno in parte rimedio, in www.giurcost.org, 17 marzo 2012, spec. § 7, e, nella stessa Rivista, Costituzione e CEDU, alla sofferta ricerca dei modi con cui comporsi in “sistema”, 21 aprile 2012, § 4; pure ivi, inoltre, A. Bonomi, Brevi note sul rapporto fra l’obbligo di conformarsi alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo e l’art. 101, c. 2 Cost. (… prendendo spunto da un certo mutamento di orientamento che sembra manifestarsi nella sentenza n. 303 del 2011 Corte cost.), 5 aprile 2012.

[29] Si pensi solo al diritto alla salute, forse il più esposto assieme al (o dopo il) diritto al lavoro al soffio impetuoso del vento della crisi (su di esso, ora, E. Cavasino, La flessibilità del diritto alla salute, Napoli 2012). Non a caso, d’altronde, la giurisprudenza costituzionale lo ha, come si sa, stranamente riconosciuto agli stranieri irregolari unicamente nel suo “nucleo duro” (sent. n. 61 del 2011 ed altre ancora), diversamente da altri diritti, come quello al matrimonio (sent. n. 245 del 2011). Quanta coerenza, poi, ci sia in tutto ciò non saprei dire (si pensi solo alla circostanza che dal matrimonio discendono anche diritti che “costano”, in campo economico-sociale); soprattutto, non saprei dire come tutto ciò possa conciliarsi coi principi-valori costituzionale nel loro fare “sistema”, primo su tutti quello della dignità, di cui si fa parola subito appresso, che vigorosamente sollecita all’adozione di soluzioni a finalità “inclusiva”, in ordine al godimento dei diritti inviolabili, quale appunto quello alla salute, non già “esclusiva”, odiosamente discriminatoria (su quest’ultimo punto, di cruciale rilievo, v., part., A. Morelli, Il carattere inclusivo dei diritti sociali e i paradossi della solidarietà orizzontale, intervento al convegno di Trapani su I diritti sociali, cit.).

[30] Valore che si è definito “supercostituzionale” [A. Ruggeri-A. Spadaro, Dignità dell’uomo e giurisprudenza costituzionale (prime notazioni), in Pol. dir., 1991, 343 ss., e, più di recente, C. Drigo, La dignità umana quale valore (super)costituzionale, in AA.VV., Principî costituzionali, a cura di L. Mezzetti, Torino 2011, 239 ss.], la vera e propria “bilancia” – è stato detto, nel medesimo ordine di idee della dottrina sopra richiamata, da un autorevole studioso (G. Silvestri, Considerazioni sul valore costituzionale della dignità della persona, in www.associazionedeicostituzionalisti.it) – su cui si dispongono i beni della vita bisognosi di bilanciamento: un valore a riguardo del quale, nondimeno, la giurisprudenza costituzionale esibisce perduranti incertezze ed oscillazioni, ora nel suo nome anteponendo le norme sui diritti ad ogni altra norma, persino a quelle sulla normazione (ad es., sent. n. 10 del 2010), ora invece giudicandole recessive (sentt. n. 373 del 2010 e 325 del 2011). Tra gli autori che considerano la dignità passibile di bilanciamento, v. M. Luciani, Positività, metapositività e parapositività dei diritti fondamentali, in Scritti in onore di L. Carlassare. Il diritto costituzionale come regola e limite al potere, III, Dei diritti e dell’eguaglianza, a cura di G. Brunelli-A. Pugiotto-P. Veronesi, Napoli 2009, 1060 ss., e G. Monaco, La tutela della dignità umana: sviluppi giurisprudenziali e difficoltà applicative, in Pol. dir., 1/2011, 45 ss., spec. 69 ss. Ulteriori ragguagli e riferimenti di lett. in un senso e nell’altro, ora, in A. Pirozzoli, La dignità dell’uomo. Geometrie costituzionali, Napoli 2012, spec. 26 ss.

[31] Con riguardo al caso che ha dato lo spunto a queste notazioni, la genuinità della legge quale atto d’interpretazione autentica e la sua congruità rispetto al fine, già rilevate da Corte cost. n. 172 del 2008, hanno avuto ulteriore conferma nella decisione qui annotata, dov’è un espresso riferimento alla decisione ora richiamata.

Resta tuttavia il fatto, su cui la stessa Corte ha ripetutamente sollecitato a fermare l’attenzione, che il linguaggio delle leggi delimita pur sempre l’area dei significati da essi astrattamente desumibili: spacciare per “interpretativo” un atto che rovescia il senso di un enunciato anteriore, facendo pertanto luogo ad una forte manipolazione della sua sostanza normativa, costituisce un palese superamento dei confini di quell’area.