Cittadinanza europea e Immigrazione: implicazioni e nuovi diritti

Secondo l’articolo 9 TUE, così come riformulato dal Trattato di Lisbona «è cittadino dell'Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell'Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce». Queste poche parole, pregne (in realtà) di numerosi significati intrinsechi, hanno dato nuova linfa ad un istituto che trova le sue radici più profonde nel Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992. Oggi, i diritti derivanti dalla Cittadinanza dell’Unione hanno raggiunto un grado di fruibilità e concretezza straordinaria, che superano di gran lunga la libera circolazione (si pensi, tra i tanti, alla protezione diplomatica o al diritto di elettorato attivo e passivo).

Eppure, forse pochi sanno che le attenzioni della Corte di Giustizia dell’Unione europea (d’ora in poi CGUE) rispetto ai temi della Cittadinanza riguardano solo in minima parte i singoli cittadini degli Stati membri. In effetti, i richiedenti più assidui e, quindi, soggetti delle ultime pronunce su rinvio pregiudiziale, sono cittadini stranieri provenienti da Stati terzi. Il contesto multiculturale (e multi-ordinamentale) di cui si compone lo spazio europeo, ha dato adito a nuove prassi giuridiche e a comportamenti che toccano la sfera più intima della sovranità statale: l’ingresso e la permanenza nel territorio nazionale. Cercheremo, quindi, di rispondere, in primis, a questo importante quesito: che relazione intercorre tra la Cittadinanza europea e il controverso settore dell’immigrazione?

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