Tra innovazione e tradizione: l’elezione della prima donna Premier in Giappone

Il 21 ottobre 2025 Sanae Takaichi, leader del Partito Liberal Democratico (PLD), è stata eletta Prima ministra del Giappone, diventando la prima donna nella storia del Paese a ricoprire tale carica.
L’evento ha avuto una forte risonanza sia a livello interno che internazionale, in quanto il Giappone si colloca tra i Paesi con i livelli più bassi di uguaglianza di genere. Difatti, nel Global Gender Gap Report del 2025, il Paese del Sol Levante si è classificato al 118° posto su 148 Paesi, una posizione che riflette una persistente sottorappresentanza femminile, in particolare nella vita politica. Difatti, nonostante un numero record di 73 donne elette alle elezioni della Camera dei rappresentanti del 2024, la loro presenza costituisce appena il 15,7% dei componenti totali, evidenziando come la parità di genere resti un traguardo ancora distante.
L’elezione di Takaichi rappresenta pertanto uno snodo storico che si presta a diverse interpretazioni: da un lato, l’apertura di uno spazio inedito per la ridefinizione del ruolo delle donne nella politica nipponica; dall’altro, la possibilità che la sua ascesa non si traduca in un effettivo ampliamento dei diritti femminili. Per comprendere appieno il significato di questa elezione, è opportuno ripercorrere brevemente la cornice costituzionale del sistema politico giapponese e il contesto politico in cui è maturata l’ascesa di Takaichi, caratterizzato da una profonda crisi di legittimazione del governo guidato da Shigeru Ishiba.
Il Giappone è una monarchia costituzionale di tipo parlamentare, nella quale il potere legislativo è attribuito dalla Dieta nazionale, organo bicamerale composto dalla Camera dei rappresentanti (bassa) e dalla Camera dei consiglieri (alta). Il potere esecutivo è invece esercitato dal Gabinetto, formato dal Primo ministro (Prima ministra) e dagli altri/e ministri/e. Il rapporto fiduciario sussiste esclusivamente con la Camera dei rappresentanti, che può costringere il governo alle dimissioni attraverso una mozione di sfiducia.
Il/la Premier, eletto/a dalla Dieta tra i suoi membri, esercita funzioni centrali: nomina e revoca i ministri; vigila sull’amministrazione pubblica; controfirma tutte le leggi e i decreti del Gabinetto; autorizza eventuali azioni giudiziarie contro i ministri. Tradizionalmente, la carica è ricoperta dal leader del partito di maggioranza nella Camera bassa, posizione che, nella storia politica giapponese del dopoguerra, è quasi sempre coincisa con quella di leader del PLD. Infatti, quest’ultimo ha sempre mantenuto la guida del governo fin dalla sua costituzione nel 1955, ad eccezione di due brevi parentesi, tra il 1993 e il 1994 e tra il 2009 e il 2012, caratterizzando la politica nipponica come sistema a partito egemone. Negli ultimi anni, tuttavia, tale equilibrio è stato incrinato da una crescente instabilità politica: il governo di Ishiba, in carica per meno di un anno, ne rappresenta un esempio emblematico. Divenuto Primo ministro nel settembre 2024, Ishiba aveva deciso di convocare elezioni anticipate per la Camera bassa, nel tentativo di consolidare la propria legittimazione politica e rafforzare la posizione del PLD. Il risultato, tuttavia, ha rappresentato una sconfitta storica: il PLD e il suo alleato Komeito hanno perso la maggioranza per la prima volta dal 2009, costringendo Ishiba a guidare un governo di minoranza che ha incontrato crescenti difficoltà nell’approvazione di leggi. A tali fragilità si sono aggiunti una grave crisi economica, segnata dall’aumento del costo della vita e dal raddoppio del prezzo del riso, una serie di scandali politici e critiche per la scarsa presenza femminile nel gabinetto, composto da sole due ministre. Le elezioni per la Camera dei consiglieri del 20 luglio 2025 hanno confermato il declino del governo Ishiba: la coalizione PLD–Komeito ha perduto la maggioranza anche nella Camera alta. L’esito del voto ha inoltre sancito la significativa ascesa del partito populista di destra Sanseitō, il cui discorso nazionalista e anti-immigrazione ha intercettato parte dell’elettorato conservatore. Di fronte a queste sconfitte, Ishiba ha annunciato le proprie dimissioni da presidente del PLD nel settembre 2025, aprendo la strada a un nuovo processo di selezione interna. Tale procedura è disciplinata dal regolamento del partito, il quale attribuisce il diritto di elettorato passivo ai membri della Dieta appartenenti al PLD, candidati su proposta di almeno 20 parlamentari del partito. Il diritto di elettorato attivo spetta invece a tutti i componenti del Parlamento appartenenti al PLD, nonché ai cittadini giapponesi maggiorenni iscritti al partito che abbiano versato le quote associative negli ultimi due anni, i cui voti sono gestiti e conteggiati a livello prefetturale. Qualora nessun candidato ottenga la maggioranza assoluta al primo turno, si procede a un ballottaggio tra i due candidati più votati. È in siffatto contesto che Sanae Takaichi, già titolare di diversi incarichi ministeriali nei governi di Abe, è riuscita a divenire la figura di riferimento per la politica nipponica. Tra i 5 candidati in corsa per la presidenza del partito, ella rappresentava la posizione più a destra, basando larga parte della sua campagna elettorale su politiche restrittive in materia migratoria, probabilmente nel tentativo di intercettare gli elettori del Sanseitō. La sua elezione alla guida del PLD, avvenuta il 4 ottobre 2025 e maturata dopo i precedenti tentativi nel 2021 e 2024, è stata resa possibile dalla sua capacità di capitalizzare il malcontento del partito verso la leadership di Ishiba. Proponendosi come sorta di Iron Lady nipponica, apertamente ispirata alla figura di Margaret Thatcher, Takaichi mostra una continuità ideologica con diverse politiche di Abe, in particolare con la proposta di revisione dell’art. 9 della Costituzione e con il programma di rafforzamento militare.
La successiva elezione di Takaichi come Prima ministra da parte della Dieta nazionale, avvenuta il 21 ottobre 2025, ha evidenziato la sua capacità di costruire consenso in un contesto parlamentare profondamente frammentato, caratterizzato altresì dall’incapacità dell’opposizione di formulare un’alternativa governativa credibile. Un ruolo decisivo è stato svolto dall’accordo di coalizione raggiunto all’ultimo momento con il Japan Innovation Party (Ishin no Kai), che ha sostituito il Komeito come nuovo partner di governo. La rottura con il Komeito, che ha posto fine a una collaborazione durata ventisei anni, è dipesa dalla diffidenza verso la leadership di Takaichi, la cui reputazione di esponente ultraconservatrice all’interno del partito aveva suscitato preoccupazioni. In questo scenario, pertanto, l’intesa con l’Ishin no Kai, partito nato ad Osaka con l’obiettivo principale di aumentare l’autonomia regionale e promotore di politiche più conservatrici rispetto al Komeito, ha garantito l’elezione di Takaichi.
Se sul piano simbolico la sua elezione costituisce una cesura rispetto al passato, la composizione del suo gabinetto ha tuttavia deluso le aspettative in materia di parità di genere. Dei diciannove membri del governo, solo due sono donne – Satsuki Katayama, ministra delle finanze, e Kimi Onoda, ministra per la sicurezza economica – a cui si aggiunge Takaichi stessa. Tale dato risulta particolarmente significativo se si considera che Takaichi, durante la campagna per la leadership del PLD, aveva promesso di raggiungere livelli di rappresentanza femminile pari a quelli di Islanda, Finlandia e Norvegia.
Le ragioni di questa discrepanza tra le promesse elettorali e la realtà di governo sono molteplici. Da un lato, Takaichi ha dovuto tenere conto delle complesse dinamiche interne del PLD, un partito storicamente strutturato in un sistema di fazioni che impone un costante bilanciamento nella distribuzione delle cariche ministeriali (in maniera sostanzialmente non dissimile da quanto avveniva con la Democrazia Cristiana, partito egemone in Italia tra il 1948 e i primi anni ’90 dello scorso secolo). L’obiettivo prioritario della nuova premier è stato quello di consolidare la sua leadership, includendo nel governo rappresentanti delle principali correnti e anche alcuni dei suoi ex rivali al fine di garantire l’unità del partito dopo mesi di turbolenza politica. Dall’altro lato, la scarsa rappresentanza femminile all’interno del PLD ha inevitabilmente limitato le opzioni disponibili per la composizione di un esecutivo più equilibrato dal punto di vista di genere.
Eppure, la spiegazione più profonda risiede probabilmente nell’orientamento ideologico della stessa Takaichi. Quest’ultima si è sempre opposta a riforme progressiste in materia di eguaglianza di genere. In particolare, si è dichiarata contraria alla revisione della legge che impone alle coppie sposate di adottare lo stesso cognome, sostenendo che la distinzione tra i cognomi minerebbe la coesione familiare e i valori tradizionali giapponesi. Allo stesso modo, la premier si è opposta al riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso, pur dichiarando di non approvare la discriminazione nei confronti della comunità LGBTQ+. Queste posizioni assumono rilievo significativo alla luce dei diversi contenziosi costituzionali pendenti su queste tematiche. Takaichi ha inoltre manifestato l’intenzione di mantenere la linea di successione maschile per la famiglia imperiale, ritenendo che l’ammissione delle donne comprometterebbe la tradizione e la continuità dinastica. Si rileva inoltre che la Premier ha rifiutato esplicitamente qualsiasi misura di azione positiva, affermando di non voler nominare donne “solo perché donne”. Particolarmente controverse sono state anche le sue affermazioni riguardo alla necessità di eliminare il concetto di equilibrio tra lavoro e vita privata, interpretate da molti osservatori come una giustificazione implicita della persistenza di modelli professionali che limitano la partecipazione delle donne alla vita pubblica, rafforzando la convinzione secondo cui esse debbano scegliere tra carriera e maternità.
Nonostante il suo orientamento conservatore, Takaichi ha espresso sostegno per alcune misure specifiche a favore delle donne, quali l’espansione dell’accesso all’assistenza sanitaria femminile e la deducibilità parziale delle spese per le babysitter. Ha inoltre proposto incentivi fiscali per le aziende che offrono servizi di assistenza all’infanzia interni. Siffatte iniziative, nondimeno, appaiono frammentarie e marginali.
Da quanto emerso, l’ascesa di Takaichi sembrerebbe configurarsi come un esempio di ciò che Rosalind Dixon definisce “femminismo abusivo”: l’uso della retorica della parità di genere e della rappresentanza femminile per legittimare agende politiche che, in realtà, perpetuano le disuguaglianze. Nel caso di Takaichi, la distanza tra forma e sostanza appare evidente: sebbene la sua elezione abbia infranto il soffitto di cristallo, le sue idee politiche e la composizione del gabinetto riflettono una visione tradizionale dei ruoli di genere. Tuttavia, la sua alleanza di governo con il Japan Innovation Party, formazione più aperta su alcuni temi come i matrimoni tra persone dello stesso sesso, e la situazione comunque di governo di minoranza introducono una potenziale area di contraddizione e di negoziazione. In conclusione, sebbene la storia politica nipponica ricorderà Sanae Takaichi come la prima donna a ricoprire la carica di Premier, l’effettivo impatto delle sue politiche in materia di eguaglianza di genere dipenderà dalla sua capacità, ancora tutta da dimostrare, di convertire il valore simbolico della sua elezione in un cambiamento sostanziale.