Pensieri intorno al volume a cura di Angelo Schillaci “Omosessualità, eguaglianza, diritti” (Carocci editore, Studi superiori, Roma, 2014)

Il lavoro del “curatore” di un volume solitamente non viene apprezzato. Credo che ciò sia dovuto al fatto che il curatore in genere si limita a mettere insieme scritti prodotti intorno a un certo tema. Insomma, il curatore spesso non assolve compiutamente al suo ufficio. Tutto ciò non accade nel caso di Angelo Schillaci, cui va dato subito il merito non solo di sollecitare il lettore con alcune riflessioni autografe contenute nel volume “Omosessualità, eguaglianza, diritti” (Carocci editore, Studi superiori, Roma, 2014), ma di aver strutturato in qualità di curatore un volume corale, in cui da diverse prospettive e con diverse competenze vengono affrontati temi di notevole portata teorica. Leggendo il libro si avverte il lavorio, il pensiero condiviso di chi lo ha realizzato, l’impegno comune come lo definisce icasticamente il curatore nella Premessa, dal momento che questo è un libro che nasce da un’urgenza e da un impegno (p. 17).

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Questo matrimonio ha da trascriversi!

Il same-sex marriage celebrato all’estero non è contrario all’ordine pubblico e va trascritto

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Il caso deciso dal Tribunale di Grosseto testimonia il lento modificarsi della cultura giuridica del nostro Paese a proposito della richiesta delle coppie formate da persone dello stesso sesso di godere pienamente della loro dignità di cittadine e cittadini.

I fatti. Due uomini si sposano a New York e chiedono al loro Comune di residenza di trascrivere nei Registri dello stato civile il matrimonio. Alla richiesta segue il diniego dell’Ufficiale dello stato civile, che – lo ricordiamo – è il Sindaco del Comune quale Ufficiale del Governo. I motivi del diniego sono  quattro: 1. due persone dello stesso sesso non possono contrarre matrimonio in Italia; 2. il matrimonio tra persone dello stesso sesso è contrario all’ordine pubblico; 3. la capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio sono regolate dalla legge nazionale di ciascun nubendo (e quindi nel caso di specie da quella italiana); 4. non si può fare alcun riferimento alla CEDU[1].

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La protezione internazionale per orientamento sessuale secondo la Corte di giustizia dell’Unione europea

Con la sentenza resa nelle cause riunite da C‑199/12 a C‑201/12 (X, Y e Z, c. Minister voor Immigratie en Asiel) i giudici della quarta sezione della Corte europea (Pres. e rel. Bay Larsen), cui si era rivolto in via pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE il Raad van State dei Paesi Bassi, hanno sciolto alcuni dubbi interpretativi concernenti la direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta[1].

I casi da cui il rinvio pregiudiziale ha avuto origine riguardavano tre persone provenienti rispettivamente dalla Sierra Leone, dove ai sensi dell’articolo 61 del “Offences against the Person Act” del 1861, gli atti omosessuali sono soggetti a una pena detentiva da un minimo di dieci anni all’ergastolo; dall’Uganda, dove chi è giudicato colpevole di un reato descritto come «conoscenza carnale contro le leggi di natura» dall’art. 145 del codice penale del 1950, è punito con una pena detentiva che può arrivare all’ergastolo; e dal Senegal, dove una persona riconosciuta colpevole di atti omosessuali dev’essere condannata a una pena detentiva da uno a cinque anni e a una sanzione pecuniaria compresa tra 100 000 franchi CFA (BCEAO) (XOF) e 1 500 000 XOF (all’incirca tra EUR 150 e EUR 2 000), in base all’articolo 319.3 del codice penale.

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