Un altro tassello nel mosaico autoritario tunisino: il rapporto con la Corte Africana dei diritti dell’Uomo e dei Popoli
1. Per quanti si interessino di Tunisia, particolarmente nel prisma del diritto costituzionale, gli ultimi dieci anni sono stati caratterizzati da stravolgimenti di forte impatto.
Nell’ambito delle cd. primavere arabe, a prevalere era stata la speranza generata dal successo della “rivoluzione dei gelsomini”, che aveva innescato in Tunisia una transizione reale dal regime autoritario guidato da Ben Ali a uno democratico, cristallizzato nell’apprezzata Costituzione del 2014. Certamente, seppur provvista di garanzie democratiche e strumenti di tutela dei diritti, questa non era riuscita da sola a imprimere il cambiamento necessario nel Paese, segnato da un sistema politico instabile e frammentato, nonché da un profondo malessere sociale ed economico. E tuttavia, il collasso di stampo autoritario a cui si sta assistendo oggigiorno era forse difficile da prevedere, quantomeno in termini di intensità, modalità e rapidità.
Facendo leva sulla profonda crisi istituzionale nella quale versava il Paese, Kaïs Saïed, eletto Presidente della Repubblica tunisina per la prima volta nel settembre 2019, ha avviato – e velocemente portato avanti – un percorso di smantellamento delle conquiste democratiche post-transizione, attuando una serie di misure tutte volte alla concentrazione dei poteri e alla neutralizzazione dei meccanismi di garanzia. Così, la nuova Costituzione del 2022 segna una rottura netta col testo emanato soli otto anni prima, disegnando un sistema iper-presidenziale, caratterizzato da un giudiziario sempre meno indipendente, dalla perdurante assenza di un giudice costituzionale e, specularmente, da una progressiva e preoccupante restrizione dei diritti e delle libertà fondamentali sempre più difficile da arginare. Con la complicità di un’Istanza Superiore Indipendente per le Elezioni (ISIE) ormai pienamente fedele all’esecutivo, Saïed è stato riconfermato come Capo di Stato alle presidenziali dell’ottobre 2024, in un’elezione – segnata dall’affluenza ai minimi storici (28% degli aventi diritto) – il cui risultato era già noto, considerata l’esclusione di molti candidati decisa dall’ISIE e l’arresto di uno dei due soli oppositori ammessi nella lista per la corsa elettorale, avvenuto il giorno stesso della pubblicazione di quest’ultima. Proseguono nel frattempo gli arresti di oppositori politici, giornalisti, attivisti e avvocati, nel solco della morsa repressiva che contraddistingue oramai il “populismo autoritario” di Kaïs Saïed.
2. Nel mosaico dell’involuzione democratica tunisina, in cui ogni tassello contribuisce a formare l’immagine complessiva di un Paese sempre più autoritario e distante da quanto ci si sarebbe potuti aspettare (o, perlomeno, sperare), ve ne è uno incastrato assai di recente, che merita attenzione. È un pezzetto importante del quadro, che pure ha il merito di saper restituire perfettamente l’idea della parabola discendente che il Paese sta percorrendo a ritmo sostenuto.
Nei primi giorni del marzo 2025, la Tunisia ha notificato all’Unione Africana (UA) la sua decisione di revocare la dichiarazione prevista agli artt. 5, c. 3 e 34, c. 6, del Protocollo alla Carta Africana dei diritti dell’Uomo e dei Popoli di creazione di una Corte Africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popoli, ideata per «permettere ai singoli, così come alle organizzazioni non governative (ONG) dotate di statuto di osservatrici presso la Commissione, di introdurre questioni direttamente» dinanzi al giudice regionale. La Tunisia aveva deciso di garantire una tale possibilità di accesso diretto alla Corte di Arusha nella prima metà del 2017, rientrando tra i soli dodici Stati che si sono nel tempo attivati in tal senso. Oggi, è l’ultimo Paese ad aver fatto un passo indietro, dopo Ruanda (2016), Tanzania (2019), Benin e Costa d’Avorio (entrambi nel 2020); permane la via d’accesso diretta in Burkina Faso, Gambia, Ghana, Guinea Bissau, Malawi, Mali e Niger.
La possibilità prevista per cittadini tunisini e ONG di sottomettere alla Corte Africana una lamentata violazione della Carta Africana, dei relativi Protocolli e – si noti bene – di ogni altro strumento in materia di diritti umani ratificato dallo Stato chiamato in causa (art. 3, c.1 del Protocollo), dimostra senz’altro l’impegno allora assunto dalla Tunisia per una tutela concreta ed effettiva dei diritti e della democrazia all’interno dei suoi confini. Da parte sua, il giudice di Arusha non ha mancato negli anni recenti di rispondere alle richieste di aiuto provenienti da chi, nel Paese, ha tentato – e sta tentando – di frenare la deriva illiberale imposta dal Presidente, proprio utilizzando la via dell’accesso diretto alla Corte africana.
3. Nell’ottobre 2021, l’avvocato Ibrahim Ben Mohamed Ben Ibrahim Belghuith ha contestato dinanzi ai giudici regionali una serie di decreti presidenziali emanati da Saïed nel 2021 sulla base dello “stato d’eccezione” proclamato nel luglio 2021. La Corte africana, nel settembre 2022, ha reso una decisione di ferma condanna dell’operato dell’esecutivo tunisino, intimando l’abrogazione dei decreti e il ripristino della democrazia costituzionale, con dei passaggi rilevanti sull’importanza di implementare una Corte costituzionale, nonché di garantire il diritto dei cittadini a partecipare agli affari pubblici.
Nonostante il carattere giuridicamente vincolante della decisione – a cui va però affiancata l’assenza di meccanismi di esecuzione delle sentenze – non è stato dato alcun seguito alla decisione da parte dello Stato tunisino.
Nessuna sorpresa.
In una direzione simile va la decisione del novembre 2024, nella quale la Corte di Arusha ha utilizzato il caso promosso nell’aprile 2021 dalla cittadina tunisina Samia Zorgati per ribadire la necessità di istituire un giudice costituzionale, ritenendo altresì illegittimo il decreto presidenziale n. 11/2022 di abolizione del Consiglio Superiore della Magistratura, accusato dal Capo di Stato di corruzione e mancanza di imparzialità e sostituito con un suo omologo provvisorio (dissoluzione poi cristallizzata nella Costituzione del 2022, che prevede al suo posto tre Consigli Superiori settoriali).
Anche qui, nessuna conseguenza. L’indipendenza della magistratura è oramai compromessa, anche a causa della facoltà attribuita dal decreto n. 35/2022 al Presidente di revocare dall’incarico qualsiasi giudice il cui comportamento abbia pregiudicato la reputazione del potere giudiziario, la sua indipendenza e il suo funzionamento (art. 1). Facoltà già ampiamente utilizzata da Saïed.
Ancora, nel maggio 2023, i familiari di quattro esponenti dell’opposizione tunisina arrestati sulla base di vari capi di imputazione (tra cui terrorismo, spionaggio, complotto contro la sicurezza dello Stato e diffusione di fake news) hanno presentato ricorso alla Corte africana per lamentare numerose violazioni dei diritti umani che avrebbero subito i soggetti durante il periodo detentivo, nonché il mancato rispetto del principio del giusto processo e la carente indipendenza del potere giudiziario. In attesa di una sentenza di merito, i giudici di Arusha hanno emesso delle misure provvisorie volte a ordinare l’accesso al personale medico e legale richiesto dai soggetti detenuti, nonché a più precise informazioni circa i motivi che giustificano le misure privative della libertà personale.
4. Evidentemente, la decisione della Tunisia di interrompere l’accesso diretto alla Corte africana per i cittadini e le ONG è perfettamente coerente con la regressione in termini di democrazia e tutela dei diritti che il Paese sta vivendo. Costituisce un tassello che si incastra alla perfezione con tutti gli altri posti da Kaïs Saïed allo scopo di concentrare i poteri nelle sue mani, neutralizzando il più possibile strumenti e istituzioni potenzialmente in grado di arginare una tale deriva. Seppur vero che non viene negata la giurisdizione della Corte di Arusha, rimanendo possibile un accesso indiretto tramite la Commissione, è noto come questa via si sia dimostrata poco efficace nel corso degli anni.
È l’accesso diretto a rappresentare il fulcro del ruolo di garanzia che la Corte africana riveste sin dalla prima pronuncia sul merito, nel 2013, nel solco di un certo attivismo che sovente si è scontrato con la reticenza degli Stati membri nell’esecuzione delle sue decisioni, come dimostra la Tunisia. Nei contesti di democratic backsliding, la Corte di Arusha è sovente guardata dagli esponenti delle opposizioni, dagli attivisti e dai cittadini come foro privilegiato (anche in ragione della diffusa “lealtà” delle istituzioni nazionali) nel quale sfidare le decisioni illegittime delle maggioranze in carica e le torsioni operate sul circuito della rappresentanza. Si comprende così l’interesse – tunisino ma non solo – a rendere meno agevole possibile il percorso verso di essa.
Nel frattempo, per quanto concerne la Tunisia, vi sono ancora numerosi casi pendenti che la Corte Africana è chiamata a risolvere, mantenendo indubbiamente la sua giurisdizione su tutte le questioni introdotte prima della dichiarazione del marzo 2025. Invero, è ragionevole aspettarsi finanche un incremento del contenzioso nei prossimi mesi, considerato che il recesso dall’accesso diretto avrà effetto dopo un anno dalla comunicazione dello Stato, e dunque a partire dal marzo 2026.
Non resta che aspettare, allora, per capire come questo lasso temporale verrà utilizzato, sia dalla Corte che dai cittadini tunisini, alla ricerca di quello slancio che, nell’ormai lontano 2010, ha acceso la speranza democratica nel Paese.