Primi appunti per una recensione condivisa di L. Mezzetti – A. Morrone, Lo strumento costituzionale dell’ordine pubblico europeo

È di recentissima pubblicazione, per i tipi dell’editore Giappichelli, il volume “Lo strumento costituzionale dell’ordine pubblico europeo”, curato da Luca Mezzetti e Andrea Morrone, che raccoglie gli Atti del Convegno internazionale di studi tenutosi a Bologna il 5 marzo 2010 in occasione dei sessant’anni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Si tratta di un volume ponderoso, che raccoglie circa trenta contributi relativi pressoché ad ogni ambito dell’attuale dibattito sulla Convenzione, dal rapporto con l’ordinamento interno alla giurisprudenza maturata con riferimento ai singoli diritti.

Personalmente, non ho potuto leggere tutti i contributi: appena avutolo tra le mani mi sono concentrato sulla lettura dei saggi sui temi di più immediato interesse per i miei studi attuali. È per questo che propongo, qui, una recensione parziale, relativa soltanto ad alcuni dei saggi contenuti del volume, rivolgendo ai lettori e agli autori di diritticomparati.it l’invito ad inserire, attraverso i commenti a questo post, ulteriori recensioni degli stessi e degli altri saggi pubblicati nel volume. Potrà venirne fuori una recensione pluralista e a più mani su di un volume che, in effetti, merita una lettura ampia ed approfondita. E la speranza è di attirare anche i contributi degli autori e dei curatori!

Nel saggio di Luca Mezzetti, che apre il volume, la Convenzione europea dei diritti umani è collocata in una prospettiva storica amplissima, che affonda le proprie radici non solo nei processi di positivizzazione dei cataloghi dei diritti a partire dalle Carte di epoca liberale, ma anche nella elaborazione filosofica. In questo senso, l’Autore si volge non solo ai pensatori tradizionalmente annoverati nel filone del giusnaturalismo, ma va più indietro nel tempo, alla ricerca dell’humus su cui le teorie dei diritti poggiano: la riflessione dei Padri della Chiesa sulla nozione di dignità dell’uomo, la rivendicazione di ambiente calvinista e repubblicano avversa all’affermazione delle Monarchie assolute. Ma ancora più interessante è l’attenzione alla preistoria dei diritti fondamentali, ricostruita attraverso l’analisi di documenti e testi risalenti a civiltà precristiane. Contestualizzata nella storia millenaria di sviluppo della tradizione giuridica occidentale e nella universalizzazione dei diritti dell’epoca contemporanea, la Convenzione di Roma è così restituita alle sue matrici ideali ed alle sue radici vitali: una prospettiva di analisi, questa, che orienta l’interpretazione della Convenzione nell’epoca presente, di fronte alle sfide del multiculturalismo ed alle spaccature che interessano lo spazio europeo.

Ho trovato interessante e molto ben fatto il lavoro di Corrado Caruso sull’abuso di diritto e il trattamento dell’hate speech, che si confronta con un tema che torna ad appassionare in questi anni gli studiosi, e che ha, nella giurisprudenza Cedu, profili di interesse e delicatezza (e perfino di drammaticità, in molti casi). Caruso ricostruisce esattamente il passaggio argomentativo della Corte edu nel trattamento dei casi di negazionismo dell’Olocausto dall’art. 10 all’art. 17 della Convenzione, rinvenendo in ciò la perdita di spazi per operazioni di bilanciamento e di apprezzamento delle circostanze di specie. Il passaggio centrale, in questo senso, è individuato nella sentenza Garaudy, ma non mancano i casi in cui la Corte si libera dalle strettoie rappresentate dal ricorso al canone del divieto di abuso di diritto per riaprire i margini propri dell’interpretazione secondo i criteri della libertà di espressione.

Il saggio di Michele Belletti si concentra sul principio di laicità, ma premette una ricostruzione molto articolata dei processi di integrazione tra gli ordinamenti. Commentando l’approccio della giurisprudenza Cedu in materia di simboli religiosi, Belletti sposa una lettura molto “nazionalista”: in particolare, la Lautsi 1 è criticata, mentre la Lautsi 2 ha «finalmente ricondotto un tema così delicato, come quello della tutela del sentimento religioso del singolo, entro gli schemi consueti e rassicuranti del margine di apprezzamento statale» ed ha «finalmente mostrato coerenza … ai precedenti in argomento che … hanno sempre mostrato una Corte sostanzialmente “reticente” ad assumere decisioni contrarie al sentimento religioso della maggioranza della popolazione in un dato Stato». L’opinione di Belletti, come di consueto assai ben argomentata, va dunque in controtendenza rispetto a molte delle opinioni circolate nel dibattito pubblico sul tema, ed anche a molti dei commenti che abbiamo pubblicato nel nostro blog a commento della Lautsi 2 (si rivedano, per esempio, i post di Ratti e Schillaci, o il dibattito che si è innescato).

Massimo Rubechi si occupa della giurisprudenza della Cedu in materia elettorale, ricostruendo gli approcci più recenti a partire dal caso Mathieu-Mohin et Clerfait c. Belgio, che costituisce in materia un vero e proprio decalogo in materia. La rassegna giurisprudenziale è ricca ed articolata; mi pare di grande interesse l’osservazione di Rubechi a commento dei casi Zdanoka, Adamson e Finci, tutti relativi a transizioni difficili: lo scorrere del tempo, l’allontanarsi dalle fasi di transizione, il maggior consolidamento delle istituzioni democratiche, determinano anche il mutare di approcci giurisprudenziali comprensivi rispetto alle restrizioni statali.

Chiara Bologna ricostruisce la giurisprudenza sui “partiti antisistema”: l’Autrice evidenzia la continuità delle linee argomentative della Corte nelle diverse sentenze, nonostante l’oscillazione nelle decisioni dei casi concreti. In effetti, è questo un tratto rilevante nella giurisprudenza sul punto: l’argomentazione della Corte di Strasburgo in questi casi presenta una certa difficoltà a fondare percorsi convincenti: essa riproduce massime generali bon a tut faire, salvo improvvisamente accelerare verso la risoluzione del caso concreto in scrutini di proporzionalità dagli esiti incerti fino all’ultimo. E nella maggior parte dei casi si ha la sensazione che la valutazione sostanziale che soggiace alla decisione dei giudice sia determinata da approcci realistici, se non pragmatici, che non sempre risaltano con trasparenza nell’argomentazione della sentenza.

Fin qui i commenti ai primi saggi cui mi sono dedicato: rinnovo l’invito ad intervenire sugli altri. Mi pare però che già da questi primi “mattoncini” emerga che si tratta di un volume che coniuga profondità storica e culturale con completezza e precisione ricostruttiva. Insomma, un libro da tenere a portata di mano.