Riconoscimento di sentenza di adozione straniera e nozione «perimetrata» di ordine pubblico internazionale: le due decisioni del Tribunale per i minorenni di Firenze

Ci sono provvedimenti giudiziari che per profondità di analisi somigliano molto da vicino a veri e propri trattati di dottrina. È il caso dei due decreti rilasciati l’8 marzo 2017 da due diversi collegi del Tribunale per i minorenni di Firenze che, con articolate motivazioni, hanno riconosciuto efficacia in Italia a provvedimenti esteri di adozione a favore di due coppie di uomini (v. A. Schillaci, “Una vera e propria famiglia”: da Firenze un nuovo passo avanti per il riconoscimento dell’omogenitorialità, in Articolo29.it, 13.3.2017).

La finestra che tali provvedimenti apre nell’attuale dibattito si affaccia però non sulle due questioni, già oggetto di ripetute richieste di intervento legislativo, dell’adozione congiunta e dell «adozione coparentale» (stepchild o stepparent adoption di cui all’art. 44, lett. d, della Legge 4 maggio 1983, n. 184), ma sul più specifico problema del riconoscimento di un provvedimento straniero di adozione di minore da parte di due persone dello stesso sesso, tema che ritorna d’attualità a dieci anni dal decreto del Tribunale dei minorenni di Brescia che aveva negato tale riconoscimento in quanto «il matrimonio appare allo stato attuale rappresentare un requisito irrinunciabile perché si possa addivenire ad un’adozione per la nostra legge[, e] in Italia non è consentito il matrimonio tra persone dello stesso sesso» (Trib. min. Brescia, 26.9.2006, in Guida dir., 2007, 2, 74, nota S. Pascasi).

 Partiamo allora da quelle che Piero Calamandrei chiamerebbe «le cifre», oggetto della parte più gravosa dell’ufficio di giudice, «che devono servire al suo calcolo, le premesse, che devono servire al suo sillogismo». Il primo è il caso di due cittadini italiani che, dopo essersi trasferiti stabilmente in Inghilterra, decidono di sposarsi e adottare due bambini. In Inghilterra, infatti, l’adozione da parte di coppie di persone dello stesso sesso è possibile dal 2005 grazie alla Section 79 del Civil Partnership Act 2004 la quale, modificando l’Adoption and Children Act 2002, ha esteso ai partner registrati la possibilità di adottare minori, sia congiuntamente sia mediante adozione coparentale (cfr. E. Hitchings e T. Sagar, The Adoption and Children Act 2002: A Level Playing Field for Same-Sex Adopters?, 19 Child & Fam. L. Q., 2007, 60). Tale possibilità risulta inoltre estesa anche a coppie di stranieri, non essendo imposte restrizioni in relazione alla cittadinanza o alla residenza dei richiedenti.

Il secondo caso riguarda invece una famiglia composta da due cittadini italo-americani che nel 2014 avevano adottato una bambina a seguito di un procedimento che, definito dalla legge locale, ha coinvolto un’agenzia autorizzata, la famiglia d’origine e i genitori adottivi, passando attraverso una valutazione delle condizioni di benessere della famiglia di destinazione, prima e dopo l’inserimento.

Ciò che entrambe le coppie di genitori domandano allora al Tribunale per i minorenni di Firenze è il riconoscimento dei provvedimenti stranieri di adozione dei loro figli onde ottenerne la trascrizione presso il registro di stato civile, requisito essenziale per l’ottenimento della cittadinanza italiana in capo ai minori (art. 34, co. 3, L. 184/1983).

Il nostro ordinamento disciplina tale ipotesi nell’art. 36, co. 4, della L. 184/1983, che in deroga alle regola generali consente il riconoscimento dell’adozione da parte di cittadini italiani residenti all’estero «purché conforme ai principi della Convenzione [dell’Aja del 29.5.1993 sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozioni internazionali]». A nulla rileva, secondo il Tribunale, il richiamo fatto dai ricorrenti all’art. 41 della Legge 31.5.1995, n. 218 di riforma del diritto internazionale privato italiano il quale, pur sancendo il riconoscimento automatico dei provvedimenti esteri di adozione, si applica tuttavia solamente ai «provvedimenti stranieri che riguardano genitori adottivi stranieri e minori stranieri o […] minori non in stato di abbandono» (ipotesi considerata invece da Corte cost., 24.2.2016, n. 76, su cui v. la nota critica di F. Marongiu Bonaiuti, Ordine internazionale e diritti umani, 2016, 473). La Convenzione dell’Aja prevede al riguardo, all’art. 24, che «il riconoscimento di un’adozione può essere rifiutato da uno Stato contraente solo se tale adozione è manifestamente contraria all’ordine pubblico, tenuto conto dell’interesse del minore». È dunque nel concetto di ordine pubblico internazionale che risiede l’unica possibile ragione ostativa al riconoscimento dell’adozione estera.

Tale concetto è stato oggetto di importanti pronunce recenti, che i giudici fiorentini elencano con precisione. Nella giurisprudenza di merito si segnalano, ad esempio, le ordinanze delle Corti d’appello di Napoli (30 marzo 2016, concernente il riconoscimento di un’adoption plénière «incrociata» di diritto francese) e Milano (16 ottobre 2015, riguardante l’adozione della figlia della coniuge dello stesso sesso avvenuta in Spagna), che hanno considerato la genitorialità same-sex non contraria all’ordine pubblico internazionale. Ma è soprattutto con la sentenza della Cassazione n. 19599 del 30.9.2016 (leggibile qui) che la nozione, già oggetto di arresti precedenti ma sempre piuttosto sfumata nei suoi contorni, è stata definitivamente perimetrata lungo tre direttrici: il rispetto dei diritti fondamentali (che la Corte costituzionale definisce «il momento costituzionale come passaggio obbligato della tematica dell’ordine pubblico»: ord. 1.7.1983, n. 214), l’assenza di discrezionalità legislativa, l’interesse del bambino e il requisito della «manifesta» contrarietà. Il disegno che se ne trae è quello di un ordinamento aperto verso l’esterno, in ossequio agli artt. 10, 11 e 117 della Costituzione e alla filosofia sottostante alle nostre disposizioni di diritto internazionale privato, e tollerante nei confronti di istituti sconosciuti o regolati diversamente, dovendosi l’analisi dell’interprete concentrarsi, anziché sulla diversità in sé, sugli «effetti» prodotti da tali istituti in Italia (Cass. civ., sez. I, 18.4.2013, n. 9483, in Dir. & Giust., 19.4.2013, nota R. Tantalo).

  1. Diritti fondamentali. – Sotto il primo aspetto, i giudici fiorentini ribadiscono che per essere contraria all’ordine pubblico internazionale l’adozione estera deve contrastare «con le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, desumibili dalla Carta costituzionale dei Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonché dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo».
  1. Discrezionalità legislativa. – Per preservare l’ancoraggio costituzionale dell’ordine pubblico, secondo la citata pronuncia della Cassazione ove «non esista un vincolo costituzionale dal punto di vista dei contenuti, […] non si può opporre l’ordine pubblico». Si tratta di una tesi già espressa in passato dalla Corte costituzionale austriaca in tema di maternità surrogata (sent. 12.10.2012, casi B 99/12 e B 100/12). Il limite dell’ordine pubblico internazionale risulta dunque destinato a operare esclusivamente al di fuori delle materie nelle quali «è ampio il potere regolatorio e, quindi, lo spettro delle scelte possibili da parte del legislatore ordinario». La gestazione per altri e la procreazione medicalmente assistita non sono tra questi, sicché status personali creati all’estero in conseguenza dell’accesso a queste tecniche non sono sindacabili attraverso lo strumento dell’ordine pubblico internazionale. Lo stesso deve dirsi per l’adozione.
  1. L’interesse del bambino. – Qui la preoccupazione dei giudici fiorentini è evitare il prodursi di «situazioni claudicanti» che inciderebbero sui diritti fondamentali del bambino. Tali diritti sono anzitutto il diritto – definito «d’importanza primordiale» –all’identità personale, il quale comprende l’acquisizione della cittadinanza, i diritti ereditari e la libertà di circolazione nello spazio europeo. Si proietta qui l’ombra lunga delle sentenze della Corte EDU relative alla gestazione per altri all’estero (sent. 26.6.2014, ric. n. 65192/11 e 65941/11, Mennesson c. Francia e Labassee c. Francia, in Foro it., 2014, IV, 561, nota G. Casaburi, nonché 27.1.2015, ric. n. 25358, Paradiso e Campanelli c. Italia, § 71 ss., in Foro it., 2015, IV, 117, nota G. Casaburi, riformata dalla sent. 25.1.2017). Operano inoltre «il diritto fondamentale alla conservazione dello status legittimamente acquisito all’estero», il diritto a non essere discriminati a causa dell’orientamento sessuale dei genitori e, infine, il diritto alla continuità affettiva, che necessariamente implica il riconoscimento del legame con entrambi i genitori.
  1. Contrarietà «manifesta». – Da ultimo, l’esame a carico del giudice richiede nulla di più di una semplice analisi sommaria degli elementi caratteristici della fattispecie. Al riguardo si è ritenuta sufficiente la «ampia documentazione» prodotta dai ricorrenti sullo stato di salute dei bambini, «che vivono in una famiglia stabile, hanno relazioni parentali e amicali assolutamente positive, svolgono tutte le attività proprie di minori della loro età (scuola, sport, relazioni coi pari e coi familiari adulti e coetanei)». Insomma, concludono i giudici fiorentini, «si tratta di una vera e propria famiglia e di un rapporto di filiazione in piena regola che come tale va pienamente tutelato».

Si noti infine che l’effetto dell’adozione così riconosciuta è pienamente legittimante. Osservano i giudici al riguardo che «voler limitare gli effetti della sentenza di cui si chiede la trascrizione a quelli propri dell’adozione in casi speciali di cui all’art. 44 lett. d) è assolutamente contrario ai principi sopra esposti e non potrebbe […] sottrarsi […] a censure di costituzionalità». Il riferimento è alla tesi che vorrebbe gli effetti dell’adozione in casi particolari confinati a quanto previsto dall’art. 300, co. 2, cod. civ., per cui «l’adozione non induce alcun rapporto civile tra […] l’adottato e i parenti dell’adottante». Come osserva il Tribunale nel caso dell’adozione statunitense, la riforma della filiazione del 2012-2013 ha «ridimensiona[to] significativamente, laddove interpretata letteralmente, le differenze intercorrenti tra adozione ordinaria e adozione nei casi particolari. In base a questa impostazione, dunque, l’art. 54 L. 184/1983, che richiama il citato art. 300, co. 2, cod. civ., deve considerarsi implicitamente abrogato, non potendosi oggi più concepire uno stato di figlio “speciale” che non dia vita, a differenza degli altri figli, a un legame di piena parentela con la famiglia dell’adottante.

Tutto questo a conferma, qualora ve ne fosse ancora bisogno, che quella che i ricorrenti hanno creato all’estero è una vera e propria famiglia anche in Italia.

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