…Nuove frontiere per la proprietà? (Recensione a Roberto Conti, Diritto di proprietà e CEDU. Itinerari giurisprudenziali europei. Viaggio fra Carte e Corti alla ricerca di un nuovo statuto proprietario, Aracne editrice, Roma, 2012).

Non per generiche finalità informative, ma in ragione del fatto che ciò sembra realmente utile per contestualizzare e comprendere meglio il volume qui presentato (la sua impostazione sistematica, il suo approccio metodologico, la tensione ideale che lo attraversa), vale la pena ricordare che il libro “Diritto di proprietà e CEDU. Itinerari giurisprudenziali europei.  Viaggio fra Carte e Corti alla ricerca di un nuovo statuto proprietario” è opera di un magistrato – in servizio per circa vent’anni nel settore civile e nel settore penale presso il Tribunale di Palermo, e dal marzo 2012 Consigliere di Cassazione – che, con dedizione e passione davvero di prim’ordine, ha affiancato o intrecciato alla sua attività istituzionale una non meno impegnativa e proficua attività di studio, di approfondimento, di divulgazione, di assiduo impulso intellettuale e organizzativo (anche nel suo ruolo di componente del Comitato Scientifico del CSM) in vista della più diffusa conoscenza e riflessione critica sulle tematiche, sulle problematiche e sulle innumerevoli, concrete questioni (anzitutto) giuridiche connesse all’integrazione europea, sul duplice fronte dell’Unione e della CEDU.

Il tutto in strettissimo e assiduo – più che quotidiano! (grazie agli strumenti informatici, quali le mailing list) – e molto collaborativo rapporto con gli ambienti, sia giudiziari sia accademici, maggiormente sensibili e aperti, o comunque attenti, agli impetuosi sviluppi che, soprattutto a partire dalla fine degli anni novanta, hanno segnato ed “ingigantito”, in sede teorica come in sede pratica, le accennate tematiche, problematiche e questioni.

Già questi pochi elementi sull’Autore, insieme ovviamente ai contenuti e al taglio del libro, sembrano corroborare la decisione di pubblicare l’opera nell’ambito, e anzi quale volume inaugurale, di una nuova collana intitolata “Studi di diritto europeo”.

Nella relativa presentazione, a firma del Direttore della collana Mario Serio, si legge che l’espressione “diritto europeo”, «più che frutto di una scelta culturale, appare il prodotto di una necessità scientifica, quella di designare studi e scritti che aspirano a descrivere, interpretare, modellare le sempre più vaste aree di pensiero giuridico che si vanno assestando attorno all’Europa […] prendendo atto della necessità di raccogliere riflessioni e saggi di impianto monografico che si concentrino non soltanto su temi riconducibili al perimetro del diritto europeo, ma [spazino] in tutti i possibili luoghi di esplicazione del diritto europeo, comunitario e non», e che siano «rivolti all’inveramento dell’istanza europeistica nei diritti nazionali e al coordinamento del livello sovrastatuale con quello statuale».

Parole e prospettive, scientifiche ed ideali, che sembrano in effetti trovare nel Lavoro (tutto; non solo quest’ultimo “frutto”) di Roberto Conti una coerente ed energica concretizzazione.

A tal proposito (ma anche, propriamente, per riavvicinarci all’opera qui presentata), è anzi da dire che la sua precedente, ampia monografia “La Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il ruolo del giudice”, edita nel 2011, per un verso testimonia, in generale (e insieme a molti altri contributi, interventi e attività che sarebbe impossibile ricordare con completezza in questa sede), l’appassionato e produttivo impegno cui si è fatto riferimento; per l’altro, e iniziando a entrare nel merito, rappresenta – proprio nel senso etimologico – lo sfondo, o meglio il quadro generale, entro cui possono utilmente collocarsi gli “itinerari” giurisprudenziali ricostruiti e analizzati nel volume attuale: tutto incentrato (non tanto forse, almeno in prima battuta, su quello che nel sottotitolo viene definito, con taglio apparentemente teorico, un possibile “nuovo statuto proprietario” di matrice europea; quanto, più analiticamente e pragmaticamente) su una serie di vicende e questioni, affrontate a livello europeo e a livello nazionale, che concretamente (ma non certo senza importanti ricadute di principio: ed è in questa chiave che sembra allora doversi leggersi, probabilmente, anche la citata espressione del sottotitolo) hanno inciso e incidono – per via normativa o, più spesso, per via giurisprudenziale – sull’effettiva “dimensione” del diritto di proprietà, dei suoi limiti, delle sue forme di tutela.

In questo senso, il volume attuale sembra in effetti porsi su una linea di continuità e di coerente sviluppo rispetto all’opera del 2011, con riguardo alla quale l’Autore stesso aveva affermato (in una sua “autorecensione”) che «[l]a prospettiva seguita muove dalla convinzione che il modo migliore per conoscere la CEDU è quello di accostarsi alle sentenze nazionali che con essa si sono fin qui misurate per trarne talune linee guida», e che «[c]apire e conoscere la CEDU significa comprendere la portata e le tecniche che ne consentono concretamente l’applicazione ed attuazione nelle singole vicende processuali».

Affermazioni, ci sembra, che possono riferirsi con la medesima pertinenza anche all’opera qui presentata, mostrando  un primo elemento che – soprattutto alla luce del tempo e delle vicende intercorse – tende a distinguere, o comunque a caratterizzare in modo più accentuato, il volume di Roberto Conti rispetto a precedenti scritti (alcuni dei quali, in ogni caso, tuttora imprescindibili) che trattavano, almeno in parte, le medesime tematiche (quali ad esempio diversi lavori, anche monografici, di Maria Luisa Padelletti, Nicola Colacino, Marco Comporti, Luigi Condorelli, Luigi Daniele, Antonio Gambaro, Andrea Guazzarotti, Massimo Luciani, Salvatore Salvago, Cesare Salvi).

La stretta “aderenza” della trattazione – anzitutto a livello di impostazione sistematica (non sempre, ovviamente, nei giudizi e nelle prese di posizione dell’A.) – a concrete vicende normative e giurisdizionali vale infatti a conferire al volume anzitutto (ma ovviamente non soltanto) una spiccata e preziosa funzione “informativa” (o forse meglio, e a scanso di equivoci, di alta divulgazione), giacché esso raccoglie ed illustra – per un verso,  in modo ordinato e organico (e sostanzialmente completo, quantomeno nel quadro dell’approccio metodologico di cui sopra); e, per altro verso, con costante tendenza all’approfondimento critico e/o propositivo (…ecco perché “non soltanto”) – tutti gli elementi normativi e giurisprudenziali di maggior rilievo con riguardo al tema di fondo.

Tema che – tentando di formularne una sorta di definizione appena un po’ più precisa (per quanto sgraziata; ma non si tratta qui, fortunatamente, di scrivere un titolo) – potrebbe forse indicarsi come quello dello sfaccettato, effettivo regime della proprietà (per inciso: scontando la pluralità di nozioni cui tale termine rimanda, ed i connessi problemi) quale ricostruibile rivolgendo l’attenzione alle diverse “sedi” (appunto normative e giurisdizionali) del complesso, ma al contempo sempre più integrato, circuito giuridico “multilivello” (e sia consentito, per mera comodità e senza alcuna implicazione, il ricorso all’amato/odiato aggettivo non accompagnato dal consueto corredo di riferimenti e precisazioni).

A quest’ultimo proposito, va precisato che, sebbene il titolo faccia riferimento al solo “fronte” della CEDU, non mancano affatto allargamenti di indagine, e istruttivi momenti di confronto, rivolti all’altro fronte – quello “eurounitario” (…se ancora occorrono le virgolette) – dell’integrazione europea.

Si veda anzitutto, in questa seconda (ma ovviamente collegata) prospettiva, il Capitolo IX, nel quale si rende conto, tra l’altro, del ruolo dell’art. 17 della Carta… di Nizza[1], in particolare con riguardo a diverse questioni relative alla “giusta indennità”: approfondimento assai istruttivo, laddove ad esempio mostra il rilievo che possono in concreto assumere aspetti apparentemente marginali e talora trascurati, come quelli relativi ai tempi del pagamento dell’indennizzo e alle ricadute, in termini di maggior danno, di eventuali ritardi.

Ma si veda anche, in alcune sue parti significative, il Capitolo X, non a caso intitolato “Conclusioni in progress” e proiettato – almeno con brevi cenni mirati – anche verso questioni più generali relative ad alcuni recenti, o imminenti, sviluppi nei rapporti tra diversi ordinamenti e sistemi, tra cui la controversa questione della “comunitarizzazione della CEDU per effetto dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona” (senza che la formula, pur utilizzata dall’Autore, implichi l’adesione ad alcune affrettate ricostruzioni affacciatesi nella giurisprudenza soprattutto amministrativa ma poi fermamente e puntualmente “smontate”, con stringenti argomenti, dalla Corte costituzionale, oltre che dalla dottrina).

Quanto ai restanti capitoli, nell’impossibilità di rendere conto – anche solo attraverso una sorta di (comunque poco utile) elencazione – di tutte le specifiche vicende e questioni toccate (la cui ampiezza e ricchezza rappresenta, come si diceva, un aspetto caratterizzante, e per molti versi il punto di forza, della trattazione), si vuol quantomeno richiamare l’attenzione – sorvolando sulle decine e decine di pagine dedicate, con dovizia di riferimenti e riflessioni, all’occupazione acquisitiva, all’art. 43 t.u. espropriazione e alle connesse, evoluzioni (e involuzioni) normative e giurisprudenziali – su due capitoli forse di ancor più ampio respiro (e comunque di notevole interesse): il Capitolo III, nel quale – muovendosi chiaramente su un “campo minato”, ma con strumenti e approcci per più profili innovativi, collegati alla particolare prospettiva entro cui la riflessione si colloca –  si torna “coraggiosamente” ad affrontare la “vecchia” (ma tutt’altro che superata) questione della “funzione sociale” della proprietà; e il Capitolo VIII, nel quale – sempre prendendo le mosse da (e… andando poi a ricollegarsi a) concrete vicende giurisprudenziali (quali in particolare, per un verso, le sentenze della Corte di cassazione dell’11 novembre 2008, nn. 26972-75; e, per l’altro, la sentenza del Consiglio di Stato del 2 novembre 2011, n. 5844) e da puntuali previsioni normative (quali soprattutto quelle di cui all’art. 42-bis t.u. espropriazione), ma toccando anche delicate questioni teoriche di fondo riconducibili alla ricostruzione del diritto di proprietà come “diritto umano” – si sviluppa una riflessione sulla riconoscibilità di un danno non patrimoniale da perdita (o lesione) della proprietà.

Si tratta, come può intuirsi, di temi e problemi molto complessi, delicati e densi di ricadute più generali, di notevole interesse e rilievo anche e anzitutto sotto il profilo costituzionale.

Ciò che in proposito – ma anche a mo’ di conclusione di queste modeste osservazioni – sembra potersi ribadire, senza addentrarsi (almeno in questa sede) in puntuali questioni di merito, è che la trattazione, anche in tali “passaggi” più impegnativi, non smette di trarre al contempo sostegno e stimolo da vicende concrete, spesso di grande attualità, rappresentando già per questo (nei suoi passaggi ricostruttivi così come nelle riflessioni che a tali passaggi spesso si intrecciano, o che ad essi, in diversi punti, si affiancano con maggior agio) un prezioso strumento di conoscenza e approfondimento critico tanto del tema specifico (o dei temi specifici) oggetto di esame quanto dei più generali “sviluppi ordinamentali” in atto in questi anni (e che costituiscono, come si accennava, non soltanto lo “sfondo” del volume, ma, in qualche modo e misura, un suo “oggetto implicito”).

E ciò per le molte e importanti “domande” che la trattazione pone, o induce a porsi, non meno che per le “risposte” (magari “in progress”) che essa offre al lettore; oltre che, naturalmente, e prima ancora, per il ricco quadro giurisprudenziale ricostruito dall’Autore con l’attenzione, l’impegno e la passione che – come si è ricordato in apertura (e come, libro alla mano, si torna con piacere a constatare in chiusura) – gli sono proprie.

[1] Per ragioni ideali, storiche e giuridiche illustrate altrove (e troppo lunghe da riportare), chi scrive ritiene tutto sommato più corretto e opportuno continuare a chiamare, in breve, così la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, anziché, come nel libro preferisce fare l’Autore, “Carta di Nizza-Strasburgo”. Si tratta, ovviamente, di opzioni e preferenze del tutto personali.