Le minoranze in Ucraina: processo di State-building e tutela dei gruppi minoritari

Il processo di State-building in Ucraina ha dovuto sin dalla fine degli anni ’80 “fare i conti” con la presenza di diverse nazionalità entro i suoi confini dovuta alla precedente appartenenza dei territori ivi ricompresi a distinti ordinamenti (Regno di Polonia, Granducato di Lituania, Confederazione Polacco-Lituana, Impero Austro-Ungarico, Impero Russo e Unione Sovietica). Tali diverse appartenenze non sono peraltro solo all’origine dell’attuale polifonia etnica dell’Ucraina (130 tra nazionalità e gruppi etnici) ma altresì della circolazione e della rielaborazione di modelli differenti di tutela nei confronti dei gruppi minoritari presenti al suo interno. Ad esempio sotto l’influenza della circolazione delle idee di Karl Renner ed Otto Bauer il 9 (22) gennaio 1918 la Rada dell’Ucraina approvò una legge «Sull’autonomia personale nazionale» secondo la quale i cittadini della Repubblica popolare ucraina – che dichiaravano di appartenere ad una determinata nazione ed iscritti in apposito registro – potevano creare delle «unioni personali nazionali» le cui decisioni  erano indirizzate a tutti gli associati «indipendentemente dal luogo della Repubblica popolare dell’Ucraina in cui si trovavano». Tale modello venne subito abbandonato in seguito alla presa del potere da parte dei bolscevichi e alla formazione della Repubblica socialista sovietica d’Ucraina (RSSU). La prima Costituzione socialista dell’Ucraina del 1919, infatti da un lato ricusava il principio dell’autonomia nazionale su base personale mentre, dall’altro, introduceva i termini di «minoranze nazionali» vietando qualsiasi tipo di oppressione delle stesse. Successivamente alla formazione dell’URSS la Costituzione della RSSU del 1929, accanto al divieto di oppressione nei confronti delle minoranze nazionali, introduceva la possibilità di creare delle «unità amministrative territoriali nazionali» per «assicurare nel miglior modo gli interessi delle minoranze nazionali che costituiscono la maggioranza compatta delle persone in una o altra località…».Viceversa dalla Costituzione “staliniana” della RSSU del 1937 venne eliminato ogni riferimento alle minoranze nazionali, alle «unità amministrativo-nazionali» e all’inclusione nella RSSU della repubblica socialista sovietica autonoma della Moldova (in quanto intanto entrata a far parte direttamente dell’URSS come Repubblica socialista sovietica). Tale approccio cominciò a mutare sensibilmente in seguito all’avvio delle riforme gorbacioviane e, ancor di più, verso l’inizio degli anni ’90 con l’approvazione della «Dichiarazione sulla sovranità statale dell’Ucraina». Questa – lasciandosi contemporaneamente ispirare dall’esperienza presovietica e da quella sovietica di fine anni Venti – reintroduceva infatti sia il «diritto di tutte le nazionalità, che risiedono sul territorio della Repubblica, al libero sviluppo culturale nazionale» sia la possibilità di creare delle «unità amministrative nazionali». Alla reintroduzione di questi diritti corrispondeva però il primo riconoscimento ufficiale del ruolo determinate della nazione ucraina nella edificazione statale laddove la stessa Dichiarazione affermava che «La RSSU in quanto Stato sovrano nazionale si sviluppa entro i confini esistenti» sulla base «dell’esercizio da parte della nazione ucraina del suo diritto inalienabile all’autodeterminazione». Con la nuova Costituzione dell’Ucraina (UC) del 28 giugno 1996 si è cercato di superare l’impostazione per cui il diritto all’autodeterminazione spetta esclusivamente alla «nazione ucraina» accostando a quest’ultima, a seguito di un lungo dibattito, il «popolo ucraino». Quale soluzione di compromesso nel suo Preambolo si giunge infatti a dichiarare che la Rada dell’Ucraina «in nome del popolo ucraino – cittadini di tutte le nazionalità» adotta la presente Costituzione «basandosi…sulla storia plurisecolare della costruzione della struttura statale e sul diritto all’autodeterminazione esercitato dalla nazione ucraina, dal popolo ucraino». Nella restante parte della Costituzione si ragiona invece soprattutto in termini di relazione tra maggioranza/minoranza – nazione/minoranze nazionali così come si evince chiaramente dall’art. 11. In questo infatti si afferma che lo Stato deve contribuire «al consolidamento e allo sviluppo della nazione ucraina, della sua coscienza storica, delle sue tradizioni e della sua cultura» come pure «allo sviluppo dell’identità culturale, linguistica e religiosa di tutti i popoli indigeni e delle minoranze nazionali dell’Ucraina». Nel censimento del 2001 (quello previsto per il 2020 è stato ulteriormente rinviato causa pandemia da Covid-19) il 77,8% della popolazione ha peraltro dichiarato di essere di nazionalità ucraina e il 17,3% di nazionalità russa ma a ciò non corrisponde esattamente una pari ripartizione tra l’uso dell’ucraino e del russo nel Paese. Nei confronti della lingua ucraina la Costituzione – in considerazione del precedente processo di russificazione – assume comunque un atteggiamento promozionale. Di conseguenza – dopo aver stabilito che: «La lingua di Stato in Ucraina è la lingua ucraina» – afferma che: «Lo Stato garantisce lo sviluppo complessivo e il funzionamento della lingua ucraina in tutte le sfere della vita sociale su tutto il territorio dell’Ucraina…» (art. 10, commi 1 e 2). Al tempo stesso però si preoccupa di menzionare espressamente la lingua russa  – il cui kin state di riferimento è particolarmente “ingombrante” – quando, nel medesimo articolo, dichiara che: «…in Ucraina è garantito il libero sviluppo, l’impiego e la tutela della lingua russa e delle altre lingue delle minoranze nazionali dell’Ucraina…» (art. 10, comma 3). Nessuna posizione di rilievo è invece accordata al russo allorché si stabilisce ulteriormente che tutti i cittadini appartenenti alle minoranze nazionali «hanno il diritto di studiare e di ricevere l’istruzione nella lingua madre presso gli istituti d’istruzione statali e municipali o attraverso le associazioni nazionali-culturali» (art. 53, comma 4 Cost.). Le ricordate disposizioni costituzionali rappresentano il fondamento per l’ulteriore definizione, coperta da riserva di legge, delle «modalità di uso delle lingue» e dei «diritti dei popoli indigeni e delle minoranze nazionali» (art. 92 Cost.). In relazione a queste ultime si deve fare innanzitutto ancora riferimento alla legge «Sulle minoranze nazionali» del 25 giugno 1992 che – emanata sulla base della «Dichiarazione sulla sovranità statale della RSSU» del 1990 e della successiva «Dichiarazione sui diritti delle nazionalità dell’Ucraina» del 1991 –  definisce le minoranze nazionali come «gruppi di cittadini dell’Ucraina che per nazionalità non sono ucraini, che manifestano un sentimento di coscienza nazionale e comunitario tra loro» (art. 3). Tale legge – diversamente da quanto stabilito dalle sopra richiamate Dichiarazioni adottate tra il 1990 e il 1991 – non contempla però più la possibilità di creare delle «unità amministrative nazionali», pur continuando invece ad affermare che «Lo Stato garantisce a tutte le minoranze nazionali i diritti all’autonomia nazionale-culturale». Il modello di tutela delle minoranze nazionali applicato nel Paese dopo la dissoluzione dell’URSS non è dunque sfociato nel riconoscimento di autonomie territoriali nelle zone di insediamento compatto di determinati gruppi etnici tranne che nel caso della Crimea il cui status da regione amministrativa (così come ricevuta “in regalo” nel 1954) è stato elevato a quello di repubblica autonoma all’interno dell’Ucraina (in base al censimento del 2001 tra i cittadini ucraini ivi residenti il 58,3% si dichiarava di nazionalità russa, il 24,3% di nazionalità ucraina mentre il 12,0% tatari di Crimea). In seguito all’entrata in vigore della Costituzione dell’Ucraina del 1996 le «modalità di uso delle lingue» continuavano invece ad essere ancora delineate sulla base della legge «Sulle lingue nella RSSU» dell’ottobre 1989 che, già prima della fine dell’Unione Sovietica, definiva l’ucraino «lingua di Stato», riconosceva il russo quale «lingua per la comunicazione interetnica» e, infine, ammetteva che i cittadini di altre nazionalità – che rappresentavano la maggioranza in una data formazione amministrativo-territoriale – potessero utilizzare le loro lingue nazionali nelle istituzioni pubbliche. In vigenza di tali disposizioni, che lasciavano comunque un margine d’interpretazione piuttosto ampio, i Presidenti che si sono susseguiti in Ucraina hanno potuto perseguire delle politiche linguistiche parzialmente diverse. A tale proposito la dottrina suole distinguere un periodo di cautious tolerance durante la presidenza di Kravchuk (1989-1994), un periodo di soft ucrainization durante la presidenza di Kuchma (1994-2004) nel corso della quale nel 1998 è entrata in vigore la «Convenzione quadro sulla protezione delle minoranze nazionali» e un periodo di hard ukranization durante la presidenza di Yushchenko (2004-2010), risultato vincitore alle ripetizione del secondo turno delle presidenziali del 2004 precedute dalla cosiddetta rivoluzione arancione (Maidan) e nel corso del cui mandato nel 2006 è altresì entrata in vigore la «Carta sulle lingue regionali e minoritarie». Successivamente alla vittoria alle presidenziali del 2010 di Yanukovich – ovverosia del delfino di Kuchma sconfitto nel 2004 – il Partito delle Regioni che lo sosteneva riuscì invece a far approvare la nuova legge «Sui principi della politica linguistica statale» del 3 luglio 2012. Da un lato la nuova legge – il cui progetto era stato sottoposto alla Commissione di Venezia – abrogava la precedente legge «Sulle lingue nella RSSU» del 1989 ed emendava l’art. 8 della legge «Sulle minoranze nazionali in Ucraina» che aveva parimenti accolto il criterio della «maggioranza» come presupposto per l’impiego delle lingue nazionali. Dall’altro invece introduceva la possibilità di istituire «lingue regionali» ove parlate da almeno il 10% della popolazione di una data formazione amministrativo-territoriale. In base a tale nuova disciplina la lingua russa assumeva lo status di lingua regionale in ben 13 regioni su 24, nel distretto di Bolhar e in 7 grandi municipi (Odesa, Mykolaiv, Kakhovka, Izmail, Donetsk, Dnipro, Khrustalnyi, Kherson). L’ungherese e il romeno ottenevano lo status di lingua regionale nelle regioni di Zakarpatia e di Chernivtsi mentre il tataro di Crimea, accanto al russo, diventava lingua regionale nella Repubblica autonoma di Crimea. In seguito alle proteste scoppiate nel novembre 2013 (Euromaidan) e al cambio di governo verificatosi nel febbraio del 2014 la legge «Sui principi della politica linguistica statale» fu subito oggetto di una proposta di abrogazione da parte della nuova maggioranza venutasi a formare nella Rada ma il Presidente ad interim Turchinov (divenuto tale dopo la fuga di Yanukovich dal Paese) ritenne opportuno non sostenerla per evitare ulteriori tensioni. Nonostante ciò nel 2016 vennero comunque già approvate delle novelle per favorire l’impiego della lingua di Stato nei mass media dove il russo veniva ancora ampiamente impiegato mentre nel 2017 venne emanata una nuova Legge «Sull’istruzione» anch’essa oggetto di un parere della Commissione di Venezia. Nel 2018 è stata poi dichiarata l’incostituzionalità della legge «Sui principi della politica linguistica statale» mentre il 25 aprile 2019 il Presidente Poroshenko ha promulgato la legge «Sulla garanzia del funzionamento della lingua ucraina come lingua di Stato» che è però entrata in vigore poco dopo l’assunzione da parte di Zelensky del mandato presidenziale. La tempistica di adozione di quest’ultima e il suo contenuto dimostrano ancora una volta come in Ucraina le differenti discipline sull’uso delle lingue, alternatesi dalla fine degli anni ’80, siano state precipuamente tese a stabilire, sulla base degli orientamenti delle contingenti forze politiche di maggioranza, in che misura lo spazio pubblico debba essere occupato dalla lingua ucraina piuttosto che dalla lingua russa.