La Corte Suprema USA “congela” le voting maps di Ohio e Michigan in attesa di pronunciarsi su quelle di Maryland e North Carolina

Il 24 maggio 2019 la Corte Suprema ha sospeso gli effetti di due sentenze emanate da una Corte distrettuale federale dell’Ohio e da una del Michigan che dichiaravano l’incostituzionalità delle voting maps adottate dai rispettivi organi legislativi ed ingiungevano a questi ultimi di predisporne delle altre in tempo utile per la tornata elettorale del 2020. Le mappe sulle quali vertevano i giudizi venivano infatti riconosciute come risultanti da operazioni di ridisegno dei collegi elettorali aventi l’intenzionale effetto di danneggiare i candidati appartenenti ad una certa area politica (i Democratici nel caso di specie), diminuendone le chances di successo alle elezioni attraverso la premeditata “diluizione” dell’elettorato di riferimento (partisan gerrymandering). Per concedere la sospensione di una sentenza di grado inferiore si richiede la maggioranza del collegio, ma, dai brevi orders non firmati (587 U. S.) non si evince che alcuno dei giudici abbia dissentito.
Nonostante l’indignazione manifestata da una parte consistente dell’opinione pubblica, una decisione di tal fatta sembrava nell’attuale fase più che prevedibile. I giudici di Washington si pronunceranno infatti presto (a fine giugno) su due travagliati casi riguardanti la sussistenza o meno di un incostituzionale partisan gerrymandering nel disegno delle voting maps di Maryland (Lamone v. Benisek) e North Carolina (Rucho v. Common Cause). Nelle due ore di dibattito originate dalla presentazione degli oral arguments di entrambi i casi lo scorso 26 marzo, i giudici si sono presentati ancora fortemente divisi, rendendo così ostico prevedere verso quale decisione si indirizzeranno. I due ricorsi sono arrivati alla massima istanza giurisdizionale americana dopo meno di un anno da quando la stessa aveva evitato di dare un giudizio nel merito sulla sussistenza del partisan gerrymandering nella messa a punto delle mappe elettorali in Winsconsin (Gill v. Whitford) e nello stesso Maryland. La Corte Suprema aveva aggirato il merito della questione soffermandosi su profili procedurali e rinviando alle Corti inferiori, le cui decisioni sono però state nuovamente appellate. Durante la discussione di Lamone v. Benisek e Rucho v. Common Cause, uno fra i solicitor general dei ricorrenti insiste sull’assunto che i giudici non debbano pronunciarsi su tali giudizi in quanto è la Costituzione stessa ad affidare alla politica il compito di definire i collegi elettorali. Tesi questa avvalorata dal fatto che nel corso degli anni non si sia ancora riusciti ad identificare degli standard per definire il partisan gerrymandering. Il Giudice Gorsuch si dichiara a questo proposito in accordo con la posizione secondo cui i problemi legati al disegno dei collegi attengano alla politica. Se infatti fosse vero che le corti sono gli unici attori in grado di porre un rimedio a tali situazioni, non si spiegherebbero le diverse iniziative poste in essere dalle singole state legislature per porre un freno alle condotte distorsive del diritto di voto. Il Giudice Kavanaugh ha dato seguito a tale argomentazione, pur riconoscendo che il partisan gerrymandering è un problema per la democrazia. Il Giudice Roberts sostiene che i tempi siano ormai maturi per una presa in carico delle problematiche legate a tale spinosa questione da parte della politica, senza contare che, come già più volte affermato in occasione di casi analoghi, un ipotetico intervento della Corte Suprema su tali materie avrebbe sulla stessa delle imprevedibili conseguenze sul piano della reputazione istituzionale. D’altra parte, il Giudice Breyer arriva a proporre una formula che possa consentire di individuare i “valori anomali” nelle procedure di redistricting e riguardo alle mappe del Maryland la Giudice Kagan afferma apertamente che il livello di partisanship è eccessivo «under any measure».
Nonostante l’ampia diffusione degli studi di “giustizia predittiva” in ambito statunitense, di fronte a posizioni così differenziate appare davvero difficile formulare ipotesi attendibili sulla direzione che la Corte si risolverà a prendere.  È comunque chiaro che l’esito di tali giudizi non mancherà di influire sulla decisione dei ricorsi da ultimo presentati dagli esponenti Repubblicani di Michigan (Michigan Senate et al. v. League of Women Voters et al. e Chatfield, Lee et al. v. League of Women Voters et al.) e Ohio (Householder, Larry et al. v. A. Philip Randolph Inst. et al. e Chabot, Steve et al. v. A. Philip Randolph Inst. et al.). I due Stati del Mid-West hanno presentato appello avverso le decisioni delle Corti federali chiedendone la sospensione nelle more del giudizio. In particolare, in quanto scritto dai ricorrenti del Michigan si lamenta che ottemperare nell’immediato a quanto ingiunto dalla Corte distrettuale getterebbe il sistema politico in un «unnecessary chaos». Agendo in questo modo le due state legislatures hanno “giocato d’anticipo” rispetto alla Corte Suprema, che non si è ancora pronunciata sui due casi analoghi già discussi, ottenendo il provvisorio risultato di non modificare le mappe da loro messe a punto.
Nel caso dell’Ohio un panel di tre giudici della Corte federale distrettuale competente aveva rilevato che l’organo legislativo a maggioranza Repubblicana aveva disegnato le mappe, dopo il censimento del 2010, in modo da permettere ai candidati del loro partito di guadagnare un vantaggio sproporzionato alle elezioni. La sussistenza di tale situazione viene confermata dal fatto che l’Ohio, tradizionalmente uno swing state (o purple state), cioè uno stato in bilico dal punto di vista del consenso elettorale, perennemente “conteso” da Repubblicani e Democratici, a partire dalle prime elezioni avvenute nella vigenza della nuova mappa, abbia dato dei risultati da stato “rosso” (attualmente 13 dei 18 congressional seats che spettano a tale Stato sono occupati da esponenti Repubblicani). La Corte federale ha quindi dichiarato l’incostituzionalità della mappa, riscontrando la violazione dei diritti degli elettori riconosciuti dal I e dal XIV emendamento, cui segue l’ordine per la State legislature di adottare una nuova mappa esente da vizi in tempo utile per le operazioni elettorali del 2020.
Anche in Michigan è stato un panel di tre giudici della Corte distrettuale federale competente a statuire che 34 collegi elettorali congressional e legislative (in alcuni Stati infatti i collegi per le elezioni del Congresso e per le elezioni statali possono non coincidere) risultavano da un incostituzionale partisan gerrymandering e quindi si ingiungeva al legislatore di ridisegnare le mappe elettorali entro il 2020.
Entrambi gli ordini sono però stati sospesi e prima di sapere cosa ne sarà delle voting maps di Michigan e Ohio dovremo attendere le statuizioni dei giudici di Washington su quelle di Maryland e North Carolina.
Nonostante la Corte Suprema si sia più volte occupata di gerrymandering nel corso dell’ultimo term, ha lasciato la questione sostanzialmente aperta, rimettendo alle Corti inferiori l’incombenza di individuare il partisan gerrymandering. Rispetto allo scorso anno si è però aggiunto un ulteriore elemento che non fa che rendere ancora più incerti i pronostici: il Giudice Kennedy è andato in pensione ed è stato sostituito dal giudice Kavanaugh, un conservatore che, a parte quanto emerso negli oral arguments dello scorso marzo, non ha fino ad ora avuto modo di esprimersi chiaramente sulla questione.
Rimane comunque fermo il dato che, nonostante una forte presa di posizione dell’opinione pubblica su tale ambito di materie, un non esiguo numero di giudici continua ad affermare di non poter riconoscere se e quando i politici attentino alla democraticità delle elezioni ripartendo i collegi elettorali in modo fraudolento. Ma le corti di Ohio e Michigan, insieme a molte altre corti inferiori, hanno dimostrato che il compito non è proprio impossibile.
Se da una parte la Corte Suprema non si è mai esposta nel dichiarare che certi standard siano sufficientemente manageable da individuare le condotte di partisan gerrymanderng, dall’altra c’è un «growing chorus of federal courts», per usare le parole del Giudice Clay, estensore della decisione unanime della corte distrettuale del Michigan, che non si esime dall’affrontare tale fenomeno, gravemente lesivo della democraticità delle elezioni.