Le reazioni della politica francese (attraverso gli strumenti costituzionali) alla strage del 13 novembre.

État d’urgence e messaggio del Presidente della Repubblica dinanzi al Congresso

Il massacro di venerdì 13 novembre 2015 ha portato ad una immediata reazione della politica e degli organi costituzionali francesi. Innanzitutto il Consiglio dei ministri, convocato dal Presidente della Repubblica francese François Hollande e riunitosi alla mezzanotte del 14 novembre, ha dichiarato lo stato d’emergenza con effetto immediato su tutto il territorio francese. Un secondo decreto è stato adottato per attuare altre misure in tutte le città della regione Ile-de-France. Le disposizioni consentono l’arresto di qualsiasi persona la cui attività sia pericolosa, il divieto di manifestazione, la resa delle armi e la possibilità di effettuare perquisizioni. Inoltre, il Presidente della Repubblica ha deciso l’immediato ripristino dei controlli alle frontiere (tale misura era stata invero già prevista per la COP21, la conferenza ONU sul clima, organizzata a Parigi dal 30 novembre all’11 dicembre 2015; i controlli sarebbero stati ristabiliti dal 13  novembre al 13 dicembre). Scuole e università sono rimaste chiuse sabato 14 novembre nell’Ile-de-France. Un Consiglio della difesa è stato convocato per sabato 14 e altri 1500 soldati sono stati mobilitati. Si è previsto che il Presidente della Repubblica sarebbe rimasto a Parigi senza partecipare (il 15 e 16 novembre ad Antalya, Turchia) al G20.

La dichiarazione dello stato di emergenza adottata il 14 novembre conferisce poteri eccezionali al Ministero dell’Interno e ai prefetti. Per decisione di questi ultimi può essere limitata o vietata la circolazione di persone o veicoli, si possono istituire zone di sicurezza e interdire dal territorio chiunque ostacoli l’azione dei pubblici poteri (Art. 5 Loi n° 55-385). Come ha spiegato il ministro dell’Interno Bernard Cazeneuve, intervenuto per illustrare le misure di sicurezza dopo gli attentati, i prefetti francesi hanno la possibilità di decretare il coprifuoco. Il Ministro dell’Interno, invece, può intervenire direttamente sulla libertà personale, può imporre di consegnare armi a chiunque risieda in un determinato luogo, disporre perquisizioni domiciliari (Art. 6 Loi n° 55-385). Contro tali misure è ammesso ricorso amministrativo e giurisdizionale.

Lo stato d’emergenza in Francia fu instaurato per la prima volta nel 1955, durante la guerra d’indipendenza dell’Algeria, nel 1958 a Algeri, nel 1961 sempre in Algeria, nel 1984 in Nuova Caledonia, e nel 2005 da Jacques Chirac all’epoca delle rivolte delle banlieue e durò fino al 4 gennaio 2006 (Thénault, L’état d’urgence (1955-2005). De l’Algérie coloniale à la France contemporaine: destin d’une loi, in Le Mouvement social, 218/2007).

In risposta ai fatti del 13 novembre sono state utilizzate dunque le previsioni della legge del 1955  sullo stato d’emergenza e non l’articolo 36 della Costituzione francese relativo allo stato d’assedio. Quest’ultimo è decretato dal Consiglio dei ministri e non può essere prorogato oltre dodici giorni senza autorizzazione del Parlamento (L’état de siège est décrété en Conseil des ministres. Sa prorogation au-delà de douze jours ne peut être autorisée que par le Parlement). È dichiarato in caso di pericolo imminente dovuto alla guerra o ad una insurrezione armata. Durante lo stato d’assedio l’autorità militare diviene competente in materia di polizia al posto delle autorità civili e può decretare tutta una serie di misure; si estende allo stesso tempo la competenza delle giurisdizioni militari, anche se per i non militari la sottoposizione alla giurisdizione militare è limitata ai reati elencati nel codice di difesa militare. Lo stato d’assedio non è mai stato utilizzato nella storia della V Repubblica.

C’è da ricordare, inoltre, l’art. 16 della Costituzione francese, dove viene prevista per il Presidente della Repubblica la possibilità di adottare poteri eccezionali quando le istituzioni della Repubblica, l’indipendenza della nazione, l’integrità del territorio o l’esecuzione degli impegni internazionali sono minacciati in maniera grave ed immediata e il regolare funzionamento dei poteri pubblici costituzionali è interrotto (Sul punto v. Favoreu, Gaïa, Ghevontian et al., Droit constitutionnel, Parigi, 2015). Si richiede solo la consultazione del Primo ministro, dei Presidenti delle Assemblee ed del Presidente del Consiglio costituzionale e poi deve informare la nazione con un messaggio. Inoltre, l’Assemblea nazionale non può essere sciolta durante l’esercizio dei poteri eccezionali. Passati trenta giorni di esercizio dei poteri eccezionali, il Consiglio costituzionale può essere incaricato dal Presidente dell’Assemblea Nazionale, il Presidente del Senato, sessanta deputati o sessanta senatori, di verificare se le condizioni di cui al primo comma sussistano (previsione introdotta con la riforma costituzionale del 2008 e letta come un rééquilibrage: in tal senso Di Giovine, Note sul rééquilibrage delle istituzioni della V Repubblica nella revisione costituzionale del luglio 2008, in Lanchester –  Lippolis, La V Repubblica francese nel dibattito e nella prassi in Italia, Napoli, 2009). È questo uno dei poteri più contestati della Costituzione francese. È stato applicato una sola volta, nel periodo che va dal 23 aprile 1961 al 29 settembre dello stesso anno, a seguito del putsch di Algeri: tentativo che finì nella notte tra 25 e 26 aprile, ma il Presidente della Repubblica continuò ad applicare l’articolo 16 fino al 29 settembre e per questo ricevette diverse critiche.

Nell’ottobre 2007 il c.d. Comité Balladur (Comité de réflexion et de proposition sur la modernisation et le rééquilibrage des institutions) aveva proposto, tra le altre cose, una modifica degli articoli 16 e 36 della Costituzione per riflettere l’evoluzione delle potenziali minacce “nell’era del terrorismo globale”. L’idea era quella di introdurre nell’art. 36 anche lo stato d’emergenza. Era previsto che una legge organica precisasse il regime e le condizioni d’applicazione dello stato d’emergenza e di quello d’assedio. Sull’articolo 16 la commissione Balladur aveva notato che l’uso dal 23 aprile al 29 settembre 1961, durante la guerra in Algeria, aveva attirato diverse critiche. L’emendamento proposto da Balladur prevedeva che dopo trenta giorni, sessanta parlamentari potessero chiedere al Consiglio costituzionale di verificare se sussistono ancora le condizioni per cui quel potere è stato esercitato. Mentre questa modifica dell’art. 16 è stata inserita nella riforma del 2008, lo stesso non è avvenuto per l’art. 36.

Il Presidente della Repubblica Hollande ha parlato lunedì 16 novembre alle due camere del Parlamento francese riunite nel Congresso nel castello di Versailles. È, questo, un evento che si era verificato solo una volta, da quando la possibilità per il Presidente della Repubblica francese  di rivolgersi alle camere riunite era stata introdotta con la legge cost. 2008-724 del 23 luglio 2008.

Il nuovo art. 18 della Costituzione francese recita, ora: “Le Président de la République communique avec les deux assemblées du Parlement par des messages qu’il fait lire et qui ne donnent lieu à aucun débat. Il peut prendre la parole devant le Parlement réuni à cet effet en Congrès. Sa déclaration peut donner lieu, hors sa présence, à un débat qui ne fait l’objet d’aucun vote. Hors session, les assemblées parlementaires sont réunies spécialement à cet effet”.

Dunque, il suo intervento può dar luogo, in sua assenza, ad un dibattito cui non segue alcun voto (v. art. 23, comma 2, del regolamento del Congresso, che prevede che il dibattito sia obbligatorio se lo chiede un Gruppo parlamentare: “La séance peut être reprise pour un débat sur la déclaration du Président de la République hors la présence de celui-ci. Ce débat est de droit lorsqu’il est demandé par le président d’un groupe de l’une ou l’autre des deux assemblées au plus tard la veille de la réunion du Congrès à midi. Il peut également être décidé par le Bureau du Congrès”).

Prima della riforma del 2008 (dalla Terza Repubblica) il Presidente poteva mandare messaggi, ma non leggerli personalmente e questi non potevano dare luogo a un dibattito parlamentare “in nome della volontà di controllare e limitare la sua influenza sul Parlamento” (Ceccanti, Hollande a Versailles: metodo e merito, in www.unita.tv, 16 novembre 2015).

Questo aveva portato a uno scarso utilizzo di tale potere presidenziale: i  messaggi erano stati in tutto una ventina e perlopiù in occasione dell’insediamento o per importanti questioni di politica estera (Cerrina Feroni, Il potere di messaggio del Presidente della Repubblica nell’esperienza della V Repubblica francese, in Calamo Specchia, La Costituzione Francese, Torino, 2009). Il Comité Balladur suggerì l’introduzione del potere del Presidente di rivolgersi ad una delle due assemblee. Il fatto che il Presidente non potesse essere presente nel successivo dibattito e che comunque questo non potesse concludersi con un voto ha fatto ritenere che la responsabilità politica del Presidente non entrasse in gioco. Si è infatti osservato, in dottrina, che tale nuova possibilità per il Presidente, nonostante renda trasparente chi è il vero capo dell’Esecutivo, non può essere ritenuta un’occasione di riequilibrio, visto che è precluso un voto. Con la riforma del 2008, quindi, si prese atto “che la riduzione del mandato quinquennale del 2000 (oltre al nuovo calendario elettorale che fa eleggere i deputati sulla scia dell’elezione presidenziale) ha reso più esplicitamente il Presidente vertice effettivo della maggioranza di Governo, si è così parzialmente parlamentarizzato il suo ruolo” senza però arrivare fino “a dibattere in sua presenza e a votare giacché questo avrebbe delegittimato l’esclusività della responsabilità politica del Primo Ministro di fronte all’Assemblea Nazionale” (Ceccanti, Hollande a Versailles).

La prima e unica volta, prima del 16 novembre, in cui si era fatto ricorso a tale messaggio era stato il 22 giugno 2009, quando parlò dinanzi al Congresso il Presidente Nicolas Sarkozy, tracciando le linee del suo programma di metà legislatura, anticipando gli orientamenti e le riforme con cui avrebbe affrontato la crisi economico-finanziaria in corso.

Nel discorso del 16 novembre il Presidente Hollande ha parlato in un’atmosfera di grande solennità; il Parlamento lo ha accolto in piedi e alla fine del discorso ha cantato la Marseillaise. Il Presidente ha tracciato il percorso per far evolvere la Costituzione della V Repubblica, adeguandola. Ha dichiarato innanzitutto che il Parlamento sarà incaricato da mercoledì 18 novembre di valutare il disegno di legge atto a prolungare lo stato d’emergenza di altri tre mesi, il cui contenuto sarà adattato all’entità della minaccia in continua evoluzione. Ha sostenuto, infatti, che le previsioni della legge del 1955 non sono in linea con lo stato della tecnologia e delle minacce odierne. Ci sono però delle misure (in particolare le perquisizioni amministrative e la residenza obbligata) che forniscono strumenti utili per prevenire la commissione di nuovi atti terroristici. Il primo ministro proporrà al Parlamento di adottare un regime giuridico completo sia per le perquisizioni amministrative sia per le residenze obbligate nonché per le altre misure previste dallo stato d’emergenza e il Presidente ha invitato i parlamentari a votare entro la fine della settimana. C’è però, secondo Hollande, l’esigenza di andare oltre l’emergenza. Vi è la necessità di cambiare la Costituzione per consentire alle autorità pubbliche di agire in conformità con lo stato di diritto. I due regimi speciali previsti in Costituzione non sono adatti alla situazione. Con l’articolo 16 della Costituzione il Presidente della Repubblica adotta le misure richieste dalle circostanze in contrasto con la ripartizione delle competenze costituzionali, e scatta solo se è interrotto il regolare funzionamento dei pubblici poteri. Poi c’è l’articolo 36 della Costituzione che tratta l’assedio, una misura estrema che in questo caso non era opportuno utilizzare. Lo stato d’assedio è decretato in caso di pericolo imminente derivante da una guerra straniera o insurrezione armata. In quel caso, diverse competenze sono trasferite dall’autorità civile alle autorità militari. Tale trasferimento non è adatto alla realtà odierna. Il regolare funzionamento del governo non è interrotto e non è pensabile trasferire il potere alle autorità militari. Eppure la Francia è in guerra. Ma questa guerra è di tipo diverso, e diverso deve essere il regime costituzionale per gestire la crisi. C’è bisogno di uno strumento appropriato per fondare l’adozione di misure eccezionali, senza ricorrere alla legge marziale e senza compromettere l’esercizio delle libertà civili.

Questa revisione della Costituzione deve essere accompagnata da altre misure, come la privazione della cittadinanza, senza avere l’effetto di rendere qualcuno senza Stato. Togliere la cittadinanza a chi è stato condannato per violazione di interessi fondamentali della nazione o un atto terroristico e ha un’altra cittadinanza oltre a quella francese. Allo stesso modo c’è bisogno di poter impedire a una persona con doppia cittadinanza di tornare sul territorio francese se rappresenta un rischio terroristico, a meno che non accetti di sottoporsi a controlli drastici. C’è inoltre bisogno di espellere rapidamente gli stranieri che rappresentano una minaccia di particolare gravità per l’ordine pubblico e la sicurezza della Nazione, ma nel rispetto degli impegni internazionali. Il Governo, in uno spirito di unità nazionale, cercherà il parere del Consiglio di Stato per verificare il rispetto di tali proposte ai principi di base e agli impegni internazionali. Questo sarà reso pubblico e il Presidente trarrà tutte le conseguenze.

La Costituzione è la carta comune, è il contratto che unisce tutti i cittadini di uno stesso paese. Dal momento che la Costituzione è il contratto collettivo indispensabile per vivere insieme, è legittimo che nella Costituzione vi siano le risposte per combattere contro coloro che vorrebbero indebolirla. Lo stato di emergenza si prolungherà oltre i 12 giorni fino a tre mesi, ma dopo lo stato di emergenza, bisogna essere pienamente in uno stato di diritto nella lotta contro il terrorismo.

In questo modo “oltre ad un’esigenza di merito […] Hollande ne vuole conseguire anche una simbolica: realizzare solennemente intorno a una revisione costituzionale, che ha bisogno dei tre quinti dei voti dei parlamentari, una sorta di union sacrée contro il terrorismo” (Ceccanti, Hollande a Versailles).

Ha, poi, detto che l’Europa deve unire le sue forze e chiesto al Ministro della Difesa di incontrare i suoi omologhi ai sensi dell’articolo 42 del TUE perché  quando uno Stato viene aggredito tutti gli altri stati devono unirsi per aiutarlo. Non si tratta infatti di un nemico della Francia ma dell’Europa (art. 42, par. 7, TUE: “Qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Ciò non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri”).

Dopo aver parlato delle riforme costituzionali necessarie per far fronte alle nuove minacce, il Presidente ha dunque significativamente richiamato il Trattato sull’Unione europea e uno degli strumenti al suo interno. Anche in un momento come questo, una conferma della natura ‘composita’ della Costituzione europea.

Il fatto che il Presidente abbia riunito il Congresso ha avuto, almeno secondo l’opinione di chi scrive, un alto valore simbolico, estremamente lontano dalla “deriva bonapartista” che era stata prospettata da alcuni dopo il primo discorso davanti al Parlamento riunito in Congresso da parte di Sarkozy. D’altronde le circostanze sono terribilmente diverse. Parlando dinanzi alle Camere riunite Hollande ha centrato due obiettivi: da un lato ha parlato alla Nazione attraverso il prisma dei suoi rappresentanti; dall’altro lato ha rintracciato nel Parlamento riunito in Congresso il luogo più adatto per chiedere modifiche costituzionali di tale natura.

Il discorso di Hollande è stato ordinato, deciso. Le misure che ha chiesto al Parlamento, peraltro – forse tranne la modifica della Costituzione – difficilmente potranno essere non condivise anche dal Front National. Secondo un sondaggio dell’istituto ifop il 59% dei francesi ha approvato le parole di Hollande e l’84% è pronto ad accettare limitazioni delle libertà in cambio di maggiore sicurezza, sull’onda degli attentati terroristici che hanno sconvolto la Francia. A dicembre si terranno le elezioni per il rinnovo delle istituzioni regionali e l’atteggiamento di Hollande potrebbe riuscire – almeno in parte – ad evitare una disfatta a favore del partito di Marine Le Pen, che in un momento del genere non sarebbe certamente di buon auspicio.

Nonostante il Conseil constitutionnel abbia sempre dimostrato pragmatismo quando l’ordine pubblico è stato minacciato, la legge del 1955 potrebbe essere ridimensionata da un controllo di costituzionalità se le libertà fondamentali venissero limitate. Vi sono altre possibili strade da percorrere. Innanzitutto si potrebbe inserire un nuovo art. 36-1 per dare un ancoraggio costituzionale allo stato d’emergenza. In secondo luogo, si potrebbe costituzionalizzare lo stato di emergenza e rinviare il suo regime di funzionamento a una legge organica. L’”inconveniente” di questa soluzione sarebbe ovviamente l’obbligatorio controllo di costituzionalità da parte del Conseil. Vi è una quarta possibile soluzione: il nuovo articolo della Costituzione potrebbe designare le autorità competenti per dichiarare lo stato di emergenza, la sua durata, le modalità della sua proroga da parte dal Parlamento, rinviando le modalità di applicazione alla legislazione ordinaria sullo stato di emergenza. Questo rinvio avrebbe come effetto quello di immunizzare le misure legislative derogatorie all’uso dei diritti e delle libertà (Pascal Jan, Urgence constitutionnelle, in Huffingtonpost, 18/11/2015).
Dare un ancoraggio costituzionale allo stato d’emergenza permetterebbe di stabilire garanzie chiare per i diritti fondamentali e, soprattutto, quale sia lo spazio preciso da assegnare al controllo parlamentare in situazioni d’emergenza. Quello che sembra necessario evitare, tuttavia, è che le limitazioni delle libertà connesse alla sicurezza diventino un pretesto per alimentare le pulsioni populiste che già scorrono massicce per l’Europa. Senza dubbio, la procedura aggravata prevista dalla Costituzione francese per la revisione costituzionale permetterà una riflessione ponderata e non presa sulla base del terrore di questi ultimi giorni. D’altro canto, non bisogna dimenticare che nella stessa dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, all’art. 2, è stabilito che “Le but de toute association politique est la conservation des droits naturels et imprescriptibles de l’homme. Ces droits sont la liberté, la propriété, la sûreté et la résistance à l’oppression”. La sicurezza è senz’altro un dato fondamentale, ma forse non a qualunque prezzo.