L’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA: CAUSE SOCIALI, PROBLEMI GIURIDICI E SOLUZIONI FUTURE

(a proposito del Volume di Carlo Amirante e Michelangelo Pascali)

“Alien. Immigrazione clandestina e diritti umani” di Carlo Amirante e Michelangelo Pascali è un Volume di particolare interesse non soltanto per l’attualità del tema trattato, ma anche per l’ottica con cui è analizzato. Il fenomeno migratorio è studiato dagli Autori come problema sociale, politico ed economico, prima che giuridico, al fine di ritrovare le cause principali del problema, che spesso il dibattito politico e l’opera di informazione dei media sembrano, probabilmente con consapevolezza, ignorare, rilegando la faccenda ad una questione di natura prettamente giuridica e sostenendo che questa vada risolta con strumenti prevalentemente di diritto penale.

Il Volume può essere suddiviso in tre macroaree: la prima si concentra sullo studio della cause sociali, economiche e politiche del fenomeno migratorio; la seconda sull’analisi degli strumenti giuridici predisposti dagli Stati, soprattutto in ambito europeo e con particolare riferimento all’ordinamento italiano, per risolvere o comunque attenuare le conseguenze del problema; la terza macroarea, infine, propone una nuovo modo di trattare la questione dell’immigrazione e le eventuali soluzioni in un’ottica rispettosa dei diritti umani, che permetterebbero, a parere degli Autori,  di vedere il fenomeno non più come “problema”, ma come una “risorsa” per gli Stati.

In particolare gli Autori evidenziano che le radici più antiche e profonde del fenomeno migratorio sono da individuare in quel processo di espansione economico e finanziario, che va sotto il nome di “globalizzazione”, promosso da Clinton all’insegna del “Nuovo secolo americano” e che nell’attuale momento storico e politico appare ormai come un processo di natura irreversibile e, dunque, definitivo. In effetti, come evidenziano gli stessi Autori, l’affidamento del potere di predisporre le linee guida delle politiche economiche ad organizzazioni di natura internazionale (in primis Organizzazione mondiale del commercio, il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale) ha prodotto un’irresponsabilità sociale degli Stati nella regolamentazione dei mercati. Tale irresponsabilità ha portato al c.d. declino dello Stato sociale, che dopo aver raggiunto il suo acme all’indomani del secondo conflitto mondiale, oggi, in seguito al nuovo sviluppo della governance economica internazionale, improntata a politiche neoliberiste, sviluppatesi a partire dagli anni Settanta, risulta uno Stato sempre meno attento ai bisogni dei cittadini e alla tutela dei diritti umani, al fine di rispettare logiche di mercato che appaiono lontane rispetto a quelle che garantirebbero il benessere dei popoli dei singoli Stati.

In aggiunta, politiche di sicurezza, promosse soprattutto dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, che non a caso risultano i principali Paesi produttori di armi pesanti, hanno favorito interventi armati in alcuni Paesi del mondo, la maggior parte delle volte con il fine di sfruttarne le risorse economiche che ne sarebbero derivate, ma mascherati da operazioni militari volte in linea di principio ad esportarne la democrazia, al rispetto dei diritti umani o al mero mantenimento della pace. Tali operazioni, come evidenziano gli Autori, consentono «bombardamenti e invasioni a tutela dei diritti umani, i cui “effetti collaterali” producono danni di segno opposto ai fini dichiarati». Gli interventi hanno spesso condotto ad effetti devastanti, costringendo etnie e popoli a esodi di massa verso i Paesi Occidentali; è in questi fenomeni, pertanto, come correttamente osservano gli Autori del Volume, che vanno ravvisate le radici del fenomeno migratorio, ossia in politiche “globalizzate” e teorie securitarie orientante sempre più al profitto egoistico dei Paesi economicamente più forti a discapito del rispetto delle singole economie locali del Paesi meno sviluppati e allo stravolgimento delle loro produzioni, consumi e forme di vita tradizionali.

Gli Autori non mancano di evidenziare che non appaiono meno gravi le responsabilità europee nel trattare il fenomeno migratorio. L’Unione europea e i singoli Stati, infatti, al di là delle mere dichiarazione di principio rispettose della tutela dei diritti e della dignità umana degli immigrati, delle proposte ad una nuova forma di cooperazione economica con i Paesi dell’area mediterranea, ossia la zona che maggiormente interessa il fenomeno migratorio in Europa, così come avvenuto in occasione della c.d. “Strategia di Barcellona”, e ancorché il sistema di tutela dei diritti fondamentali della persona umana predisposto e conclamato nelle numerose Carte europee sul tema, come, ad esempio, nella Carta europea dei diritti fondamentali del 7 dicembre del 2000 e nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre del 1950, nonché nelle singole Costituzioni nazionali dei Paesi del Vecchio Continente, nei fatti combattono il fenomeno migratorio con strumenti del tutto inadeguati a risolvere il problema e improntate a logiche economiche che non tengono conto della tutela umana dei singoli individui.

L’inadeguatezza degli strumenti predisposti è dimostrata dalla numerosi stragi verificatesi negli ultimi anni nel Mediterraneo, tra cui la nota strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013, considerata come la più grave catastrofe marittima mediterranea del XXI secolo, causate da politiche inidonee a combattere il fenomeno, volte al contenimento della spesa pubblica in materia di immigrazione, predisposte con un atteggiamento di chiusura verso l’esterno e irrispettose della tutela dei diritti umani degli individui coinvolti. Gli immigrati risultano così, come definiti dagli stessi Autori, “alieni”, ossia persone del tutto emarginate, escluse dalla società e vittime di un sistema in cui le logiche di mercato prevalgono e vi è sul tema una tutela meramente simbolica della dignità umana.

Gli Stati europei, inoltre, tendono a risolvere la questione predisponendo strumenti di natura penale, così come è avvenuto in Italia a partire dalla legge 6 marzo 1998, n. 40, c.d. Turco-Napolitano, con cui il Governo è stato delegato ad emanare il d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo Unico sull’Immigrazione (TUI), più volte modificato negli anni a seguire.

Gli Autori, soffermandosi sulla disciplina italiana, evidenziano come talvolta questa ha creato seri dubbi interpretativi che andassero in senso opposto alla tutela dei diritti dell’uomo, come nel caso del reato previsto dal comma 1, dell’art. 12, TUI, ai sensi del quale è punito il comportamento di chi procura illegalmente l’ingresso nel territorio italiano di colui che non ne ha titolo. Tale fattispecie, infatti, ha posto il dubbio se fosse soggetto ad incriminazione il comportamento di chi si limitasse a salvare in mare immigrati clandestini in evidente pericolo. In realtà il problema nasce da un’opera di disinformazione da parte del mondo della politica, nonché da quello dei media, i quali hanno favorito un’interpretazione errata di tale disposizione. La norma, infatti, come mettono in luce gli stessi Autori del Volume, deve essere letta insieme al comma 2, dell’art. 12, TUI, in cui è espressamente affermato che «non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato», nonché con l’art. 54 c.p. (richiamato dallo stesso art. 12, comma 2, TUI) che prevede una scriminante di reato per colui il quale «ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo» e con l’art. 593 c.p. che punisce nel nostro ordinamento l’omissione di soccorso di «un corpo umano che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferità o altrimenti in pericolo». Da tale interpretazione sistematica dell’art. 12, comma 1, TUI, emerge, dunque che il soccorso degli immigrati in mare non soltanto è permesso dall’ordinamento, ma risulta, altresì, un dovere la cui inosservanza è soggetta a sanzione ex art. 593 del codice penale.

Ulteriori sintomi di inadeguatezza della predisposizione di strumenti di diritto penale per combattere il fenomeno migratorio sono evidenziate dalla natura meramente virtuale della sanzione imposta in riferimento ad alcuni reati commessi dai clandestini; in particolare, ci si riferisce all’art. 10, TUI che punisce «L’ingresso e il soggiorno illegale nel territorio dello Stato» in cui sono previste pene pecuniarie e la pena sostitutiva dell’espulsione del reo, che trovano per motivi diversi (impossidenza o irreperibilità del condannato) rarissima applicazione concreta.

Per tali motivi una parte del dibattito istituzionale ne ha proposto la riformulazione o addirittura, condivisibilmente, la totale abrogazione al fine di predisporre strumenti più idonei a risolvere il problema; tuttavia, altri, soprattutto appartenenti alle correnti più estremiste del mondo della politica, continuano a ritenere l’assoluta necessità di tali reati, ancorché la natura, talvolta, meramente virtuale di dette disposizioni, nonché l’assoluta (i fatti lo dimostrano) inadeguatezza di tali strumenti.

Si consideri, inoltre, che il diritto penale, alla luce delle disposizioni costituzionali in tema di libertà personale, dovrebbe essere applicato come extrema ratio, ossia soltanto laddove gli altri strumenti non appaiono idonei per affrontare una determinata questione e non ci sembra che in questo caso non esistano mezzi alternativi di risoluzione del fenomeno migratorio.

Inadeguate appaiono altresì le operazioni Mare nostrum e Triton finanziate, in seguito alle stragi nelle vicinanze dell’isola di Lampedusa, al fine del soccorso degli immigrati naufraghi nel Mediterraneo, che ancorché costose, sono state criticate in quanto indiretto incentivo all’immigrazione clandestina, nonché per le poche risorse predisposte rispetto all’ampiezza del fenomeno.

Appaiono, dunque, condivisibili le soluzioni avanzate dagli Autori nel Volume, i quali propongono di trattare il fenomeno migratorio non con strumenti di chiusura, talvolta di natura penale, ma risolvendo il problema alla radice, ossia il problema che ha causato e continua a causare lo stravolgimento delle singole realtà locali dei Paesi meno sviluppati da parte dei Paesi occidentali. Tale stravolgimento, come già detto, è stato causato dalle politiche poste in essere dagli Stati economicamente più forti volte al dominio e sfruttamento dei Paesi da cui provengono le masse migratorie; per la soluzione del problema, dunque, sarebbe sufficiente cambiare tali politiche e aiutare tali Paesi ad uno sviluppo economico, al fine di porre fine o comunque di attenuare il fenomeno migratorio.

L’aiuto, secondo l’opinione degli Autori, non costituirebbe un vantaggio soltanto a favore dei Paesi aiutati, ma anche degli stessi Stati occidentali, i quali potrebbero trarre profitto dall’avvio di un processo multilaterale di dialogo che porrebbe le premesse per uno sviluppo reciproco del settore culturale, formativo e produttivo, idonee ad allentare la pressione migratoria. Un esempio di sviluppo reciproco, infatti, potrebbe derivare da uno scambio di tecnologie provenienti dai Paesi industrializzati con materie prime fornite dai Paesi economicamente più deboli. Ulteriore profitto potrebbe derivare dal sostegno di tali Paesi, attraverso uno scambio di informazioni, nel combattere il terrorismo internazionale, che nell’attuale momento storico interessa in particolar modo gli Stati occidentali, aiuto che senza dubbio comporterebbe un alleggerimento della spesa pubblica in materia di sicurezza, da poter reinvestire in settori che maggiormente interessano più da vicino i cittadini.

Tali politiche di sviluppo reciproco e solidale, non più improntante a logiche economiche egoistiche, ma pur sempre oggetto di profitto da parte degli Stati occidentali, risulterebbero maggiormente garantiste dei diritti umani, e, dunque, in linea con le Carte in materia di diritti fondamentali predisposte soprattutto in ambito europeo. L’Unione europea, ad esempio, iniziando a considerare il problema un punto di partenza dal quale trarne risorse, potrebbe avere finalmente l’occasione per risolvere parte della crisi economica che sta attraversando, nonché per superare le logiche di mercato di austerità che la caratterizzano e risolvere il problema garantendo una tutela adeguata dei diritti umani di tutti, anche dei meno fortunati.

Il Volume, pertanto, appare di notevole interesse, perché fornisce una visione chiara del problema del fenomeno migratorio, ricercandone le vere cause e proponendone soluzione alternative, che appaiono di sicuro molto più adeguate rispetto a quelle predisposte dagli Stati fino ad oggi; il Volume è da apprezzare, altresì, perché pur prendendo atto che la tutela dei diritti umani presenta pur sempre un costo, evidenzia le risorse che potrebbero sostenere tali spese, ossia un minore impiego delle risorse pubbliche nel settore della produzioni di strumenti per la sicurezza, favorito dal dialogo dei Paesi da cui provengono le masse migratorie, che creerebbe dei  proventi da poter adoperare in capitoli di spesa del settore sociale di ciascuno Stato.

In conclusione il Volume appare utile per la chiarezza dell’esposizione, nonché per la serietà con cui è trattato il problema, non soltanto per gli operatori del diritto, ma anche per il mondo istituzionale, nonché per tutti i coloro i quali mostrano interesse ad una spiegazione reale del fenomeno migratorio e alle sue possibili soluzioni.