La forza espansiva della libera circolazione dei lavoratori: la sentenza della Corte di Giustizia del 20 giugno 2013, Elodie Giersch e altri, causa C-20/12

Non può negarsi che, nell’ambito dell’Unione Europea, la libera circolazione dei lavoratori sia stata (e sia) una delle libertà fondamentali maggiormente soggette ad una evoluzione progressiva e costante che ne ha plasmato nel tempo la forma e il contenuto sino a ridisegnarne i confini e (talvolta) gli obiettivi.
Il principio enunciato all’art. 45 (ex articolo 39 CE) del TFUE, come un moderno “cavallo di Troia”, ha in più occasioni consentito alla Corte di Giustizia di aprire una breccia nell’acquis comunitario in materia, dilatando l’applicazione e l’applicabilità del principio in questione al di là del suo stretto tenore letterale, costituendolo garante non solo del diritto dei cittadini europei di circolare liberamente nel territorio dell’Unione Europea per motivi di lavoro, ma anche dei più ampi diritti sociali dei lavoratori e dei loro familiari.
Una recente sentenza della Corte di Giustizia del 20 giugno 2013, Elodie Giersch e altri, causa C-20/12) conferma la forza espansiva del principio di libera circolazione dei lavoratori, precisando ed allargando l’ambito di applicazione dello stesso principio.
La questione portata all’attenzione della Corte di Giustizia riguarda i figli di alcuni lavoratori frontalieri, occupati in Lussemburgo, ai quali era stata negata la concessione di un sussidio economico volto ad incentivare il compimento di studi superiori sul territorio lussemburghese o di altro Paese dell’Unione. Tale sussidio viene concesso dal Lussemburgo agli studenti, lussemburghesi o cittadini di un altro Stato membro, che risiedano in Lussemburgo nel momento in cui intraprendono gli studi superiori. In tal modo, i figli dei lavoratori frontalieri che risiedano in un Paese limitrofo del Lussemburgo risultano esclusi dal beneficio del sussidio.
Con la citata sentenza la Corte, investita della questione dal tribunal administratif lussemburghese, ha rilevato che il sussidio economico in questione costituisce, per il lavoratore medesimo, un vantaggio sociale (in questo senso si era pronunciata anche nella sentenza del 26 febbraio 1992, Bernini, causa C‑3/90 e nella sentenza del 18 luglio 2007, Hartmann, causa C‑212/05) che deve essergli riconosciuto alle stesse condizioni dei lavoratori nazionali e che, dunque, deve essere garantito non solo ai lavoratori migranti residenti in uno Stato membro ospitante, bensì parimenti ai lavoratori frontalieri i quali, pur ivi esercitando la loro attività lavorativa dipendente, risiedano in un altro Stato membro.
La Corte ha precisato che il requisito di residenza costituirebbe una discriminazione indiretta fondata sulla cittadinanza, ma ha riconosciuto che l’obiettivo dichiarato dal Lussemburgo di voler incrementare la percentuale dei residenti titolari di un diploma di istruzione superiore costituisca un legittimo obiettivo idoneo a giustificare tale disparità di trattamento e che tale requisito di residenza sia idoneo a garantire la realizzazione di tale obiettivo. Tuttavia, il requisito della residenza eccederebbe quanto necessario ai fini del raggiungimento dell’obiettivo perseguito, poiché impedirebbe di tener conto di altri elementi potenzialmente rappresentativi del reale grado di collegamento del richiedente il sussidio economico con la società o con il mercato del lavoro del Lussemburgo. La normativa lussemburghese contestata, pertanto, a giudizio della Corte, andrebbe al di là di quanto necessario per conseguire l’obiettivo perseguito dal legislatore e sarebbe pertanto contraria al principio di libera circolazione dei lavoratori.
Tale posizione risulta confermata anche in altre decisioni (sentenza del 14 giugno 2012, Commissione/Paesi Bassi, causa C-542/09 e sentenza del 18 luglio 2013, Laurence Prinz/Region Hannover, Philipp Seeberger/Studentenwerk Heidelberg, cause riunite C-523/11 e C-585/11), con le quali la Corte ha stabilito che sarebbe contrario al principio di libera circolazione subordinare il beneficio di un sussidio economico al requisito della residenza almeno per un determinato periodo nel Paese concedente il sussidio. Tale requisito, infatti, potrebbe creare una disparità di trattamento tra i lavoratori nazionali e i lavoratori migranti e frontalieri e potrebbe eccedere quanto necessario per conseguire l’obiettivo posto dal Paese ospitante.
Da tali decisioni emerge una (più o meno consapevole) volontà di estendere il principio della libera circolazione dei lavoratori (e, in particolare, l’art. 7, comma 2 del regolamento n. 1612/68), in modo che questi giustifichi un allargamento delle prerogative del lavoratore che si sposta all’interno dell’Unione Europea, sino a comprendere diritti e garanzie riservati “direttamente” al familiare del lavoratore.
Sembrerebbe evidenziarsi, in questo ambito, la volontà del legislatore e della giurisprudenza di tutelare il lavoratore inteso non più solo come entità a sé stante, ma considerato nel suo più ampio contesto di interazioni sociali, quasi occupandosi (e, in un certo qual modo, preoccupandosi) della sua complessità familiare e sociale, e cercando, in tale ottica, di eliminare quegli ostacoli che non consentono una piena integrazione (sociale, umana e relazionale) non solo del lavoratore, ma anche dei suoi familiari, nel Paese dove questi è occupato.
L’acquis comunitario, in questa materia, sembra infatti orientato ad interpretare in maniera sempre più ampia ed elastica il principio della libera circolazione, quasi a voler immaginare e tutelare una sorta di “benessere sociale” del lavoratore, che si attui anche attraverso la soddisfazione dei bisogni e delle aspirazioni dei suoi familiari.
In particolare, infatti, il concetto della parità di trattamento tra lavoratori, indipendentemente dal criterio della nazionalità, viene oggi coniugato in vari modi: il lavoratore e i suoi familiari hanno diritto, tra l’altro, non solo ad ottenere i medesimi vantaggi fiscali del lavoratore residente o cittadino del Paese ospitante, ma anche i medesimi vantaggi sociali, con ciò comprendendo sia le prestazioni di natura finanziaria (quali l’assegno minimo per la sussistenza o l’indennità di educazione, le borse di studio, i prestiti e gli assegni di nascita), che quelle di natura non finanziaria che tradizionalmente non sono considerate vantaggi sociali. La Corte ha deciso, ad esempio, che il diritto di richiedere che un procedimento giudiziario si svolga in una determinata lingua (sentenza dell’11 luglio 1985, Pubblico Ministero/Robert Heinrich Maria Mutsch, causa C-137/84) e la possibilità per il lavoratore migrante di ottenere che il proprio compagno non coniugato sia autorizzato a soggiornare con lui (sentenza del 17 aprile 1986, Olanda/Ann Florence Reed, causa C-59/85) sono da considerarsi inclusi nel concetto di vantaggio sociale a norma dell’articolo 7, paragrafo 2, del citato regolamento (sul punto, si veda la Comunicazione della Commissione Com/2010/0373).
Appare dunque evidente che, ad oggi, il principio di libera circolazione dei lavoratori presenta molteplici sfaccettature e un notevole potenziale propulsivo per lo stesso sviluppo dell’Unione Europea.
D’altronde, come rilevato, è un dato di evidenza storica che il processo di integrazione europea presenti un carattere aperto di fenomeno in continua evoluzione, la cui originalità riflette proprio questa sua intrinseca natura evolutiva (Moccia L., Il “sistema” della cittadinanza europea: un mosaico in continua evoluzione, in Moccia L. (a cura di), Diritti Fondamentali e Cittadinanza dell’Unione Europea, Milano, 2010, 165).
In quest’ambito dinamico, caratterizzato da cambiamenti dettati dal processo di integrazione europea ma anche dalla politica del mercato del lavoro e dalla struttura della famiglia, la libera circolazione dei lavoratori può contribuire non solo alla realizzazione del mercato unico ma anche alla costruzione di una dimensione sociale significativa, attraverso la promozione dell’inclusione sociale, economica e culturale dei lavoratori migranti dell’Unione Europea negli Stati membri che li ospitano (Comunicazione della Commissione Com/2010/0373, già citata).
Occorrerà dunque verificare e monitorare il dinamismo del principio in questione e tentare di delineare, nella sua evoluzione, una progettualità complessiva che possa tracciarne e farne intravedere gli obiettivi dello sviluppo futuro nel più generale contesto del processo di integrazione europea.