Il diritto europeo della concorrenza nella crisi dello stato di diritto

Con sentenza del 9 febbraio 2022 (causa T-791/19), il Tribunale dell’Unione europea ha annullato la decisione della Commissione del 12 agosto 2019 (caso AT.40459) che rigettava una denuncia di violazione dell’art. 102 TFUE da parte di una società polacca operante nel mercato dei servizi di trasporto ferroviario di merci, sull’assunto che l’autorità garante della concorrenza polacca fosse in una migliore posizione per esaminare il caso.
La decisione del giudice europeo risulta di particolare interesse in quanto si interroga circa la possibilità di applicare analogicamente al diritto della concorrenza eurounitario la giurisprudenza del 2018, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario) (causa C-216/18 PPU), relativa alla cooperazione giudiziaria in materia penale nel caso di rischi seri e reali di violazione del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, per fondare il principio della rilevanza di carenze dello Stato di diritto in uno Stato membro nella determinazione di quale autorità garante della concorrenza (tra la Commissione e le autorità nazionali garanti della concorrenza, di seguito “ANC”) si trovi nella posizione migliore per esaminare un caso in materia di diritto della concorrenza eurounitario.
Giova premettere una breve esposizione dei fatti di causa. Nel novembre 2016, la Sped-Pro S.A., società polacca fornitrice di servizi di spedizione, denuncia alla Commissione europea una violazione dell’art. 102 TFUE da parte della società PKP Cargo S.A., controllata dallo Stato polacco e operante nel settore dei servizi di trasporto ferroviario di merci, di cui la prima si avvale per lo svolgimento della propria attività. Come anticipato, la Commissione rigetta la denuncia della società ai sensi dell’art. 7, paragrafo 2, del Reg. n. 773/2004, motivando una migliore posizione dell’ANC polacca a trattare il caso.
A fronte del rigetto, il 15 novembre 2019 la società polacca (d’ora innanzi, “la ricorrente”) impugna la decisione dinanzi al Tribunale dell’Unione (anche “il Tribunale”) ai sensi dell’art. 263 TFUE deducendo tre motivi, dei quali, tuttavia, ai fini del presente contributo vale la pena soffermarsi sul secondo, consistente nella violazione da parte della Commissione del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva di cui all’art. 2 TUE, in combinato disposto con l’art. 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea .
In altre parole, secondo la ricorrente, la Commissione, di fronte all’evidenza di serie e documentate carenze dello Stato di diritto in Polonia, non avrebbe dovuto rigettare la denuncia ritenendo l’ANC polacca in una posizione migliore ad esaminare il caso, ma avrebbe dovuto procedere essa stessa ad un suo esame. Tali carenze consisterebbero in particolare nella mancanza di indipendenza dell’ANC polacca e degli organi giurisdizionali nazionali (punti 71 e 72). Nel rigettare la denuncia, inoltre, il Tribunale non avrebbe neppure motivato adeguatamente l’omesso esame degli elementi forniti dalla società.
D’altro canto, la Commissione controricorrente, sostenuta in giudizio dalla Repubblica di Polonia, ribadisce quanto argomentato nella decisione di rigetto e cioè che l’ANC polacca garante della concorrenza costituirebbe un organismo particolarmente appropriato per considerare le questioni sollevate nel reclamo (per la conoscenza approfondita del mercato di riferimento e per aver già deciso casi aventi ad oggetto comportamenti (valutati poi come) anticoncorrenziali della società PKP Cargo). Inoltre, quanto ai rilievi sollevati circa il presunto rischio di violazione dello Stato di diritto in Polonia, la Commissione ritiene che la ricorrente non abbia dimostrato l’esistenza di un rischio reale per il suo diritto fondamentale a un giudice indipendente e ad un processo equo e che, quindi, le sue argomentazioni al riguardo sarebbero solo presunzioni infondate (punto 25 della decisione della Commissione).
Per comprendere la decisione del Tribunale è necessario operare una seppur breve e preliminare contestualizzazione storica che dia conto dell’attuale crisi dello Stato di diritto in Polonia. A partire dal 2015, infatti, con l’insediamento al governo del partito di estrema destra Diritto e Giustizia, si è assistito ad una progressiva erosione del principio dello Stato di diritto in diversi ambiti del sistema statuale polacco, tra cui rileva quello giudiziario. In particolare, a causa di una crescente subordinazione del potere giudiziario all’esecutivo e al legislativo, la magistratura polacca risulta essere sempre meno libera ed indipendente.
La questione principale affrontata dal Tribunale concerne l’applicabilità in via analogica al caso di specie della sentenza del 25 giugno 2018, Minister for Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario) in materia di mandato di arresto europeo e di cooperazione giudiziaria in materia penale. In tale sentenza, la Corte di Giustizia dell’Unione ha enunciato il principio secondo il quale, nel caso di motivi seri e comprovati che dimostrino l’esistenza di un rischio per il condannato di una violazione del proprio diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva nello Stato che ha emesso il mandato d’arresto, l’autorità dell’esecuzione è tenuta a “verificare in modo concreto e preciso” (punto 79) l’esistenza del rischio suddetto e, se del caso, a rifiutare l’esecuzione del mandato.
In particolare, sulla base delle risultanze probatorie dedotte dall’interessato, l’autorità dell’esecuzione dovrebbe effettuare una verifica in due fasi: una prima, di carattere generale, volta a verificare la mancanza di indipendenza del sistema giudiziario nello Stato membro emittente e, dunque, l’esistenza di un rischio reale di violazione del diritto fondamentale ad una tutela giurisdizionale effettiva; una seconda, in concreto, volta ad accertare la possibilità che il condannato corra un siffatto rischio se il mandato di arresto fosse eseguito.
Sul punto, il Tribunale, pur riconoscendo le diversità tra le due fattispecie, ritiene di potersi applicare analogicamente la giurisprudenza sopra citata per i seguenti tre motivi.
1) Alla luce dei principi di fiducia reciproca e leale cooperazione tra gli Stati membri dell’Unione e i loro organi giurisdizionali che riconoscono e rispettano un sostrato di valori fondanti comuni, tra cui lo Stato di diritto (punto 84 e sentenza del 24 giugno 2019, Commissione/Polonia, C-619/18, punti 42 3 43). Tali principi opererebbero infatti, anche con riferimento alla rete di rapporti tra la Commissione e le ANC e tra queste ultimi e i giudizi nazionali, nell’applicazione della normativa euro unitaria sulla concorrenza (punti 84-88).
2) In base al dovere della Commissione – che pure è legittimata a respingere una denuncia per mancanza di interesse dell’Unione quando le conseguenze delle infrazioni denunciate esplichino i propri effetti limitatamente al territorio di uno Stato membro e siano state già adite al riguardo le autorità amministrative o giudiziarie competenti di detto Stato Membro – di verificare che i diritti del denunciante ricevano una adeguata e soddisfacente tutela da parte delle autorità nazionali, dovendosi ricomprendere tra queste anche le autorità nazionali garanti della concorrenza (punti 89-90).
3) Per la rilevanza dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali anche in materia di diritto della concorrenza e, cioè, ai fini di un’efficace applicazione degli art. 101 e 102 TFUE da parte delle ANC e dei giudici interni (punto 91).

Sulla base di questi rilievi, dunque, il Tribunale arriva ad enucleare il principio di diritto generale secondo cui, l’emergere di carenze sistemiche e generalizzate legate allo Stato di diritto in uno Stato membro dell’Unione è rilevante per determinare quale autorità garante della concorrenza (tra la Commissione europea e la ANC) si trovi nella posizione migliore per esaminare un caso antitrust. In particolare, qualora in una denuncia alla Commissione di violazione degli art. 101 o 102 TFUE, si dimostri che se la denuncia venisse rigettata il soggetto correrebbe il rischio reale di vedersi negato il proprio diritto ad un processo equo nello Stato membro interessato dalle violazioni, la Commissione è tenuta, previo espletamento di una verifica coerente con i principi affermati nella giurisprudenza Minister for Justice, ad esaminare e decidere il caso che le è stato sottoposto.
Due considerazioni possono essere fatte in relazione all’impatto del presente giudizio. La prima riguarda la circostanza che, a ben vedere, la giurisprudenza Minister for Justice viene richiamata in via analogica dalla stessa Commissione nella sua decisione di rigetto. Solo che quest’ultima, a seguito dell’analisi condotta sulla base degli elementi forniti dalla denunciante, non ritiene sussistere i presupposti per una sua applicazione (oltre a considerare che l’ANC polacca si trovi in una posizione migliore per esaminare il caso, la Commissione non ritiene, cioè, che il denunciante nel caso di pronuncia di rigetto corra un rischio reale di vedere leso il proprio diritto ad un equo processo). Ciò denota, quindi e comunque, una sensibilità – o una non indifferenza – della Commissione al tema in commento.
La seconda, invece, attiene al possibile impatto futuro di questo giudizio sulla ripartizione di competenze tra la Commissione e le ANC che formano la cosiddetta Rete europea della concorrenza (o “REC”). In altre parole, vi è da chiedersi se il principio sancito dal Tribunale potrà in qualche misura incidere sul carico di ricorsi che la Commissione è chiamata a decidere. Anche se questa eventualità sembra piuttosto dubbia, ad ogni modo, tale principio sembra risultare coerente con quelli di collaborazione e leale cooperazione che informano il rapporto tra la Commissione e le ANC e tra queste e i giudici nazionali nell’applicazione degli art. 101 e 102 TFUE, come stabilito dai considerando 11 e 21 e dagli artt. 11 e 15 del Reg. n. 1/2003. Nel frattempo, si resta in attesa di un possibile ricorso alla Corte di Giustizia contro la decisione.