Quali sono le conseguenze dell’applicazione dello “stato d’emergenza” proclamato dal presidente Hollande in Francia?

 Il 13 novembre 2015, a partire dalle 21:20 circa, una serie di attacchi terroristici coordinati ha coinvolto diverse zone di Parigi: l’area circostante allo “Stade de France” che ospitava l’amichevole Francia-Germania, Boulevard de Charonne, Boulevard Voltaire, Rue Alibert, Rue de la Fontaine au Roi e il teatro “Bataclan”. L’azione è stata condotta da otto terroristi i quali hanno utilizzato fucili mitragliatori, granate ed esplosivi; tre di loro si sono suicidati con cinture esplosive dopo aver finito le munizioni, gli altri sono morti a seguito dei conflitti a fuoco con la polizia.  Negli attacchi sono state uccise 129 persone e ferite 433, di cui 80 portate all’ospedale in gravi condizioni. 89 persone sono morte al “Bataclan”, dove si stava tenendo un concerto del gruppo musicale statunitense “Eagles of Death Metal” a cui assistevano circa 1500 persone.

Nella notte della tragedia l’Esecutivo ha deciso di ripristinare i controlli alle frontiere e di stabilire con decreto lo stato d’emergenza per tre mesi (la normale durata è di 12 giorni) su tutto il territorio francese e sulla Corsica.  Il Presidente della Repubblica Hollande ha parlato lunedì 16 novembre alle due camere del Parlamento francese riunite a Versailles. Questa circostanza assume una valenza particolare se si pensa che si era verificata solo una volta da quando, con la legge cost. 2008-724 del 23 luglio 2008, era stata introdotta la possibilità per il Presidente della Repubblica francese di rivolgersi alle camere riunite. Prima della riforma del 2008 infatti il Presidente poteva mandare messaggi, ma non leggerli personalmente e questi non potevano dare luogo a un dibattito parlamentare. Tali elementi avevano portato ad uno scarso impiego di tale potere presidenziale, utilizzato perlopiù in occasione dell’insediamento o per importanti questioni di politica estera. Nel suo discorso il Presidente Hollande ha evidenziato diversi punti, tra cui la necessità di considerare come ci si trovi  di fronte ad una guerra che possiede un significato differente da quello che le è generalmente attribuito, ragion per cui  diverso deve essere il regime costituzionale necessario a gestire la crisi. Altro elemento centrale è stato il richiamo all’art. 42, par. 7, del TUE: “Qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Ciò non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri”. In questa maniera Hollande, richiamando il Trattato sull’Unione europea, ha evidenziato, legittimamente, la necessità che la coesione politica si tramuti anche in coesione militare. La volontà è quella di creare una vasta coalizione per sconfiggere lo Stato islamico, e, in tal senso, le posizioni del Presidente americano Obama e del Presidente russo Putin sono decisamente orientate a questa soluzione, come dimostrano i bombardamenti su Raqqa (Siria), una delle roccaforti dell’ISIS, avviati dalla Francia il 15 novembre .

 Il 18 novembre 2015, il Presidente francese, intervenuto durante la riunione dei sindaci a Parigi a seguito del blitz antiterroristico effettuato a Saint-Denis nelle prime ore della giornata, ha confermato che la Francia è in guerra. L’Assemblea Nazionale francese il 19 novembre, ed il Senato il 20 novembre, hanno dato parere favorevole al prolungamento dello stato di emergenza. “Questo implicherà alcune restrizioni alle libertà personali, ma” ha affermato Hollande “è il prezzo da pagare per contrastare il terrorismo”. Il Primo ministro francese Valls, parlando all’Assemblea nazionale prima del voto sulle misure di sicurezza straordinarie, ha affermato che sussiste il “rischio dell’utilizzo, da parte dei terroristi, di armi chimiche e batteriologiche”.

Nelle intenzioni del Presidente francese ci sarebbe quella di “costituzionalizzare” quello stato d’emergenza che oggi, in Francia, è previsto e regolato dalla legge n° 55-385 del 3 aprile 1955. Tale legge, promulgata in occasione della guerra di indipendenza dell’Algeria e la cui ultima applicazione risale al 2005 per fronteggiare le rivolte nelle “banlieues parigine”, a seguito degli interventi di modifica del 1960, del 2009 e del 2011, risulta attualmente composta da 15 dei 17 articoli originali. Il verificarsi di eventi che per natura e gravità abbiano la portata di pubblica calamità comporta la possibilità, in capo al Consiglio dei Ministri, di dichiarare lo stato di emergenza in parte o nella totalità del territorio francese, inclusi comunità estere e dipartimenti d’oltremare.  La legge francese del 1955 prevede che il decreto con il quale il Consiglio dei Ministri dichiara lo stato di emergenza possa fornire alle autorità amministrative eccezionali poteri di polizia riguardanti la circolazione di persone e di veicoli, la possibilità di proibire il soggiorno nel territorio francese a tutti coloro che si trovino a ostacolare l’attività delle pubbliche autorità, la chiusura di luoghi pubblici,  perquisizioni domiciliari in qualsiasi momento, divieto di riunioni di natura potenzialmente lesiva dell’ordine sociale, nonché il sequestro di armi. L’articolo 11 della legge del 1955 stabilisce altresì la possibilità di adottare tutte le misure volte ad assicurare il controllo della stampa e delle pubblicazioni di ogni natura (es. emittenti radiofoniche), anche se per quest’ultimo occorrerebbe un decreto ulteriore attualmente non emanato né previsto nell’agenda del Consiglio dei Ministri. D’altra parte il Ministro dell’Interno, in forza del decreto, potrà in questi giorni imporre la residenza obbligatoria o gli arresti domiciliari alle persone che si rendano pericolose per la sicurezza e l’ordine pubblico (art. 6 della Loi). In ogni caso, affinché simili restrizioni della libertà non vengano a costituire un abuso dell’autorità, è formato un comitato incaricato ad hoc di vagliare le istanze di rimozione delle misure restrittive.

A fronte dell’intenzione di Hollande di “costituzionalizzare” lo stato d’emergenza, è bene ricordare che la Costituzione della V Repubblica contempla già altri due regimi speciali. Uno è quello dell’articolo 16 della Costituzione relativo ai poteri eccezionali che il Capo dello Stato può assumere (dopo aver sentito Primo Ministro, i presidenti delle Camere e il Consiglio Costituzionale) quando le istituzioni della Repubblica, l’indipendenza della Nazione, l’integrità del suo territorio o l’esecuzione degli impegni internazionali siano minacciati in maniera grave ed immediata e quando risulta interrotto il regolare funzionamento delle istituzioni. Tale articolo è stato modificato dalla riforma costituzionale del 2008 che ha introdotto una forma di controllo parlamentare in caso di applicazione prolungata della norma succitata. L’altro dispositivo costituzionale speciale è quello dell’articolo 36 Cost. che regola lo “stato d’assedio” (della durata anch’esso di dodici giorni, prorogabili su autorizzazione del Parlamento), applicabile in caso di pericolo imminente derivante da una guerra straniera o da un’insurrezione armata e che prevede l’attribuzione di poteri eccezionali alle autorità militari. Il Presidente Hollande ha sottolineato l’impossibilità di fare ricorso a questi regimi speciali non adatti alla situazione attuale invocando invece un “regime costituzionale in grado di gestire la lotta”, richiamando in tal senso le riforme degli artt. 16 (“Poteri straordinari del presidente in caso di minaccia allo Stato”) e 36 (“Stato di guerra e interventi armati all’estero”). Se è vero che la Costituzione è da intendere come un “contratto” che unisce tutti i cittadini di uno stesso paese, è legittimo pensare che all’interno di questo “accordo” vi siano anche le risposte necessarie a combattere coloro che vorrebbero indebolirlo. L’unica vera soluzione per il Presidente francese è percorrere la via della della revisione costituzionale. Questa è la sola via per evitare il rischio, che ogni legge ordinaria corre, di essere ridimensionata dalle pronunce del Consiglio Costituzionale laddove vengano messe in discussione le libertà fondamentali che essa stessa protegge. Tuttavia la strada della “révision constitutionnelle“ non appare meno “tortuosa”. Sebbene infatti il Presidente Hollande abbia manifestato l’intenzione di incaricare il Premier Valls di predisporre un testo da approvare nel più breve tempo possibile, non è detto che dopo la prima deliberazione da parte di entrambe le Camere, in fase di approvazione definitiva da parte del Parlamento si trovi facilmente la maggioranza necessaria (3/5 dei suffragi espressi). Ulteriore soluzione potrebbe essere quella di chiamare il popolo francese ad esprimersi tramite referendum, ai sensi dell’art. 89 Cost., ed approvare definitivamente il testo.

Il quadro normativo appare in costante evoluzione anche in ragione di un’azione terroristica che non mostra un “disegno preciso”, ma che mira soltanto a realizzare i suoi folli ideali. Quello che si può evidenziare è un cambiamento rispetto al passato: gli attentati dei terroristi dell’ISIS non sono stati rivolti alla distruzione di monumenti o simboli, cercando in qualche modo un emblema del loro operato, come la distruzione delle “Twin Towers” da parte di Al-Quaeda nel 2001. Gli obiettivi sono stati luoghi di aggregazione di persone comuni, come bar, ristoranti o stadi. Quelle scelte possono rappresentare la conseguenza di una mentalità rivolta a generare da un lato un senso di paura e terrore che modifichi in maniera rilevante le nostre abitudini,(la psicosi è ormai evidente in gran parte delle capitali europee, Parigi in primis), dall’altro invece mirare a zone che possano costituire “bersagli facili” e che quindi possano generare un elevato numero di vittime, senza aver cura di eventuali dettagli religiosi o razziali. L’unica certezza è che probabilmente assisteremo ancora una volta al famoso contrasto tra due principi fondamentali: la “salus populi suprema lex” contrapposta alla libertà di ogni individuo. Dare un ancoraggio costituzionale allo stato d’emergenza permetterebbe di stabilire garanzie definite per i diritti fondamentali e, soprattutto, si riuscirebbe a delimitare il raggio d’azione del  Parlamento in situazioni d’emergenza. È facile considerare come le circostanze esterne possano facilmente influenzare ed indirizzare l’operato del Parlamento in una direzione che possa comprimere le garanzie dei cittadini a favore di una maggiore sicurezza. Fortunatamente, qualora si dovesse procedere a modificare la Costituzione, rendendola “più idonea” ad affrontare l’attuale situazione globale, la presenza di una procedura aggravata prevista dalla Costituzione francese per la revisione costituzionale permetterà una riflessione oculata al tipo di decisione richiesta.