Ancora sul seguito della sentenza n. 238/2014: una recente pronuncia del Tribunale di Sulmona
Ormai più di tre anni fa, con la nota sentenza n. 238/2014, la Corte costituzionale ha «sbarrato le porte» (A. Ruggeri, 2014) all’ingresso nell’ordinamento italiano della norma consuetudinaria sull’immunità degli Stati stranieri dalla giurisdizione civile di un altro Stato, così come interpretata dalla Corte internazionale di giustizia (CIG) nel suo arresto del 3 febbraio 2012 [Jurisdictional Immunities of the State (Germany v. Italy: Greece Intervening)], in base al quale il diniego di esercizio della giurisdizione avrebbe dovuto trovare applicazione anche per atti di organi dello Stato straniero che consistano in crimini di guerra o contro l’umanità.
In particolare, la Corte costituzionale ha “attivato” i cd. controlimiti, affermando la prevalenza del diritto soggettivo a ottenere tutela giurisdizionale ex art. 24 Cost. rispetto al principio consuetudinario dell’immunità statale e in tal modo ha annullato gli effetti della sentenza del giudice internazionale, riaprendo l’annosa vicenda dei risarcimenti di alcune categorie di vittime italiane del nazionalsocialismo, tra le quali figurano non soltanto i c.d. internati militari italiani (I.M.I.), ma anche i martiri delle stragi perpetrate dai nazifascisti tra il 1943 e il 1945 sul territorio italiano, tutti rimasti esclusi dall’ambito di applicazione degli accordi riparativi del dopoguerra.
Nel conformarsi al dispositivo di tale sentenza, le sezioni civili di diversi tribunali ordinari hanno condannato la Germania al risarcimento dei danni in favore delle vittime di numerosi eccidi e deportazioni. Ad oggi, tuttavia, la tutela giurisdizionale, che pure la Corte costituzionale con la sua sentenza avrebbe inteso assicurare, rimane fittizia, atteso che nessun giudice si è spinto a negare l’immunità della Repubblica federale anche dalla giurisdizione esecutiva. La Corte costituzionale si è, infatti, espressa circa la compatibilità del principio immunitario con riferimento all’esercizio della giurisdizione cognitiva, ma nulla ha detto circa la conformità a Costituzione di tale principio nel caso di procedure esecutive su beni dello Stato straniero.
Ad aggiungersi all’elenco di sentenze di accertamento e condanna pronunciate nel corso degli ultimi tre anni, c’è anche la recente ordinanza del Tribunale di Sulmona, datata 2 novembre 2017 [R.G. 20/2015, dott.ssa Bilò], con la quale il Giudice abruzzese ha accertato e dichiarato la responsabilità aquiliana della Repubblica federale tedesca, quale successore del Terzo Reich, per l’eccidio di 128 persone, avvenuto il 21 novembre 1943 a Pietransieri, località oggi sita nella frazione del Comune di Roccaraso (AQ). Il Tribunale ha perciò condannato la Germania (che, dopo il 2014, ha scelto di non costituirsi più in giudizio dinanzi ai nostri tribunali) al risarcimento del danno non patrimoniale patito dai familiari delle vittime e dall’ente pubblico territoriale che tutela gli interessi della comunità locale per importi che sfiorano complessivamente i 7 milioni di euro.
Per lo studioso di diritto pubblico la pronuncia in esame, benché analoga a sentenze di altri tribunali ordinari (cfr. inter alia Tribunale di Ascoli Piceno, ord. n. 112/2016; Tribunale di Firenze, sent. n. 2468/2015; Tribunale di Piacenza, sent. n. 1462/2015; Tribunale di Roma, sent n. 11069/2015), oltreché del Giudice di legittimità (Cass Sez. Un., sent. n. 762/2017; Cass. Sez. Un., sent. n. 15812/2016; Cass. Pen., Sez. I, sent. n. 43696/2015; Cass. Sez. Un., sent. n. 21946/2015), riveste un qualche interesse per un duplice ordine di ragioni. Da un punto di vista più generale, essa conferma l’esistenza di un “diritto vivente” successivo alla sent. n. 238/2014, con il quale giudici di merito e Giudice di legittimità hanno cercato di riconciliare il diritto internazionale con il diritto costituzionale dopo lo “strappo” provocato dall’attivazione dei controlimiti da parte della Corte costituzionale. Più nello specifico, invece, l’ordinanza del Tribunale di Sulmona risolve una micro-questione, sollevata dalla dottrina (E. Lamarque, 2015), ossia in che misura il giudice di merito sia ancora chiamato a dare applicazione a una disposizione di una convenzione internazionale formalmente non toccata dalla declaratoria di incostituzionalità, ma che, analogamente a quelle invece già caducate, avrebbe sostanzialmente prodotto il medesimo effetto lesivo del diritto soggettivo.
Per quanto riguarda il primo profilo, il Tribunale di Sulmona riprende quella giurisprudenza di legittimità in base alla quale il dispositivo di non fondatezza “nei sensi di cui in motivazione” delle sentenze della Corte costituzionale consentirebbe ai giudici di merito di offrire “terze interpretazioni” circa il rapporto tra immunità statale e diritto di difesa, senza obbligo di seguire quella precedentemente avallata dal Giudice delle leggi nella sent. n. 238/2014. Tale margine di libertà interpretativa è stato in effetti utilizzato dai giudici di merito per riannodare i fili che legano il diritto costituzionale al diritto internazionale generale, divelti dal dualismo ottocentesco di cui era impregnata la sentenza della Corte costituzionale (sul punto sia consentito rinviare a G. Boggero, 2016). A tal proposito, infatti, i giudici di merito, ampiamente fiancheggiati dal Giudice di legittimità, hanno individuato nel diritto di difesa delle vittime un principio riconosciuto non soltanto nell’ordinamento interno, bensì anche in quello internazionale, in grado come tale di restringere la portata applicativa dell’immunità statale in caso di violazione di norme di ius cogens. Tale “diritto vivente” ripropone sostanzialmente le conclusioni raggiunte dai giudici italiani a partire dal 2004 con la cd. giurisprudenza Ferrini, interrottasi bruscamente con la pronuncia della CIG nel 2012 e tornata ora in auge per promuovere quell’evoluzione della consuetudine internazionale che la stessa Corte costituzionale ha dichiarato di auspicare (Punto 3.3 del Considerato in Diritto) e che il Tribunale di Sulmona, non senza un eccesso di panglossiano ottimismo, ritiene persino compiuta, atteso che, a suo dire, «a cinque anni dalla pronuncia della Corte de L’Aja, può forse dubitarsi dell’attuale persistenza, nell’ordinamento internazionale, di una consuetudine di siffatta ampiezza».
Con riguardo al secondo profilo, vale la pena sottolineare il passaggio in cui il Tribunale di Sulmona ha risolto la questione dell’applicabilità dell’art. 39, co. 1 della Convenzione europea per la risoluzione pacifica delle controversie del 1957, il quale stabilisce che «ciascuna Alta Parte Contraente si conformerà al decreto della Corte internazionale di Giustizia o alla sentenza del tribunale in ogni controversia nella quale è parte». Tale disposizione, contenuta nella legge 23 marzo 1958, n. 411 è del tutto analoga a quella contenuta nelle leggi di autorizzazione alla ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati stranieri e dei loro beni del 2004 e della Carta delle Nazioni Unite del 1945. A differenza di queste ultime, tuttavia, la disposizione in esame non è stata caducata da una declaratoria di incostituzionalità, sicché si è posto il problema della sua perdurante efficacia. A tal proposito, già il Tribunale di Firenze aveva omesso di sollevare q.l.c. con riferimento a tale disposizione, ritenendo che il «mancato recepimento automatico [della consuetudine] ostacola di per sé anche l’efficacia delle altre disposizioni che impongono all’Italia ed ai suoi giudici di adeguarsi a tutte le decisioni della CIG in violazione del contro-limite opposto dalla Corte». A ben vedere, la Corte costituzionale non aveva in realtà pronunciato l’illegittimità costituzionale consequenziale ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87/1953 di tutte le altre disposizioni legislative la cui illegittimità fosse derivata come conseguenza della decisione adottata, sicché sarebbe piuttosto stato onere del giudice ordinario, nell’impossibilità di offrire un’interpretazione costituzionalmente conforme, sollevare nuovamente q.l.c con riferimento alla disposizione in esame, anziché utilizzare l’interpretazione adeguatrice per dichiarare esso stesso, in maniera alquanto impropria, l’illegittimità costituzionale consequenziale. In questa sede, il Tribunale di Sulmona sceglie, invece, di aderire all’impostazione seguita dal giudice fiorentino, dal momento che, a suo dire, verrebbe altrimenti riproposta alla Corte costituzionale la medesima questione già risolta tre anni fa. Nella di poco successiva ordinanza n. 30/2015 il Giudice delle leggi aveva, invece, rivendicato l’ineliminabilità del controllo accentrato sulla compatibilità di norme internazionali con i principi fondamentali e con i diritti inviolabili della persona.