Un ‘dietro le quinte’ alla tragicommedia Melki: guerra o dialogo tra giudici?

Federico Fabbrini ha pazientemente offerto un resoconto in presa diretta della “guerre des juges franco-europea” su diritticomparati.it, narrando in quattro atti le gesta delle alte giurisdizioni francesi a seguito dell’entrata in vigore nel marzo scorso della c.d. “questione prioritaria di costituzionalità”. Al fine di arrichire il dibattito suscitato da questa vicenda, vorrei concentrarmi particolarmente sul ruolo svolto dalla Corte, offrendo ai lettori di diritticomparati.it qualche osservazione, ‘dietro le quinte”, a questa tragicommedia giurisdizionale multilivello.

 

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Antefatto

Ricordo che per effetto della recente riforma, la giustizia costituzionale francese, seppure confermandosi un sistema di controllo accentrato, integra al proprio modello di controllo preventivo una forma di controllo di costituzionalità a posteriori delle disposizioni legislative. Se è vero che i giudici ordinari e amministrativi francesi possono finalmente sollevare dinanzi al Conseil Constitutionnel questioni di legittimità costituzionale, questa facoltà è tuttavia riservata, in via diretta, soltanto alla Cour de Cassation e al Conseil d’Etat. Pertanto, i giudici di istanze inferiori debbono adire, in caso di dubbio d’incostituzionalità, le rispettive istanze superiori. Cio’ tuttavia che rende problematica tale riforma (ed è stato oggetto della sentenza Melki, vedi Atto I) è la priorità assoluta che viene riconosciuta al sindicato di constituzionalità rispetto al controllo di compatibilità comunitaria. Insomma, se la presunta illegittimità costituzionale di una disposizione di diritto interno risulta dalla sua incompatibilità, da un lato, con i diritti e le libertà garantiti dalla Costituzione, e, dall’altro, con le disposizioni del diritto dell’Unione, il giudice a quo è obbligato ad adire il Conseil constitutionnel a discapito della Corte di Giustizia.
L’introduzione di tale meccanismo, operando in barba al principio del primato del diritto dell’Unione sul diritto nazionale, sembra suscettibile di trovarsi in conflitto con la storica e consolidata giurisprudenza Rheinmulen I e Simmenthal, il cui obiettivo principale è assicurare un’applicazione uniforme del diritto dell’Unione. Qualsiasi studente di diritto europeo è in grado di pervenire a questa conclusione. Eppure, dopo trent’anni di onorata, sistematica e standardizzata applicazione della giurisrudenza sopracitata, un numero sempre maggiore di Stati membri pare intenzionato a limitare la possibilità per le proprie giurisdizioni di presentare una questione pregiudiziale, subordinando il suo impiego all’esperimento di procedure nazionali o a valutazioni giuridiche emananti da da un giudice di grado superiore. Si pensi soltanto alla recenti sentenze: Cartesio, Filipiak, Elchinov, Kükücdeveci, Mecanarte (la causa piu’ simile alla presente) e alla causa pendente Chartry (priorità del controllo di costituzionalità in caso di dubbio sulla conformità di una legge con diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione e con quelli riconosciuti dal diritto dell’Unione europea). Le ragioni dell’introduzione di tali forme di ‘sorveglianza” all’accesso che le proprie giurisdizioni possono avere al meccanismo pregiudiziale sembra potersi ricondurre alla progressiva ingerenza del diritto dell’Unione europeo in aree tradizionalmente soggette alla sovranità nazionale (diritto penale, diritto di famiglia, la fiscalità diretta, etc.). Da ultimo, – nella sentenza sul Trattato di Lisbona recentemente sfiorata da Filippo Fontanelli – le rivendicazioni nazionali della difesa dell’identità nazionale hanno condotto il Tribunale Costituzionale tedesco ad enumerare le materie sui cui si fonda tale identità e sui cui il processo d’integrazione europea non vanta diritti (paragrafo 249 della sentenza).

Questo è il contesto in cui la Corte di Giustizia si trova sempre piu’ spesso ad operare:  interprete del diritto dell’Unione europea ed al contempo arbitro della ripartizione di competenze tra l’Unione ed i suoi Stati membri. E’ noto che per svolgere queste sue mansioni la Corte dipende dal funzionamento di un meccanismo procedurale tanto originale quanto delicato quale il rinvio pregiudiziale. Un accesso scevro da ostacoli a tale meccanismo di raccordo tra corti è una conditio sine qua non per garantire il controllo accentrato di compatibilità comunitaria, deux ex machina dell’applicazione coerente del diritto dell’Unione.

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Il ‘dietro le quinte’

The fastest judgment ever. Innanzitutto, la causa Melki, essendo stata istruita e portata a sentenza in poco piu’ di due mesi in virtu’ di un procedimento accellerato, merita di essere celebrata como una delle sentenze piu’ rapide nella storia della Corte di giustizia. Si noti che neppure il procedimento pregiudiziale d’urgenza, introdotto per il trattamento di questioni rientranti nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, garantisce al giudice a quo una risposta cosi’ celere (la durata minima prevista dal Regolamento di procedura è di due mesi e mezzo). La scelta operata dal Presidente della Corte di accordare a tale causa un trattamento accellerato, per consentire alla Cour de Cassation di rispettare il termine (di tre mesi) di cui dispone per decidere circa l’oportunità di adire il Conseil Constitutionnel, è, a nostro avviso, una manifestazione evidente della volontà della Corte di partecipare attivamente al dialogo instauratosi tra istanze nazionali. Un segnale ancora piu’ evidente di tale volontà si desume dalla lettura della sentenza della Corte. In primo luogo, si osservi che la Corte, a differenza dell’Avvocato generale, abbia scelto di prendere in considerazione la pronuncia intervenuta nel frattempo da parte del Conseil Constitutionnel e, in secondo luogo, come essa non esiti a far propria l’interepretazione ivi proposta (atto II). Seppure non sorprenda che la Corte abbia censurato una legislazione che introduce una procedura incidentale di controllo di costituzionalità nella misura in cui il carattere prioritario di tale procedura ha l’effetto di impedire al giudice nazionale di assicurare l’efficacia del diritto dell’Unione, la Corte ha, perlomeno astrattamente, accettato (paragrafo 57 ) che un ordine giuridico nazionale possa subordinare il rinvio pregiudiziale all’esperimento di una questione di costituzionalità (atto III).  Seppure le condizioni stabilite dalla Corte non siano state considerate soddisfatte dalla Corte di Cassazione (Atto IV), la pronuncia della Corte deve chiaramente essere letta come una ‘mano tesa’ volta a contemperare, in virtu’ di una interpretazione conforme del diritto nazionale a quello dell’unione, le esigenze del Conseil Constitutionnel con quelle dell’efficacia del diritto dell’Unione. Si è chiaramente trattato di una generosa offerta di dialogo e cooperazione tra giudici. Tuttavia, per definizione,  affinchè un dialogo si instauri e possa prosperare occorre essere in due. Contrariamente a quanto ci si aspettava al Kirchberg, la Cour de Cassation, forse vittima della propria insularità, non è stata al gioco. Sipario.