Il diritto costituzionale e l’autodeterminazione delle persone omosessuali: a proposito dell’ultimo libro di Martha Nussbaum

Riflettere sull’ultimo volume di Martha Nussbaum “Disgusto e umanità. L’orientamento sessuale di fronte alla legge” (Ed. Il Saggiatore 2011) assume un’importanza significativa, a pochi giorni dal voto con cui il Senato dello Stato di New York ha aperto la strada all’introduzione del matrimonio tra persone dello stesso sesso. Tra gli scopi del volume, rivolto essenzialmente al pubblico statunitense (e certo non privo di importanza anche per noi), vi è infatti senza dubbio quello di prendere posizione nel dibattito sul same-sex marriage, molto acceso anche oltreoceano, come dimostrano le diverse soluzioni adottate a livello statale, le reazioni dell’opinione pubblica – talvolta sfociate, come in California, in consultazioni referendarie che hanno posto nel nulla le risoluzioni del legislatore statale – e la presa di posizione federale con il Defense of Marriage Act (ancora pienamente in vigore, nonostante la presa di distanza dell’amministrazione Obama, che ha da tempo affermato di non intendere più difendere tale atto dinanzi alle Corti).
Allo stesso tempo, tuttavia, Nussbaum traccia un quadro affascinante delle più profonde ragioni ispiratrici delle contrapposte politiche in materia di orientamento sessuale, chiamando in causa pregiudizi culturali e religiosi, ma anche, in maniera del tutto innovativa, le diverse componenti emotive del disgusto e del senso di umanità.

Queste ultime, in modo particolare, vengono riconosciute come veri e propri paradigmi alla luce dei quali interpretare soluzioni normative – in primo luogo, le disposizioni in materia di repressione penale di condotte sessuali tra persone dello stesso sesso – e pronunce giurisprudenziali. La ricostruzione della giurisprudenza della Corte Suprema (dal caso Bowers v. Hardwick, a Lawrence v. Texas fino a Romer v. Evans) è così inserita in un discorso più ampio, che investe alla radice il profilo dell’approccio alla diversità, ma anche gli stessi fondamenti della convivenza.

In particolare, l’attitudine di disgusto, ricondotta suggestivamente alla paura della contaminazione, determina soluzioni politiche di esclusione che, omologando gli spazi di autodeterminazione su uno standard di “normalità” o purezza, finiscono per divenire strumenti di sopraffazione delle minoranze e fonte di violenza (nel nostro caso, di violenza omofoba). Le leggi basate sul disgusto – su tutte, si pensi alla legislazione antisodomia – sono tese a mettere i “colpevoli” fuori dalla comunità, sollecitando pulsioni primitive di riprovazione e paura, così come distorte concezioni dell’identità del gruppo dominante, che si sentirebbe irrazionalmente minacciato dal pieno riconoscimento dell’autodeterminazione dei “diversi”.

Tutto al contrario, il senso di umanità viene ricondotto – altrettanto suggestivamente – alla capacità di immaginazione, e dunque di piena e solidale immedesimazione nella condizione della persona omosessuale (e, più in generale, del membro di una qualsiasi minoranza). Tale attitudine rende possibili politiche di inclusione, che ampliano gli spazi di libertà e autodeterminazione, per un verso eliminando dall’ordinamento divieti e norme incriminatrici che illegittimamente comprimono la libertà delle persone omosessuali e, d’altro canto, promuovendo ove necessario la piena eguaglianza di chances (rimuovendo ostacoli e, soprattutto, assicurando il pieno riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso attraverso l’estensione dell’istituto matrimoniale).

Il passaggio alla politica dell’umanità segna in tal modo un significativo mutamento di prospettiva nell’approccio alle questioni legate alla dignità sociale delle persone omosessuali. Ad un discorso fondato esclusivamente sul principio di uguaglianza si affiancano considerazioni più profonde, legate alla piena affermazione della libertà e dell’autodeterminazione della persona omosessuale, e dunque della sua dignità (cfr. Ridola, La dignità dell’uomo e il “principio libertà” nella cultura costituzionale europea” in Id. Diritto comparato e diritto costituzionale europeo, Torino 2010, pp. 77 ss.).
.

Alla base del senso di umanità vi è peraltro, secondo Nussbaum, una radicale ricollocazione delle scelte in materia di autodeterminazione affettiva e sessuale. Come già le scelte in materia religiosa – suggerisce l’autrice con un parallelismo affascinante – esse divengono un profilo cruciale dei percorsi di realizzazione personale che si snodano all’ombra della garanzia della “ricerca della felicità”, così importante nel costituzionalismo statunitense. Tali scelte rinviano infatti ad un ambito “intimamente personale, congiunto al senso ultimo della vita e decisamente non secondario”. Come la religione, esse rinviano ad una dimensione di vita “in cui l’autenticità, o il coinvolgimento della coscienza, svolge un ruolo cruciale” e vanno “al cuore dell’autodefinizione degli individui, della loro ricerca di identità ed espressione di sè” (p. 101).

In tale contesto, il compito del diritto – e del diritto costituzionale in modo particolare – sembra essere, ancora una volta, quello di aprire e garantire spazi di esperienza funzionali alla piena effettività dei percorsi di autodeterminazione personale, “condizioni favorevoli alla ricerca della felicità” (dalla sentenza Pierce vs. Society of Sisters, cit. p. 125). La capacità di immaginare, come fulcro delle politiche di umanità, assume in questo senso un’importanza centrale, specie nel suo rapporto del tutto peculiare con il giudizio di eguaglianza. Grazie all’immedesimazione nelle concrete ragioni dell’altro, il giudizio di eguaglianza si apre infatti alla dimensione personale, non si limita al momento del giudizio comparativo astratto, ma tenta di mettere assieme esperienze diverse nella loro vicenda concreta, illuminata dal momento immaginativo ed empatico (pp. 107 ss.).

L’attenzione al profilo dell’uguaglianza si intreccia così con immedesimazione, immaginazione ed empatia come architravi di un modo nuovo di intendere la convivenza tra diversi ed allo stesso tempo si apre ad una radicale riconsiderazione dello stesso nesso tra libertà, solidarietà, eguaglianza e dignità. Nelle stesse parole di Nussbaum, “la politica dell’umanità non coincide con l’approvazione delle scelte altrui o anche solo con il rispetto per le loro azioni, richiede semplicemente di vedere gli altri come esseri umani che hanno un’eguale dignità e un eguale diritto di perseguire un’ampia gamma di scopi umani” (p. 110).

Sullo sfondo vi è, ancora una volta, il riconoscimento e la piena legittimazione – così importante, se messo in collegamento con la situazione italiana attuale – dell’autonoma rilevanza dell’orientamento sessuale come dimensione di realizzazione della persona. Esso, afferma la Nussbaum, si radica infatti “nel profondo della struttura della personalità, in modi che sono fondamentali per il perseguimento della felicità. Perciò, chiedere ad un individuo di modificare quell’aspetto o di non esprimere il proprio orientamento significa imporre un onere molto penalizzante” (p. 160).

Di fronte ad ogni tentativo di “neutralizzare” la discriminazione in base all’orientamento sessuale – ad esempio riconducendola al più vasto ambito delle discriminazioni in ragione del genere – Nussbaum rivendica con coraggio e lucidità la specifica rilevanza dell’orientamento sessuale come dimensione di vita da riconoscere, legittimare e, se del caso, promuovere in funzione antidiscriminatoria: molto importante, in tal senso, la ricostruzione del caso Romer v. Evans. Il tentativo di cancellazione delle leggi antidiscriminazione del Colorado – promosso come strumento di eliminazione dei privilegi di una categoria rispetto ad altre – mirava ad escludere gli omosessuali da ogni pretesa antidiscriminatoria. Dietro alla riaffermazione dell’uguaglianza formale, si nascondeva l’intenzione di penalizzare gravemente le persone omosessuali, disconoscendo la reale situazione di squilibrio esistente tra etero ed omosessuali in ordine al godimento di taluni diritti legati alla sfera intima e alla realizzazione affettiva. Il riconoscimento, da parte della Corte Suprema, di un ostile intento di esclusione delle persone omosessuali, nel determinare l’incostituzionalità dell’Emendamento 2 alla Cost. Colorado si intreccia in profondità, in questo caso, con una riflessione sul rapporto tra orientamento sessuale ed autodeterminazione della persona.

Nella ricchissima analisi casistica, peraltro, Nussbaum mette in luce un altro profilo importante, vale a dire quello del rapporto tra libertà e ingerenza del legislatore nelle scelte in materia affettiva e sessuale, la cui rilevanza è particolarmente evidente nel passaggio dalla sentenza Bowers v. Hardwick (1986) – che aveva convalidato la legislazione antisodomia della Georgia, con argomentazioni peraltro strettamente legate, come mette in luce Nussbaum, a posizioni di disgusto e repulsione verso le condotte sessuali in questione – alla storica decisione Lawrence v. Texas (2003) che ha definitivamente dichiarato l’incostituzionalità delle leggi antisodomia. Rilevante, in tale ultima decisione, il passaggio da un discorso articolato unicamente attorno al principio di eguaglianza allo sforzo di individuare e definire i limiti dell’intervento pubblico nella sfera privata: centrale, in Lawrence v. Texas, è dunque la determinazione della “natura dell’interesse di libertà nell’ambito dell’associazione intima” (p. 136). Come afferma l’autrice “l’eguaglianza in sé, senza un appello alle aree protette della libertà, è insufficiente perché il Governo potrebbe ancora intaccare libertà vitali purchè in modo imparziale” (ivi). Di contro, l’approccio basato sull’idea di eguale libertà come eguale facoltà di autodeterminarsi in ordine alla propria realizzazione affettiva e sessuale comporta una conquista dell’ “immaginazione morale” e dunque del diritto che è ad essa intimamente legato.

Il legame tra politiche di umanità e nuova considerazione dell’orientamento sessuale è particolarmente evidente nel discorso sul matrimonio, specie per ciò che riguarda la distinzione tra disciplina del rapporto e dimensione espressiva dell’istituto (p. 165). Pur muovendo da posizioni critiche nei confronti dell’istituto matrimoniale – ed in particolare del ruolo dello Stato nella celebrazione di matrimoni – Nussbaum sostiene con lucidità e dovizia di argomenti che, nel momento in cui lo Stato decide di assumere un ruolo in materia, non può limitare l’accesso all’istituto ad una sola categoria di cittadini, privilegiando le unioni eterosessuali in quanto tali. In particolare, escludere dalla dimensione espressiva – dalla forma matrimoniale – le persone omosessuali costituirebbe una politica di esclusione e marginalizzazione di una categoria di cittadini, anche al di là dell’eventuale riconoscimento – abbastanza pacifico negli Stati Uniti – di diritti civili ai partner dello stesso sesso. Allo stesso tempo, incentrare la riflessione sul matrimonio esclusivamente sull’argomento egalitario sembra essere fuorviante, in quanto impone un giudizio comparativo tra unioni etero e omosessuali che, a sua volta, può segnare l’ingresso di argomenti omofobi e discriminatori. Si pensi alle classiche obiezioni basate sulla capacità di procreare o ancora peggio sul “pericolo” che le unioni omosessuali rappresenterebbero per la tenuta del paradigma eterosessuale, specie sotto il profilo della tutela della famiglia. Viceversa, un approccio che combini il punto di vista dell’uguaglianza con quello dell’eguale libertà consente di riflettere sulla condizione della persona omosessuale, sulla sua piena dignità, personale e sociale, e sul conseguente diritto alla tutela delle proprie scelte. Renderebbe naturale, in altre parole, quello sforzo di immaginazione che Nussbaum ritiene essenziale ai fini di una politica dell’umanità: essa “ci richiede di smettere di considerare il matrimonio omosessuale come una fonte di corruzione o contaminazione del matrimonio tradizionale e, invece, di comprendere le aspirazioni umane di coloro che vogliono sposarsi e le somiglianze tra ciò che essi desiderano e ciò che le persone eterosessuali desiderano” (p. 192).

In definitiva, il volume di Nussbaum rappresenta un tentativo affascinante e appassionato di ricondurre la questione della dignità, libertà e piena eguaglianza delle persone omosessuali nei solchi della riflessione costituzionalistica, ed in particolare alle tendenze progressive ed inclusive della giurisprudenza della Corte Suprema (si pensi, solo per fare un esempio, ai numerosi riferimenti alla sentenza Loving v. Virginia, in materia di unioni interrazziali). Ad essere riarticolato appare, tuttavia, lo stesso rapporto tra diritto costituzionale e autodeterminazione in materia affettiva e sessuale. Il riconoscimento – attraverso un approccio radicalmente umanistico – dell’orientamento sessuale e dell’autodeterminazione affettiva della persona omosessuale (anche attraverso l’unione riconosciuta) come dimensione rilevante di realizzazione personale – presente in nuce anche in un passaggio della sentenza n. 138/2010 della nostra Corte costituzionale – segna infatti un decisivo passo in avanti, in linea con una delle funzioni storiche del diritto costituzionale, vale a dire l’integrazione delle minoranze. La stessa Nussbaum, tuttavia, mantiene un approccio realistico e non vede nel diritto – neanche nel diritto costituzionale – la garanzia dell’effettivo successo di tali percorsi di integrazione. Allo stesso tempo, peraltro, soluzioni normative di apertura e riconoscimento, se pure non sono sufficienti a garantire il cambiamento sociale, possono rivelare un forte valore simbolico (ed al limite, come “obiettivi educativi” nel senso in cui ne parla Peter Häberle) e rappresentare un invito significativo alla responsabilità di ognuno nel rivedere criticamente le proprie posizioni e promuovere percorsi di integrazione ed inclusione.