Eletto un nuovo Speaker nella Camera dei Rappresentanti degli USA
La Costituzione degli Stati Uniti d’America prevede all’art. I, comma 2, che la Camera dei Rappresentanti sceglie (chuses; l’inglese contemporaneo compiterebbe chooses) il suo presidente (lo Speaker). La formula pur laconica usata dai costituenti è stata sempre interpretata nel senso che occorre, comunque, la maggioranza assoluta dei componenti, in tutti gli scrutini, inducendo larga parte della dottrina a sostenere che – in linea teorica – non sia necessario che lo Speaker sia membro della Camera. Tale conclusione paradossale tuttavia non è mai stata messa in pratica (si v. K. Bradshaw-D. Pring, 55)
Negli Stati Uniti, lo Speaker ha lo stesso nome di quello britannico; tuttavia e nonostante – tranne eccezioni in pochi Stati – il medesimo sistema elettorale (detto, infatti, uninominale secco “all’inglese”), i due Speakers hanno ruoli e funzioni del tutto opposti.
Nel Regno Unito, lo Speaker è indipendente dal partito con cui è stato eletto deputato ed è l’arbitro imparziale della dialettica parlamentare; si siede in fondo al rettangolo dell’aula (la quale si presenta a banchi contrapposti); innanzi a sé ha la mazza (the mace), antico e pesantissimo attrezzo poggiato sul tavolo centrale, che sta a minacciare simbolicamente i deputati, onde costringerli all’osservanza del regolamento e del galateo istituzionale; applica rigorosamente e con assoluta neutralità il regolamento, alla luce dei precedenti. Non s’intrude nella determinazione dell’agenda parlamentare, competente a comunicare la quale è il Leader of the House (che in Italia sarebbe il ministro dei rapporti col Parlamento). Lo Speaker non di rado è del partito opposto a quello che governa (per esempio, attualmente è in carica il laburista Lindsay Hoyle, mentre – come è noto – il Primo ministro è il conservatore Rishi Sunak; nel 2009, il conservatore John Bercow era stato eletto mentre era ancora Primo ministro il laburista Gordon Brown). Per questo, quando viene eletto, di solito restituisce la tessera del suo partito e il principale partito avverso rinuncia a opporgli un candidato nel suo collegio.
A Washington, la situazione è tutta al contrario. Lo Speaker è il capo parlamentare del suo partito e uno dei principali responsabili delle campagne per il relativo finanziamento; se è dello stesso partito del Presidente degli Stati Uniti, ne è il massimo alleato istituzionale; se è di quello rivale, è il capo riconosciuto dell’opposizione politica (K. Bradshaw-D. Pring, 56).
Questo connotato – ovviamente – non gli consente parzialità nella conduzione della seduta della Camera o negli annunzi istituzionali (le convocazioni dell’organo, la moderazione del dibattito, la dichiarazione dell’esito della votazione, eccetera). La parzialità sta invece nelle sue esternazioni e nella curvatura politica che egli dà alla programmazione dei lavori (W. McKay-C.W. Johnson, 43).
Un caso molto marcato di protagonismo politico dello Speaker fu, per esempio, quello di Newt Gingrich, il quale – eletto nel 1994 – fu la spina nel fianco della presidenza di Bill Clinton fino al 1998, nel tentativo democratico di riforma sanitaria, prima; e nello sviluppo del caso Lewinsky, poi.
Il suo successore (sempre repubblicano) – Dennis Hastert – sentì il bisogno nel 2003 di stilare una sorta di decalogo del buono Speaker, teso a sottolinearne, pur nell’inequivoca appartenenza politica, le necessarie doti di affidabilità e concretezza (W. McKay-C.W. Johnson, 45). La democratica Nancy Pelosi – la prima Speaker donna della storia americana, eletta due volte, a seguito delle elezioni di mezzo termine del 2006 e del 2018 (intervallate dalle presidenze dei repubblicani John Boehner e Paul Ryan, tra il 2010 e il 2018) – è ritenuta essersi sostanzialmente ispirata ai dettami di Hastert. Ella è nota, al riguardo, anche per essere intervenuta sul regolamento della Camera a proposito delle Questions of privilege, vale a dire le proposte dei deputati singoli, disciplinate dalla Rule IX.
Questo articolo del regolamento disciplina una serie di fattispecie che nel Parlamento italiano stanno a cavallo tra l’intervento sull’ordine dei lavori, il richiamo al regolamento e il fatto personale. Entro questo schema, nel Congresso degli USA si colloca anche la motion to vacate the Chair, vale a dire – in termini sintetici – una sorta di mozione di sfiducia allo Speaker, la cui prima applicazione risale al 1910, occasione in cui la mozione non fu approvata. Questo strumento è riconosciuto anche dal Jefferson’s Manual, prima tradizionale fonte interpretativa del Regolamento.
Secondo una modifica introdotta proprio sotto la presidenza Pelosi, questa mozione era ammissibile solo se sottoscritta da un intero gruppo parlamentare (il Democratic Caucus o la Republican Conference). Viceversa, nel gennaio 2023, in esito alle elezioni di mezzo termine del novembre 2022, l’aspirante Speaker, il deputato californiano Kevin McCarthy promise alla Republican Conference che – ove eletto – avrebbe ripristinato la regola per cui un solo membro della Camera poteva far mettere ai voti una motion to vacate. A tanto s’indusse perché ancora il 6 gennaio 2023 dopo tre giorni e 11 scrutini a vuoto non era ancora stato eletto. Lo fu il 7 gennaio 2023 al quindicesimo scrutinio, accettando di essere sostanzialmente esposto al pericolo che dalla sua stessa Conference potesse venire un attacco parlamentare.
Il 3 ottobre 2023, il deputato repubblicano della Florida, Matt Gaetz, ha dato corpo all’ombra che sin dall’inizio gravava sulla presidenza di McCarthy e depositato una motion – melius: resolution – to declare vacant the Office of the Speaker, la quale è stata approvata, per la prima volta nella storia del Congresso statunitense. Hanno votato a favore 8 repubblicani e tutti i 212 democratici.
Ne sono seguiti giorni di vita parlamentare assai convulsa, in cui la Republican Conference ha tentato di trovare un candidato da portare al voto dell’Assemblea. In un primo tempo, in una sorta di ballottaggio interno, il deputato della Louisiana, Steve Scalise, aveva prevalso su quello dell’Ohio, Jim Jordan. Senonchè, prima ancora che il plenum della Camera si riunisse, Scalise ha rinunziato, perché coloro che avevano votato per Jordan avevano pubblicamente dichiarato che non l’avrebbero sostenuto. Una nuova votazione interna al gruppo aveva quindi designato alla carica di Speaker lo stesso Jordan, il quale tuttavia, in tre scrutini validi in Assemblea, non ha riportato i voti necessari (avendo avuto contro tutti i democratici e circa 20 repubblicani) e quindi si è ritirato a sua volta. La vicenda si è ripetuta il 24 ottobre: la Conference aveva votato per designare il deputato del Minnesota, Tom Emmer, preferendolo a quello della Louisiana, Mike Johnson. Nondimeno, Emmer – informato che i sostenitori di Johnson non avrebbero votato per lui – si è ritirato. Ne è seguito – a questo punto – uno scrutinio in Assemblea, il 25 ottobre 2023, in cui Mike Johnson è stato infine eletto Speaker.