In attesa dell’italia, alcune riflessioni dopo l’entrata in funzione del Protocollo Addizionale n. 16 nell’ordinamento francese

Con la ratifica del Ministro della giustizia francese, Nicole Belloubet, si è perfezionata, lo scorso agosto, l’entrata in vigore del Protocollo n. 16 addizionale alla Convenzione Edu.
A distanza di pochi mesi, sempre in Francia, è stata la Cour de cassation a farne una prima applicazione con l’Arrêt n. 638 del 5 ottobre 2018, sottoponendo alla Corte di Strasburgo una duplice richiesta di “parere preventivo”. In particolare, nell’ambito di una controversia concernente la legittimità di un atto di nascita derivante da maternità surrogata (per un primo commento sulla vicenda, A.M. Lecis, in questa rivista), i giudici francesi ponevano all’attenzione della Corte Edu le seguenti questioni:
1) Rifiutare la trascrizione nei registri dello stato civile il certificato di nascita di un bambino nato all'estero al termine di una maternità surrogata gestazionale in quanto designa come sua “madre legale” la “madre intenzionale”, ammettendo invece quella dell'atto in cui designa il “padre intenzionale”, padre biologico del bambino, uno Stato parte supera il margine di apprezzamento a sua disposizione ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali? A questo proposito, è necessario distinguere tra se il bambino è concepito o meno con i gameti della “madre intenzionale”?
2) In caso di risposta affermativa a una delle due domande precedenti, la possibilità per la cd. madre intenzionale di adottare il figlio del coniuge, padre biologico, soddisfa i requisiti dell'articolo 8 della Convenzione?
La materia oggetto del contendere transalpino richiama alla mente la questione già esaminata dalla Grande Camera il 24 gennaio 2017 nei confronti dell’Italia, ove con la sentenza Paradiso e Campanelli i giudici di Strasburgo hanno escluso la violazione dell’art. 8 Cedu, da parte dello Stato italiano, in un caso concernente un minore nato da una madre surrogata in Russia e sottratto ai genitori a causa dell’inesistenza di un legame biologico con i coniugi.
Nella vicenda citata, come noto, i ricorrenti si vedevano negata la registrazione italiana dell’atto di nascita del figlio ottenuto mediante maternità surrogata in Russia, ove tale pratica era consentita; il documento attestante la nascita del bambino, non menzionando il ricorso alla surrogazione di maternità, determinava altresì un'accusa penale per false dichiarazioni nello stato civile nei confronti degli stessi genitori. La Corte d'Appello competente confermava il rifiuto di registrazione del certificato di nascita russo, sulla base della contrarietà della registrazione rispetto all'ordine pubblico, contenendo il certificato informazioni non corrispondenti a verità, ossia non essendovi alcuna relazione biologica tra il bambino e i ricorrenti. I genitori ricorrevano così alla Corte di Strasburgo che, nel valutare l'allontanamento del minore dai genitori, disposto dai giudici italiani, ravvisava una violazione dell'art. 8 Cedu, sub specie del diritto del minore al riconoscimento della propria identità, il quale veniva compromesso, con conseguenze rilevanti sia per quanto concerne la cittadinanza che per il diritto al nome, aspetti questi di fondamentale importanza per la formazione dell'identità di un individuo.
Tale pronuncia si colloca, dunque, in quel percorso giurisprudenziale che tende a considerare la creazione di qualsiasi tipo di legame familiare sempre e soltanto coerentemente al principio del “superiore interesse del minore”, il quale si è ormai imposto sul diverso e vetusto criterio della contrarietà all'ordine pubblico.
Occorre ora da attendere di verificare cosa accadrà una volta che la richiesta del duplice quesito sottoposto dai giudici francesi sarà arrivata alla Corte Edu, in considerazione della possibilità, da parte di un panel di cinque giudici della Grande Chambre, di accettare o meno la richiesta del parere consultivo. L’impatto che determinerà il parere della Corte di Strasburgo, in materie sensibili come quelle connesse con la maternità surrogata, è ancora lontano dall’essere perimetrato, ma ciò che è certo, in attesa di nuove richieste azionate dagli altri Stati firmatari, può essere individuato nella considerazione che una diffusa prassi del parere consultivo di cui al Protocollo addizionale n. 16 Cedu possa realmente rappresentare una svolta nell’obiettivo comune di allineare l’interpretazione (e anche l’implementazione) della Cedu nei vari Stati contraenti secondo i principi di sussidiarietà e di «shared responsibility» – per utilizzare la formula adottata nell’ambito della Dichiarazione di Izmir del 27 aprile 2011 – lasciando alla stessa Corte il compito di «supervisore» sull’interpretazione della Convenzione da parte dei giudizi nazionali.
La “messa in funzione” del Protocollo n. 16 costituisce, infatti, una svolta epocale nel rapporto (o “dialogo”) tra Corti nazionali e sovranazionali – non a caso ribattezzato dall’ex Presidente Dean Spielmann come «Protocollo del dialogo» – in quanto similmente a quanto accade a livello unionale, sarà possibile per le più alte giurisdizioni nazionali rivolgersi direttamente alla Corte di Strasburgo per sottoporre a quest’ultima alcuni quesiti in merito alla corretta interpretazione o applicazioni della Cedu, senza così dover attendere le lungaggini di un vero e proprio processo dinanzi alla Corte europea, sottoposto al principio del previo esaurimento dei ricorsi interni (previsto all’art. 35 della Cedu).
Con la sua entrata in vigore, dunque, il panorama europeo vedrà l’operatività di due meccanismi pregiudiziali, di cui uno più “âgé” ed esperto (quello attivabile dinanzi alla Corte di Giustizia dell'Unione), e l’altro “d’âge tendre”, esperibile a livello convenzionale.
Non vi è, tuttavia, una perfetta sovrapposizione dovuta non solo al diverso ambito di applicazione bensì per la diversa portata del parere espresso dalla Corte Edu. L’articolo 5 del Protocollo prevede, infatti, che «i pareri consultivi non sono vincolanti», con ciò intendendosi che essi non siano vincolanti né nei confronti del richiedente il parere, né nei confronti degli altri giudici nazionali.
La prassi chiarirà peraltro sia la portata concreta dell’assenza del vincolo quanto l’efficacia del nuovo istituto, il quale, al contempo, potrà evitare (o almeno tentare di limitare) i rischi di plurime condanne nei confronti dello Stato (non solo italiano) per violazione delle disposizioni contenute nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
È ben comprensibile, dunque, l’auspicio affinché l’iter legislativo nazionale possa giungere presto a un punto di svolta, sebbene l’attuale panorama politico appaia lontano da rassicurazioni in termini di celerità sul punto. Si precisa, infatti, che il testo di legge n. 2921 sulla ratifica del Protocollo addizionale 16 alla Cedu è fermo da circa un anno nelle aule di Commissione del Senato. Unitamente a ciò, deve aggiungersi poi il rilievo che lo stesso disegno di legge ha rimesso alla sola Corte costituzionale la scelta in ordine alla possibilità di divenire soggetto legittimato a proporre il rinvio oggetto del Protocollo n. 16. (“La Corte costituzionale può provvedere con proprio regolamento sull’applicazione del Protocollo di cui al comma 1 del presente articolo, in conformità  agli articoli 14, primo comma, e 22, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87”): anche tale passaggio risulterà cruciale ai fini sopradescritti, specie se guardato nell’ottica di piena concretizzazione della c.d. “interpretazione convenzionalmente orientata” attraverso i suggerimenti ( si rammenta “non vincolanti”) che la Corte di Strasburgo di volta in volta fornirà ai giudici nazionali (e costituzionali).