Il mantenimento di contenuti diffamatori negli archivi online dei quotidiani e la pretesa alla conservazione dell’identità digitale in una recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

(Corte Edu, IV Sez., sentenza 16 luglio 2013, caso Węgrzynowski e Smolczewski contro Polonia, Ric. N. 33846/2007)

 

1. Premessa

Cosa accade se la nostra identità viene determinata in modo del tutto svincolato dalla nostra volontà? E se la nostra proiezione esterna, costruita nel cyberspazio grazie all’automatica interazione semantica di dati immessi in rete da altri, delinea un immagine semplicemente fasulla, se non addirittura lesiva delle più elementari prerogative personali, fondandosi su avvenimenti mai esistiti, su circostanze fantasiose o su falsi scoops giornalistici, quali sono gli strumenti di tutela che l’ordinamento può accordarci? Esiste un diritto alla conservazione dell’identità personale in rete?
Un’ulteriore premessa: non ci accingiamo a parlare di diritto all’oblio. Infatti, una cosa è pretendere che la collettività dimentichi circostanze personali passate, eventi veri ma ormai seppelliti dall’inesorabile marcia del tempo; altro è esigere che la propria identità non sia plasmata da circostanze ab origine false e diffamatorie.
Sono questi gli interrogativi che due avvocati polacchi, Szymon Węgrzynowski e Tadeusz Smolczewski pongono alla Corte Edu in seguito ad una spiacevole vicenda che li aveva coinvolti, un caso esemplificativo al punto di acquisire un massimo rilievo sociale, in relazione al quale il diritto deve cercare (rapidamente) risposte convincenti.

Read more