Obbligo vaccinale e sistema delle fonti: brevi note a partire dalla sentenza n. 25 del 2023

1. Con la sentenza n. 25 del 2023 (rel. N. Zanon) la Corte costituzionale è tornata a pronunciarsi sull’obbligo vaccinale. L’occasione è stata quella della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale militare di Napoli in un giudizio di accertamento sulla responsabilità penale di un Tenente Colonnello dell’Aeronautica militare, imputato per essersi sottratto all’obbligo di sottoporsi ai trattamenti vaccinali prescritti per una missione all’estero.
Siffatto obbligo è riconducibile all’art. 206-bis, c. 1 del Codice dell’ordinamento militare: al fine di promuovere la tutela del singolo e della comunità, la disposizione prevede che la Sanità militare, attraverso specifici protocolli adottati con decreto del Ministero della Difesa e concertati con quello della Salute (cfr. c. 2), possa imporre – salvo ragioni mediche, rimesse alla valutazione della Commissione competente per territorio (cfr. c. 3) – profilassi al personale militare per l’impiego in aree e condizioni operative peculiari.
La disposizione – per ragioni connesse alla natura della riserva di legge che assiste la materia dei trattamenti sanitari obbligatori – è stata dichiarata incostituzionale, con una pronuncia di accoglimento parziale, nella parte in cui autorizza le autorità di Sanità militare a imporre al personale la somministrazione di profilassi vaccinali, in assenza di una previa indicazione legislativa.
Tale pronuncia, com’è noto, interviene in un momento storico in cui il dibattito sull’obbligo vaccinale è tornato al centro dell’attualità scientifica e istituzionale, da ultimo in considerazione della vicenda pandemica [L. Violini, 2020], peraltro con alcuni elementi di novità venuti in rilievo specialmente in sede giurisdizionale (e, segnatamente, costituzionale). Solo nel corso di quest’anno, infatti, sono intervenute quattro sentenze della Corte costituzionale sull’argomento (nn. 14, 15, 16 e 25, su cui si veda B. Brancati in questo Blog).
A differenza delle precedenti decisioni – che consideravano la legittimità delle profilassi vaccinali imposte durante la vicenda pandemica – la sentenza in commento assume profili di specifico interesse, a partire da quelli connessi ai principi di gerarchia e obbedienza che informano l’ordinamento militare (c.i.d. § 5.1). Profili che si collocano nell’ambito di consolidate coordinate teoriche: la tutela del diritto alla salute (individuale e collettiva) nell’ordinamento costituzionale [M. Luciani, 1991; A. Mazzola, 2021]; il rapporto tra fonti nella determinazione dei trattamenti sanitari obbligatori [B. Liberali, 2022]; il «processo negoziale» [U. Ronga, 2018] tra tecnica, scienza e politica nella produzione normativa [G. Ragone, 2022].

2. L’ordinamento costituzionale italiano – è noto – è basato sulla libertà di autodeterminazione del singolo in materia sanitaria [A. Simoncini, E. Longo, 2006; A. Ruggeri, 2021]; e tuttavia contempla, per ragioni di sanità pubblica, la possibilità di introdurre trattamenti sanitari obbligatori (art. 32 Cost., comma secondo) attraverso una riserva di legge relativa e rinforzata per contenuto, nonché mediante specifiche modalità procedimentali.
Circa il contenuto: memori delle prassi «orrende [come la] sterilizzazione obbligatoria» risalenti all’olocausto [cfr. deputati A. Moro e C. Corsanego, 17 aprile 1947, Assemblea costituente], in sede Costituente i trattamenti sanitari e le relative modalità di somministrazione sono stati subordinati – in ogni caso – al rispetto della dignità umana (Corte cost., sent. n. 258 del 1994), in ossequio, tra gli altri, ai principi personalista e di solidarietà, che non consentono il «sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri» (così: Corte cost., sent. n. 307 del 1990).
Per questo, i trattamenti sanitari (compresi i vaccini) possono essere imposti solo a determinate condizioni: il miglioramento della salute individuale e la tutela di quella degli altri; l’assenza di conseguenze negative sullo stato di salute di chi vi è assoggettato, salvo quelle ritenute “tollerabili” per un intervento sanitario; la corresponsione di un’equa indennità nelle ipotesi di danni provocati dalla somministrazione del vaccino [Corte cost., sent. n. 258 del 1994; da ultimo: sentt. n. 14 e n. 15 del 2023].
Circa le modalità procedimentali (istruttoria e deliberazione), invece, vengono in rilievo fattori ulteriori: attesa l’elevata complessità tecnica e scientifica della materia, le modalità della produzione normativa mostrano l’esigenza – e i costituenti ne erano ben consapevoli [cfr. deputato Giua, 17 aprile 1947, Assemblea costituente] – che le determinazioni del decisore politico fossero assistite dai saperi tecnico-scientifici, attraverso sedi diverse. In quella parlamentare, mediante l’impiego degli strumenti del drafting sostanziale (audizioni, procedure informali) [U. Ronga, 2018]; e in quella governativa – lo si è visto, in particolare, nel corso dell’emergenza sanitaria [A. Iannuzzi, G. Pistorio, 2022] – attraverso l’istituzione di organismi ad hoc con funzioni (generali) di consulenza e supporto all’attività del Governo, anche quanto alle politiche vaccinali [U. Ronga, 2022].
In questo ambito, viene in rilievo il rapporto tra fonti e, dunque, la riserva di legge prevista dall’art. 32, comma secondo, Cost.: essa ammette che la disciplina dei trattamenti sanitari obbligatori non si esaurisca nelle fonti di rango primario, ma contempli altresì – e legittimamente – l’impiego di fonti secondarie integrative o attuative della fonte primaria che ne autorizza l’adozione (c.i.d. § 7.1, par. 5). Questa circostanza vale, in generale, per quei settori dove valutazioni in tal senso siano assoggettate a fattori, condizioni e circostanze variabili, non prevedibili e, per questo, difficilmente predeterminabili attraverso una generale previsione legislativa (cfr. sent. n. 383 del 1998, circa art. 33 Cost.); e vale, in particolare e a fortiori, per le determinazioni relative alle misure di profilassi vaccinale per il personale militare, attesa la pluralità di fattori che ne condizionano le relative decisioni (tra questi: territorio, tempo e modalità della missione; rischio epidemiologico).
Certo, tale processo di integrazione non equivale a consentire una sorta di «delega in bianco» [U. Ronga, 2020] della fonte primaria a favore di quella secondaria; occorre, in ossequio al principio di legalità (declinato in senso sostanziale), che il legislatore preveda principi e criteri che circoscrivano l’esercizio della discrezionalità amministrativa [M. Luciani, 2020], quanto alla determinazione dei casi e quanto alle modalità di intervento (cfr. Corte cost., sentt. n. 115 del 2011; e n. 5 del 2021). Ciò, com’è evidente, dacché, secondo il dettato costituzionale, i trattamenti sanitari obbligatori devono essere  “determinati” e imposti “per disposizione legislativa”: previsioni, come noto, orientate a offrire specifiche garanzie, nonché ad affermare modi di intervento, in capo al legislatore, ispirati a determinatezza e tassatività.
In questo contesto, per comprendere le ragioni della pronuncia in commento, occorre capire se possa bastare la generica indicazione del trattamento, la previsione dei criteri di approvvigionamento, selezione e somministrazione del farmaco; ovvero se, al contrario, sia altrettanto necessario che la fonte primaria rechi l’individuazione del vaccino, la patologia per la quale se ne prevede la obbligatorietà, le ragioni epidemiologiche e i fattori di rischio che ne impongono la somministrazione (cfr. c.i.d. § 7.2, par. 4).
Da questo scaturiscono ricadute applicative dirimenti: per il legislatore, in sede normativa; per l’Amministrazione, in sede esecutiva; per la giurisdizione (costituzionale e ordinaria) quanto alla giustiziabilità delle decisioni in discorso. Infatti, le esigenze di tassatività e determinatezza, il livello di sicurezza del vaccino, lo stato delle conoscenze costituiscono parametri che operano su almeno due versanti: quello decisionale, concorrendo in sede istruttoria alla definizione delle determinazioni del legislatore, fondate su acquisizioni tecnico-scientifiche (Corte cost. sentt. n. 14 e n. 15 del 2023; n. 5 del 2018; n. 282 del 2002), sul dialogo con enti e istituzioni accreditate, sulla conoscenza di dati e fattori di rischio epidemiologico (cfr. sent. n. 268 del 2017); quello giurisdizionale, come parametri delle decisioni in materia attraverso un sindacato di attendibilità tecnico-scientifica (Consiglio di Stato, sezione III, sent. n. 10648 del 2022; e sezione VI, sent. n. 10624 del 2022) e, segnatamente, in termini di ragionevolezza e proporzionalità delle misure impiegate.
Ne deriva, in estrema sintesi, che tali elementi impongono al legislatore la puntuale determinazione, con fonte primaria, della misura di profilassi vaccinale della quale si predispone l’obbligo e della relativa disciplina essenziale (patologie, destinatari, ecc.), la cui definizione – pena la dichiarazione di illegittimità costituzionale – non può essere demandata alla fonte sub-legislativa.

3. Alla luce di tali coordinate, occorre rilevare che l’art. 206-bis, c. 1, non manca dei parametri di applicazione delle misure di profilassi (cfr. c.i.d. § 8, par. 7): infatti, pur richiamando fonti secondarie, impone l’osservanza di protocolli specifici per la somministrazione; indica i relativi casi (c. 2); prevede una clausola di esenzione per accertate ragioni sanitarie (c. 3). Tuttavia, alle radici della declaratoria di illegittimità, vi è il difetto di determinatezza dell’obbligo vaccinale, quanto alla puntuale indicazione dei vaccini che possono essere somministrati, e quanto alle patologie che si intende contrastare in relazione al contesto di riferimento.
Nel rilevare tale criticità – non rinunciando, in qualche modo, anche a porsi in dialogo con il legislatore – la Corte costituzionale ha provato a individuare modalità compatibili con la riserva di legge prevista dall’art. 32, comma secondo, Cost.: il rispetto delle esigenze di determinatezza e del principio di legalità (declinato in senso sostanziale), in questo ambito, può perseguirsi attraverso la previsione, con fonte primaria, di un elenco dei vaccini cui il militare può essere obbligatoriamente sottoposto; mentre, così come in parte già è, l’impiego di fonti secondarie è consentito per alcune specificazioni ulteriori (ed eventualmente integrative) quanto ai parametri individuati per la selezione dei vaccini e delle modalità di somministrazione.
Indubbiamente, richiedere al legislatore costanti verifiche sull’elenco delle vaccinazioni obbligatorie, anche in ordine agli avanzamenti compiuti dalla ricerca, non apparirebbe così agevole; tuttavia, si tratterebbe di un onere necessario perché la tutela del diritto alla salute (individuale e collettiva) non è una fattispecie statica; e, specie laddove lo Stato predisponga misure di profilassi vaccinale obbligatorie, in ragione dei principi di legalità e di certezza del diritto, occorre predeterminare l’obbligo con fonte primaria; definire tipologia di trattamento e patologia; formulare disposizioni chiare per consentirne la previa conoscenza dell’obbligo, delle conseguenze della relativa violazione, nonché della natura del bilanciamento tra gli interessi costituzionalmente rilevanti che soggiace alle valutazioni del legislatore (cfr. Corte cost. sent. n. 5 del 2018).