La Corte costituzionale annulla, per contrasto con l’art. 117, c.1 (-> art. 7 CEDU -> giurisprudenza di Strasburgo), la previsione di applicazione retroattiva della confisca del veicolo per guida in stato di ebbrezza

Merita di essere segnalata la sentenza n. 196/010 della Corte costituzionale italiana (sentenza – è bene anticipare – di accoglimento parziale sul piano tecnico, formale; ma di accoglimento pieno nella sostanza, almeno rispetto alle censure formulate dal ricorrente).

Oggetto della questione era, essenzialmente, l’art. 186, c. 2, lett. c), del codice della strada nel testo novellato nel 2008 (art. 4 del d.l. 92/ 2008, convertito con modificazioni nella legge n. 125 del 2008). Il dubbio di legittimità costituzionale nasceva da ciò: per effetto delle modifiche introdotte nel 2008, si prevedeva (e si prevede tuttora) la confisca obbligatoria del veicolo (con cui è stato commesso il reato, e se non appartenente a terzi) in caso di condanna per guida in stato di ebbrezza determinato dall’uso di bevande alcoliche (quando il tasso alcolemico accertato risulti superiore a 1,5 grammi per litro di sangue), [lo stesso nell’ipotesi, che qui però non rilevava ed è quindi rimasta formalmente impregiudicata, di condanna per guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti (art. 187 del codice della strada)].
E fin qui nessun problema.

Nella disposizione, però, si prevedeva testualmente che fosse «sempre disposta la confisca del veicolo ai sensi dell’art. 240, c. 2 c.p. codice penale» (e sono queste ultime le parole decisive colpite dalla Corte, per il motivo che inizierà a intuirsi, sempre che non si sia già letta la sentenza, leggendo le prossime righe). Per effetto di tale richiamo, ecco il punto, si riconduceva la confisca in questione alla categoria delle misure di sicurezza e conseguentemente (così almeno secondo la giurisprudenza) alla disciplina generale di tali misure, anche sotto il profilo dell’individuazione della legge applicabile, che avrebbe così dovuto essere, nel caso di specie, non quella vigente al momento del fatto (quando ancora la misura della confisca obbligatoria non era prevista), bensì quella vigente al momento del giudizio (successivo alle modifiche del 2008, e dunque all’introduzione della confisca obbligatoria): tutto ciò in base al significato attribuito dalla giurisprudenza alla previsione generale per cui «le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione» (cfr. artt. 200 e 236 del codice penale).

La misura della confisca, in breve, avrebbe dovuto applicarsi, nel caso di specie, retroattivamente.

E di qui il lamentato contrasto con l’art. 3 Cost. (parametro lasciato però – e la circostanza non è insignificante – sullo sfondo) e soprattutto con l’art. 117, c.1 Cost. (articolo che, come in altri casi, ha svolto dunque il ruolo di “parametro principale” o per così dire “prioritario”), richiamato in relazione all’art. 7 della CEDU ed alla pertinente giurisprudenza di Strasburgo (in piena coerenza con le “indicazioni operative” contenute nelle sentt. 348 e 349 del 2007, ormai “consolidate”, può a questo punto dirsi, dalla pur variegata prassi): giurisprudenza (quella di Strasburgo) secondo la quale – a grandi linee – misure a carattere (special-)preventivo potrebbero anche essere applicate retroattivamente, mentre ciò non sarebbe ammissibile per misure che (a prescindere dalla loro qualificazione formale nel diritto interno) hanno un carattere (prevalentemente) sanzionatorio.

Il problema centrale risultava allora quello – affrontato di petto a partire dal punto 3.2 della motivazione della sent. 196 – di «verificare se l’ipotesi di confisca prevista dall’art. 186 del codice della strada … costituisca una misura di carattere sanzionatorio e, dunque, se la sua applicazione retroattiva, ponendosi in contrasto con la descritta interpretazione che dell’art. 7 della CEDU ha fornito la Corte dei diritti dell’uomo, integri una violazione dell’art. 117, primo comma, Cost».
L’esito positivo della verifica e dunque l’accoglimento della questione vengono dalla Consulta ancorati soprattutto a due elementi, alla stregua «degli esatti rilievi formulati dal giudice remittente»
«Questi, difatti», ricorda la Corte (e io aggiungo qualche commento tra parentesi quadre) «sottolinea come la confisca che dovrebbe essere applicata nel giudizio a quo, al di là della sua qualificazione formale, presenti “una funzione sanzionatoria e meramente repressiva” [ma, mi chiedo, per puro rigore: con l’avverbio “meramente” non si è forse esagerato un po’? Non sarebbe stato più corretto e peraltro sufficiente dire che la confisca presenterebbe una funzione “prevalentemente repressiva”?] e non invece preventiva [o “solo in piccola parte preventiva”, poteva forse qui dirsi nella stessa logica di rigore e prudenza, anche per evitare di creare inopportunamente precedenti “scomodi” e/o fuorvianti]. A tale conclusione il remittente perviene sulla base della duplice considerazione che tale “misura è applicabile anche quando il veicolo dovesse risultare incidentato e temporaneamente inutilizzabile (e, dunque, «privo di attuale pericolosità oggettiva”) [corsivi aggiunti, per segnalare – sempre per puro rigore e per connessa prudenza – possibili punti di debolezza dell’argomento] e che la sua operatività «non impedisce in sé l’impiego di altri mezzi da parte dell’imputato, dunque un rischio di recidiva», sicché la misura della confisca si presenta non idonea a neutralizzare la situazione di pericolo per la cui prevenzione è stata concepita» […ma a ridurla sì! – potrebbe osservarsi nella solita logica di rigore e prudenza – dal momento che la confisca del veicolo creerebbe comunque almeno delle difficoltà, degli ostacoli, al soggetto che – magari anche privato della patente; magari molto giovane; verosimilmente… con reputazione di guidatore non proprio impeccabile – dovrebbe procedere più o meno faticosamente al reperimento di un nuovo veicolo…].

A parte le puntualizzazioni nelle parentesi quadre, che certo non intaccano (se non al limite marginalmente) il nucleo motivazionale della decisione, emerge come si tratti di un ennesimo caso di “allineamento” della Corte costituzionale alla giurisprudenza di Strasburgo (peraltro anche in coerenza, almeno secondo quanto la Consulta cerca di evidenziare in alcuni punti della decisione, con la stessa giurisprudenza costituzionale interna precedente; … e potrebbe stupire, d’altro canto, che tra i parametri invocati non vi fosse proprio… l’art. 25, c.2: cosa che può spiegarsi abbastanza agevolmente in relazione al quadro logico complessivo ed al percorso argomentativo seguito dal rimettente, che avrebbe anzi reso per certi versi paradossale un simile richiamo; ma che, seguendo altre impostazioni e altri percorsi, non sarebbe probabilmente stata impossibile o inopportuna).

Apprezzabile, poi, sembra anche la “ridelimitazione” effettuata dalla Corte dell’oggetto formale della questione, tale da consentire, attraverso un intervento testuale ablativo assai limitato, la piena “risistemazione” della “situazione normativa” in modo costituzionalmente/convenzionalmente conforme.

[ Infine, nel merito, e improvvisando: perché non pensare, in casi di questo genere, anche (e magari proprio avendo di mira i giudizi relativi a fatti anteriori, in una logica volendo di “gestione della transizione”) a misure non di confisca definitiva ma di sequestro temporaneo, che avrebbero probabilmente una valenza più marcatamente (special-)preventiva, anziché sanzionatoria, e creerebbero dunque un po’ meno problemi – dal punto di vista costituzionale/convenzionale – in vista di una loro eventuale applicazione retroattiva…? (sempre, s’intende, che tale applicazione retroattiva sia effettivamente voluta e reputata necessaria dal legislatore, cosa in effetti né inverosimile né irragionevole in questi casi) (e, del resto, una tale ipotesi di “compromesso” parrebbe addirittura rispondere in qualche modo a una sorta di equità, quasi a bilanciare l’esigenza, sacrosanta, di non applicare retroattivamente nuove sanzioni, con l’esigenza, pure apprezzabile, di adottare – anche con riguardo a soggetti che hanno commesso reati in precedenza, ma che devono continuare a ritenersi pericolosi – misure preventive efficaci; e anche, infine, con l’opportunità in sé ragionevole, di non “trattare” in modo oltre il necessario differente situazioni sostanzialmente analoghe, identici essendo i delitti commessi e, in astratto, il grado di pericolosità]