Recensione di “Personale, uguale, libero e segreto. Il diritto di voto dell’ordinamento costituzionale italiano”, di Marco Armanno (Editoriale Scientifica, 2018)

Il libro di Marco Armanno, Personale, uguale, libero e segreto. Il diritto di voto dell’ordinamento costituzionale italiano (Editoriale scientifica, 2018) affronta un tema di grande impegno teorico e di significativa attualità e, complessivamente, poco indagato (come si ricorda a pp. 78-79).
La ricerca si struttura in sette capitoli. Ricostruiti i nodi teorici concernenti il «diritto di voto» in connessione con la rappresentanza politica (cap. I), l’A. dedica due capitoli alla ricostruzione del diritto di voto in epoca statutaria (con una apprezzabile proiezione sul «dibattito attuale») e nella Costituzione repubblicana (anche al di là dello Stato, nelle fonti sovranazionali). Si susseguono poi tre capitoli – vero e proprio “cuore” del lavoro – dedicati rispettivamente alla personalità-libertà, all’uguaglianza ed alla segretezza del voto. La trattazione prosegue poi con un approfondimento sulle riforme elettorali del biennio 2015-2017, per concludersi con una riflessione di ampio respiro sui fondamenti costituzionali della disciplina elettorale, sul ruolo dei partiti politici e rapporto fra evoluzione legislativa, giurisprudenza costituzionale e forma di governo.
Il libro è davvero ben scritto, chiaro ed equilibrato. Convince l’impostazione sistematica che prende le mosse dalle quattro qualificazioni del “voto” contenute nell’art. 48 Cost. L’apparato di note, essenziale e ben “calibrato”, costituisce un efficace supporto al lettore.
Fra gli aspetti più interessanti del lavoro, a mio giudizio, è da richiamare lo studio efficace che l’A. compie del passaggio fra la sentenza n. 1 del 2014 e la sentenza n. 35 del 2017. In ogni argomento trattato, viene evidenziata la continuità o la discontinuità della giurisprudenza della Corte. Emerge così la centralità del diritto giurisprudenziale nella disciplina costituzionale del «voto», in un quadro di scarsissima attenzione da parte della politica e di pochi studi, fino al 2014, della dottrina. Già dall’Introduzione, infatti, – quasi come si trattasse di thriller “costituzionale” – Armanno evidenzia come, nel tornante di un triennio, l’orientamento della Corte costituzionale abbia subito una percepibile modificazione. Con la sentenza n. 1 del 2014 – scrive l’A. – la Corte, in maniera non repentina ma dando seguito ad una serie di richiami (nella sordità del legislatore nell’ascoltare i richiami della Corte stessa e – aggiungerei – i severi appelli del Presidente della Repubblica), asseconda uno spostamento del «baricentro della valutazione dei sistemi elettorali dalla sfera della forma di governo a quella della forma di stato» (p. 131).
Ciò ha determinato una “rilettura” del «diritto di voto» in termini marcatamente individualistici: è la «situazione soggettiva dell’elettore» che diviene il fulcro della riflessione sull’art. 48 Cost. Si configura l’esistenza di diritto dell’elettore ad esprimere il proprio voto liberato dall’intermediazione partitica, in forme le più immediate e dirette: il sistema elettorale, pertanto, dovrebbe riuscire ad esprimere questa forza liberante. Il “voto”, in questa prospettiva, deve produrre effetti chiari e diretti, nonché istaurare un legame fra elettore ed eletto, attraverso appositi congegni, con effetti indiretti anche sull’art. 67 Cost. (come nota opportunamente l’A. in diverse parti del lavoro). La giurisprudenza costituzionale, così, si è interessata di questioni a lungo neglette, come le liste bloccate, il quantum del premio di maggioranza, la pluralità delle candidature contestuali, la “geografia” dei collegi elettorali (tema assai interessante, quest’ultimo: cfr. p. 219 ss.), indicando linee interpretative chiare sul piano dei principi, ma assai difficili da rispettare in concreto.
Valerio Onida, nel commentare la sentenza, l’ha definita, polemicamente, come «omaggio al diffuso sentimento anti-partiti». Anche l’A. utilizza parole molto chiare, a tal proposito: «se la rappresentanza politica è ridotta a un rapporto “personale” tra elettore ed eletto che opera tanto meglio quanto più presenta carattere diretto ed immediato, la funzione di intermediazione dei partiti diventa superflua o, addirittura, controproducente» (p. 182). Armanno si esercita utilmente nel portare alle sue conseguenze più compiute quella giurisprudenza, dimostrando assai efficacemente come gli esiti cui si perviene siano tutt’altro che una compiuta attuazione dell’art. 48 Cost., ma uno scenario di dubbia compatibilità con il quadro costituzionale sotto plurimi aspetti (dalla teorica ammissibilità del sistema uninominale o del sistema proporzionale puro con voto di preferenza e collegio nazionale, alla contrazione oltre misura del ruolo dei partiti politici, ecc.).
La successiva sentenza n. 35 del 2017,  invece, pare ristabilire la fisiologia del rapporto fra artt. 48 e 49 Cost., offrendo una assai più convincente lettura “in sistema” delle due disposizioni: il diritto di voto mantiene sì la propria fisionomia di diritto individuale ma, almeno sul piano dei principi, la Corte costituzionale torna a valorizzare il tema dell’intermediazione partitica. Se, in ogni caso, ciò non può condurre all’esito di annullare le opzioni di scelta dell’elettore, ponendo quest’ultimo davanti ad un aut-aut (ad es., tramite lunghe liste bloccate) in cui non è possibile né ottenere informazioni attendibili sui candidati né prevedere gli esiti del proprio voto, non per questo vi è contrasto con il riconoscimento di un ruolo forte dei partiti politici: al contrario, dal lavoro emerge come il ruolo costituzionalmente rilevante affidato ai partiti politici legittimi anche una qualche forma (ben ponderata!) di disciplina del modo in cui essi definiscono le candidature alle cariche pubbliche elettive. In tal senso – ma sono forse condizionato dalle mie ricerche sulle elezioni primarie – ritengo ammissibile (a differenza –mi pare – di quanto sostiene Armanno) che siano disciplinate per legge modalità di selezione delle candidature (dovendosi ragionare molto sul grado di obbligatorietà di tali modalità e sui loro effetti).
Ma cosa è accaduto, nel frattempo, per legittimare quella che a me sembra davvero una “svolta” della giurisprudenza costituzionale? L’A. pare sposare una linea interpretativa del «carattere eccezionale» della sentenza n. 1 del 2014, quasi si trattasse della necessità di dare un segnale vigoroso, sul piano istituzionale, per sollecitare, dopo un decennio dall’entrata in vigore e ben tre applicazioni problematiche, il superamento dell’odioso Porcellum. La sentenza n. 35 del 2017, prendendo atto dello sforzo legislativo compiuto, sarebbe rientrata quasi dentro una “fisiologia”.
Questo aspetto pare interessante, alla luce della complessiva trattazione del tema. Probabilmente sarà studiato nell’ambito della storia costituzionale, fra qualche lustro, con una maggiore capacità di prospettiva, sebbene sia nota la difficoltà di ricostruire sul piano storico il comportamento degli organi giurisdizionali, in assenza di documentazione accessibile. Soprattutto, andrà considerata la tenuta pro futuro della “svolta”, tutt’altro che scontata, sia sul piano della coerenza della giurisprudenza costituzionale sia su quello del “recepimento” sul versante politico e istituzionale. Bisognerà valutare, ad esempio, il “peso” che potrebbe aver rivestito l’annunciato (nel 2017) exploit di certe forze politiche che del superamento dell’intermediazione partitica hanno fatto una propria bandiera, rispetto alle quali probabilmente è stato necessario lanciare un segnale di tenore diverso.
Venendo ai temi che l’indagine sollecita, ma che non sono oggetto di specifico approfondimento, ne segnalerei due, quali possibili piste per proseguire la ricerca.
Il primo è quello del rapporto fra art. 48 Cost. e sistema delle autonomie territoriali. L’A. affronta il tema, domandandosi se esista una «disciplina minima e comune, invariabile per i diversi livelli territoriali e idonea, come tale, a condizionare tutti i sistemi elettorali, indipendentemente dal livello a cui essi siano adottati» (p. 115), sebbene il tema non sia poi esaminato funditus. Declinare, con attenzione, come l’art. 48 Cost. si applichi a livello regionale, in sistema con gli altri “vincoli” discendenti dal Titolo V Cost., è un tema di grande interesse. È innegabile, infatti, che talune soluzioni più discusse a livello nazionale abbiano avuto, come incubatore, alcune leggi elettorali regionali (è noto, ad es., il legame fra il Porcellum e la legislazione elettorale toscana). Ed  uno dei dibattiti sorti a seguito della sentenza n. 1 del 2014, riguardava proprio l’effetto della pronuncia sulle leggi elettorali regionali.
Un secondo tema che indicherei, invece, è la questione della possibile efficacia dell’art. 48 Cost. (o – meglio –  dei principi che da esso possono trarsi) al di là delle «elezioni» politiche o amministrative, per espandersi dentro realtà privatistiche che, però, svolgano funzioni di rilievo costituzionale. Il pensiero va, in primo luogo, ai partiti politici (ma anche, ad es., ai sindacati dei lavoratori). Ribaltando il paradigma proposto dall’A. della lettura dell’art. 48 alla luce dell’art. 49 Cost., è ipotizzabile una rilettura dell’art. 49 Cost. alla luce dell’art. 48 Cost.? È immaginabile, cioè, che l’art. 48 Cost. proietti, nella vita interna ai partiti politici, quei principi di personalità, uguaglianza, libertà e segretezza del voto? Si tratta di questioni che vengono sempre invocati allorché i partiti svolgano forme ampie di consultazione degli iscritti o elettori proprio al fine di designare i propri candidati (ad es., tramite primarie o congressi). Si tratta di una prospettiva assai affascinante, che incide sulla definizione dell’ambito applicativo dell’art. 48 Cost.
La monografia, da ultimo, è una lettura che si suggerisce anche per affrontare con maggiore consapevolezza i prossimi passaggi giurisdizionali (escluderei, per il momento almeno, passaggi parlamentari…) che, molto probabilmente, riguarderanno la legge elettorale n. 165 del 2017 (c.d. Rosatellum). Proseguono, in diversi tribunali italiani, le azioni di accertamento della lesione del diritto di voto promosse da elettori al fine di accedere al sindacato incidentale del giudice costituzionale: il libro offre un interessante approfondimento delle questioni più rilevanti, anche sul piano processuale (pp. 132 ss.). L’A. si incammina con sicurezza e coraggio sul terreno della valutazione del sistema elettorale vigente, mettendone in evidenza gli aspetti scritti (quasi) sotto dettatura della giurisprudenza costituzionale, e quelli che, invece, costituiscono una più genuina espressione del sistema politico-partitico che quella legge ha concorso ad approvare (pp. 255 ss.).
Non solo, quindi, una ricerca su uno dei temi classici e fondamentali del diritto costituzionale, bensì pure un contributo rilevante su questioni di straordinaria attualità. A me pare che questa capacità di ricucire la dimensione teorico-generale e le urgenze del dibattito presente, sia un merito importante di questo libro da sottolineare.