Le opinioni dissenzienti nelle corti costituzionali europee. Recensione al libro di Katalin Kelemen

Negli ultimi anni, il tema delle opinioni dissenzienti è tornato a interessare la dottrina costituzionalistica e costituzional-comparatistica, sintomo di una più elevata permeabilità tra gli ordinamenti e di un più accresciuto pluralismo giuridico. Tra i più recenti lavori su questo argomento, va segnalato il libro di Katalin Kelemen, Judicial Dissents in European Constitutional Courts. A Comparative and Legal Perspective, Routledge, London and New York,  2018, pp. 207. Indico subito quelli che mi sembrano i maggiori pregi del volume: chiarezza e linearità del testo, puntuali confronti comparativi nel corso dell’esposizione, considerazione dei processi deliberativi interni alle corti supreme e costituzionali, consapevolezza dei profili informali e convenzionali di questi, attenzione per le peculiarità delle corti costituzionali dell’Europa centro-orientale. Meno spazio è dedicato alle questioni dell’interpretazione e dell’argomentazione giudiziale, anche se l’autrice tende a ricollegare l’assenza del dissent a inclinazioni giuspositivistiche presenti nella cultura giuridica.
Nonostante il titolo prefiguri un’indagine sul ruolo delle opinioni dissenzienti nelle corti costituzionali europee, il lavoro non manca di toccare altre esperienze in cui l’istituto del dissent è più radicato, segnatamente quella inglese, quella statunitense e quella della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Per contrasto, l’autrice mette a fuoco i motivi relativi all’assenza dell’istituto presso la Corte di giustizia dell’UE e i possibili vantaggi di una sua introduzione. Quanto all’Europa continentale, accanto agli ordinamenti usualmente presi in considerazione nell’esame comparativo (tedesco, spagnolo e italiano, all’interno del quale Kelemen mostra di sapersi muoversi bene), un esame approfondito ha ad oggetto le corti dell’Europa centro-orientale e, in particolare, quella ungherese (prima del controverso court-packing). In questa parte del volume emergono non solo gli aspetti più classici delle opinioni dissenzienti, ma anche il significato che esse assumono in paesi che hanno più recentemente affrontato una transizione costituzionale: l’influenza esercitata dal modello tedesco; la diversità di approccio tra ordinamenti che hanno contemplato il dissent contestualmente all’istituzione delle corti costituzionali e quelli che hanno atteso alcuni anni, affinché tali corti potessero prima legittimarsi; la differenza rispetto agli stati socialisti, in cui alla previsione astratta dell’istituto era seguita una sua pressoché totale assenza nella prassi; il contributo delle opinioni dissenzienti alla ricomposizione del tessuto democratico. È soprattutto qui che l’autrice rimarca le ricadute del dissent sulla sfera politica.
Nell’ultimo capitolo, Kelemen individua quattro funzioni del dissent: di stimolo (relativa al potenziamento del confronto tra i giudici all’interno del collegio), comunicativa o informativa (volta a offrire alle parti e al pubblico una maggior completezza delle ragioni sottostanti di una decisione), dialettica (riguardante il dialogo tra i giudici costituzionali e la dottrina) e trasformativa (concernente lo sviluppo del diritto). L’autrice inquadra inoltre le opinioni dissenzienti all’interno di alcune coordinate tra loro apparentemente in tensione, nonché declinate in maniera differente nella tradizione giuridica di civil law e in quella di common law: indipendenza del giudice e trasparenza, libertà di espressione del giudice ed autorità della pronuncia collegiale, certezza e mutamento del diritto, legittimazione della giustizia costituzionale. Particolarmente convincenti sono le pagine sul diverso modo di concepire il principio di certezza del diritto, come stabilità o come prevedibilità, e sul diverso modo di vedere il ruolo del giudice, ispirato alla lealtà verso il collegio o coerente con l’integrità delle proprie convinzioni personali e scientifiche.
Le conclusioni dell’autrice – condivise da chi scrive – sottolineano come l’opinione dissenziente possa svolgere una funzione positiva anche presso le corti costituzionali dell’Europa continentale, quale elemento di dinamizzazione e pluralizzazione dell’argomentazione giuridica, specie in un contesto di più estesa comunicazione tra le giurisdizioni come quello attuale.