“Alba gu bràth!”: tre possibili sfide costituzionali e post-elettorali in Scozia

Il 6 maggio 2021 si sono tenute le elezioni locali nel Regno Unito.  Anche in Scozia si è votato e si è concretizzato un risultato che può generare diverse “sfide” costituzionali. Si potrebbe infatti essere di fronte a uno di quegli eventi costituzionali capaci di alterare la storia non solo del costituzionalismo britannico ma anche del costituzionalismo dell’UE.
La vittoria (vedi infra) dello Scottish National Party (SNP) può invero avere molteplici conseguenze: i) riportare sul tavolo la questione dell’indipendenza della Scozia e porre nuovamente il political constitutionalism britannico davanti alla necessità di addomesticare la secessione; ii) resuscitare il dibattito su una fast track per l’accesso all’Unione Europea da parte di un’eventuale Scozia indipendente, in relazione ai c.d. criteri di Copenaghen; iii) mettere alla prova il Regno Unito post-Brexit e la capacità della devolution max di reggere a nuove tensioni.
Innanzitutto, in questo breve commento è necessario partire dal perché queste situazioni possano generarsi, ossia è inevitabile dedicare qualche riga alla vittoria dello SNP e allo scenario partitico scozzese.
Per mettere a fuoco le coordinate teoriche di tale questione si deve quindi partire dal delineare brevemente il sistema elettorale e il panorama politico scozzesi.
Dal primo punto di vista è necessario rilevare come l’elezione del Parlamento scozzese non si basi sul tipico sistema maggioritario (first past the post) in vigore per le elezioni del Parlamento britannico, ma bensì su un sistema misto.
Il c.d. additional member system è un sistema elettorale che consente di attribuire una parte dei seggi con metodo proporzionale, correggendo così alcuni effetti iper-maggioritari che si possono generare in scenari politici multipartitici o soggetti a una notevole frammentazione.
Questo dato è da tenere in considerazione nella lettura delle elezioni scozzesi alla luce di quelle generali del 2019, che avevano sancito per il Parlamento di Westminster l’ottenimento dell’81% dei seggi contendibili in Scozia da parte dello SNP, col 45% delle preferenze.
In questa prospettiva, infatti, anche se lo SNP non ha ottenuto la maggioranza dei seggi al Parlamento scozzese, esso risulta ampiamente il partito più votato alle elezioni, con il 47.7% di voti nelle constituencies e il 40.3% nel voto regionale. Per alcuni commentatori l’indipendentismo, mancando (di un soffio) il raggiungimento della maggioranza dei seggi (64/129), avrebbe “perso” queste elezioni, in quanto la campagna elettorale si è polarizzata sulla questione del referendum.
Tuttavia, nella lettura dei risultati elettorali è opportuno svolgere alcune ulteriori considerazioni in relazione all’ambiente politico scozzese.
Se le aspirazioni indipendentiste dello SNP sono note ai più, occorre, infatti, analizzare la posizione rispetto al tema dell’indipendenza delle altre formazioni politiche che si sono presentate alle elezioni. Riguardo al cleavage unionisti-indipendentisti si possono evidenziare una posizione filo-indipendentista dei verdi e una tendenziale opposizione a nuovi referendum da parte degli altri partiti.
Gli Scottish Greens (8 seggi, 1.3% nel Constituency vote, 8.1% nel Regional vote), guidati dalla coppia Patrick Harvie&Lorna Slater, sono infatti un partito dichiaratamente filo-europeista, indipendentista e repubblicano.
Il fronte indipendentista ha dunque la maggioranza assoluta dei seggi al Parlamento scozzese.
Gli altri partiti sullo scacchiere scozzese, ossia gli Scottish Conservatives (31 seggi, 21.9% nel Constituency vote, 23.5% nel Regional vote), lo Scottish Labour (22 seggi, 21.6% nel Constituency vote, 17.9% nel Regional vote) e i Liberal-democratici (4 seggi, 6.9% nel Constituency vote, 5.1% nel Regional vote), sembrano invece essersi schierati contro la possibilità di tenere un nuovo referendum.
È quindi evidente in questo scenario che l’esito elettorale verrà usato dallo SNP per richiedere un nuovo referendum, come d’altronde era stato affermato durante tutta la campagna elettorale.
In questo senso, come rimarcato dai media, Nicola Sturgeon ha esplicitamente affermato che l’indire un nuovo referendum è una questione di when e non di if; mentre i conservatori hanno già evidenziato come non vi sia una maggioranza nelle constituencies dei partiti pro indipendenza e, inoltre, come il Parlamento scozzese non abbia la competenza per indire un referendum indipendentista.
Fatte queste premesse, la prima questione (i) da affrontare riguarda, quindi, la legittimità di un nuovo referendum, il principale tema caldo in discussione, poiché risulta essere già in agenda.
Da questo punto di vista, l’ammissibilità di un nuovo referendum è la prima sfida al political constitutionalism britannico.
Questa strada appare rimessa esclusivamente alla volontà politica del governo centrale in quanto non sussiste una base costituzionale che obblighi a tenere un nuovo referendum né un fondamento nella devolution max per una sua indizione unilaterale da parte del Parlamento scozzese.
Rispetto a quest’ultimo aspetto, ossia la legittimità di una richiesta da parte del Parlamento scozzese, si può osservare, come rilevato da Tierney, che anche solo per l’approvazione del referendum da parte dell’assemblea servirebbero nell’ordine: l’attestazione della legalità dell’atto, con il placet del Lord Advocate; la sua conferma da parte del Presidente del Parlamento scozzese; infine, la non contestazione dell’atto a livello statale sia in sede istituzionale che giudiziale.
In questo senso, l’interpretazione più accreditata è che un referendum debba necessariamente partire da un accordo politico che possa superare i limiti competenziali del Parlamento scozzese: insomma, un nuovo accordo di Edimburgo è necessario per poter avere una secessione negoziata.
Il caso scozzese è, tuttavia, diverso da quello catalano in quanto non esiste in UK la formalizzazione di quel limite dell’indivisibilità dello Stato (ex art. 2 Costituzione spagnola) che, sebbene superabile con riforma costituzionale (v. Tribunale Costituzionale spagnolo, sentenza n. 42/2014), appare “politicamente” un argine insormontabile per qualsiasi referendum secessionista nell’ordinamento spagnolo: nel Regno Unito l’accordo politico fra istituzioni centrali e scozzesi appare la sola golden rule a cui riferirsi.
Rispetto a questo accordo politico occorre brevemente dare conto della distanza fra le parti: se per i conservatori quello del 2014 era un referendum per una generazione, per i nazionalisti scozzesi l’uscita dall’Unione Europea avrebbe alterato le carte in tavola, essendo la permanenza nell’UE, e la sua messa in discussione in caso di indipendenza, una delle ragioni che portarono alla vittoria degli unionisti nel referendum del 2014.  D’altronde fin dalla Brexit la dottrina aveva parlato della possibilità di una doppia secessione.
Il riferimento alla Brexit consente di ricollegarsi al secondo tema di analisi, ossia la possibilità per una Scozia indipendente di rientrare nell’Unione Europea (ii).
In questo senso la vittoria elettorale dello SNP può porre una sfida anche per un’altra unione, quella europea, che ad oggi si è sempre posta contro i tentativi di secessione dai proprio stati membri, costruendo un ulteriore argine alla viabilità di quegli indipendentismi che ambissero a un rientro in Unione Europea dei propri nuovi stati indipendenti.
Anzi, come rilevato dalla dottrina, l’Unione Europea è stato uno dei principali artefici del fallimento del tentativo di secessione unilaterale della Catalogna.
Tuttavia, la sfida che si pone all’Unione Europea non è in questo caso difensiva ma propulsiva: un’eventuale richiesta di accesso all’UE di una Scozia indipendente potrebbe trovare un percorso facilitato nell’ambito dell’art. 49 TUE?
Sarà capace l’UE di “keep a light on” per la Scozia come richiesto dai nazionalisti scozzesi dopo lo scioccante (per gli scozzesi) risultato del referendum sulla Brexit?
In questo contesto, molto potrebbe dipendere dalla Scozia, dalla sua capacità di mantenere l’acquis communautaire nell’esercizio della propria home rule e da quella di strutturandosi come (eventuale) stato indipendente in conformità coi c.d. criteri di Copenaghen; al contempo, però, molto dipenderà anche dalla capacità dell’Unione di costruire una dottrina – come fu al contrario la dottrina Barroso in tema di secessione unilaterale da uno stato membro – che possa favorire una fast track per il possibile reingresso della Scozia nell’Unione.
Infine, un’ultima tematica (iii), connessa alle precedenti, riguarda l’assetto territoriale del Regno Unito. La questione si può introdurre con un’evocativa espressione di Torre:  il Regno è ancora Unito?
Da questo punto di vista, la stessa devolution max, contropartita ed effetto del referendum secessionista del 2014, potrebbe non bastare più, anche nel caso di fallimento di un nuovo referendum indipendentista scozzese o nel caso della sua mancata concessione.
Senza in questa sede volersi soffermare sul fenomeno nordirlandese, possiamo osservare lo sviluppo e la nascita di una sorta di federalizing process (asimmetrico) nel Regno Unito, con riferimento alla Scozia.
In questo senso se è vero, secondo Tierney, che “federalism has very rarely been taken seriously as a solution to the lopsidedness produced by devolution”, lo stesso autore evidenzia che, dopo la Brexit e la spaccatura del voto nel referendum fra le Home Nations, nuove evoluzioni potrebbero emergere in tema di power-sharing.
Pertanto, il costituzionalismo britannico potrebbe essere trasformato anche dal punto di vista territoriale, costruendo un ponte fra le four Nations e permettendo a quelle periferiche ampie (e ulteriori) asimmetrie, secondo il modello del federalismo asimmetrico.
Quest’ultima prospettiva potrebbe essere una sfida cruciale se la Scozia non dovesse lasciare il Regno Unito. In questo scenario, l’incremento delle forze autonomiste e indipendentiste in Scozia, come sancito dall’ultima campagna elettorale, potrebbe rendere necessaria un’ulteriore evoluzione verso nuove forme di federalismo, necessariamente asimmetrico.
In conclusione, il risultato elettorale scozzese e la vittoria degli indipendentisti contengono tre sfide di carattere costituzionale, due rivolte al costituzionalismo britannico e una a quello dell’UE.
La prima e più immediata questione è quella di gestire la richiesta di un nuovo referendum in seno al costituzionalismo politico britannico, ma le altre due non sono secondarie o alternative. Il costituzionalismo dell’Unione Europea potrebbe dover predisporre una soluzione per un possibile re-ingresso della Scozia in UE come nuovo stato membro, mentre l’UK dovrà, sia nel caso di referendum che nel caso di una sua non concessione, predisporre nuove soluzioni territoriali per gestire il crescente nazionalismo scozzese.