Un caso di interpretazione adeguatrice della Corte costituzionale in materia di adozione ed interesse del minore (Osservazioni a prima lettura, Corte Costituzionale 5 luglio 2023 n. 183)

Con la sentenza n. 183/2023 del 5 luglio scorso (depositata in cancelleria il 28 settembre), la Corte costituzionale si occupa del complesso tema della valutazione in concreto del superiore interesse del minore che viene adottato, a mantenere i rapporti con i parenti entro il quarto grado. Nello specifico alla Corte viene posta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27 comma terzo l. adozione, secondo cui, il minore adottato, non può mantenere legami con la famiglia di origine, rispetto agli artt. 2, 3,30 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 della Cedu, 24 della Carta di Nizza e 3, 20 comma 3 e 21 della Convenzione sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dall’Italia con legge n. 176 del 1991.
La Corte costituzionale dichiara inammissibile la questione rispetto all’art. 117 Cost. in relazione all’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali e non fondate le questioni sollevate in riferimento agli art. 3 Cost. e 2, 30 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 della Cedu e poi 3, 20 comma 3 e 21 della Convenzione sui diritti del fanciullo.
La questione si origina dall’ ordinanza del 5 gennaio 2023, con la quale la prima sezione civile della Corte di Cassazione si è espressa sull’ articolata questione circa il perseguimento del superiore interesse del minore, nello specifico di due minori orfani di femminicidio, che, privi delle figure genitoriali ed in mancanza di parenti entro il 4 grado idonei ad occuparsene, vengono dichiarati in stato di abbandono e quindi adottabili e, ai sensi dell’art. 27 comma 3 della l. 184/1983, così privati di ogni legame con la famiglia di origine.  Mentre il Tribunale per i minorenni di Milano aveva dichiarato il non luogo a provvedere sulla dichiarazione di adottabilità, diversamente la Corte di Appello di Milano aveva concluso per lo stato di adottabilità dei minori. Il Procuratore generale presso la Corte di Appello di Milano presentava un ricorso per Cassazione, in cui si deduceva la violazione degli artt. 7 e 44 della l. n. 184/1983. Nello specifico, il Procuratore Generale sottoponeva al Collegio della I sez. della Cassazione civile la violazione degli articoli su richiamati “per avere la Corte di Appello di Milano innestato illegittimamente sull’adozione legittimante le caratteristiche proprie dell’adozione mite, con la conservazione dei legami con la famiglia di origine, nonostante l’espressa previsione contraria contenuta all’art. 27 l. n. 184/1983”. Sul punto, ed in via preliminare, il procuratore Generale presso la Corte di Cassazione evidenziava come la questione fosse di particolare importanza laddove, non solo approfondisce il tema della configurabilità nel nostro ordinamento di modelli di adozione diversi da quello che determina la cessazione dei legami con la famiglia di origine, ma anche di dare attenzione a regolare “un settore nevralgico della vita sociale” che riguarda gli orfani di femminicidio, quali orfani c.d. speciali (A.C. Baldry). Da ciò l’importanza di riflettere sull’art. 27 nei casi in cui non vi siano regimi giuridici alternativi all’adozione legittimante e sia altresì accertato il pregiudizio per lo sviluppo psicofisico dei minori, dopo la rescissione del legame con la famiglia di origine. Viene sollecitata la rimessione della questione alla Corte costituzionale, ove non si ritenga che il divieto dell’art. 27 sia superabile con un’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata. Tuttavia è il Collegio che, nell’ordinanza del 5 gennaio 2023 sopra richiamata, ritiene che la rimessione della questione alla Corte costituzionale sia una via obbligata ed imprescindibile.
Dopo aver ricostruito l’istituto dell’adozione e la sua ratio, nel chiarire l’infondatezza delle questioni, la Corte decide di dare un’interpretazione adeguatrice dell’articolo 27 comma 3 l. n. 184/1983 rispetto al perseguimento in concreto del superiore interesse del minore (Cfr. S. Romboli in F. Giuffrè – I. Nicotra, 507; E. Frontoni, 117 ss.; E. Lamarque; J. Long), affermando che la perdita dei legami di sangue non implica necessariamente quella dei legami sociali e di fatto. Per arrivare a tale conclusione, la Corte prende le mosse dall’assunto per cui, nelle ipotesi come quella concreta della tutela degli orfani di femminicidio (privi di fatto del padre e della madre) in cui l’adozione piena è l’unica strada possibile, potrebbe permanere l’esigenza di non recidere, nell’interesse del minore, i legami con i componenti del nucleo parentale. La norma dell’art. 27 comma 3 invece prevede tale rescissione e, per questo, oggi non persegue in concreto il superiore interesse del minore, dato che non si intende più l’adozione come una rinascita per il minore, in cui si produce contemporaneamente l’effetto costitutivo di un nuovo legame familiare giuridico e un effetto estintivo del legame di sangue con i genitori e con le famiglie di origine (M.R. Marella, voce Adozione, in Dig. disc. priv., 18 e ss.; A. Trabucchi, voce Adozione, in Enc. Giurid. Treccani, 12). Ciò risultava chiaramente dall’analisi degli articoli 28 e 73 della l. sull’adozione, la cui ratio è quella di realizzare normativamente un muro divisorio tra i due nuclei familiari, tanto che all’epoca della prima legge sull’adozione del 1967 e poi del 1984 non era prevista una norma che consentisse a certe condizioni di violare il segreto sull’adozione, nè veniva imposto ai genitori di informare i figli del fatto che erano stati adottati.
Dal canto suo, la giurisprudenza interna ed europea portano a domandarsi se oggi la rinascita del minore che viene adottato debba per forza significare la radicale cancellazione dei rapporti con la famiglia di origine, tanto più in un’ipotesi come quella degli orfani di femminicidio in cui, invece, vi è la drammatica perdita delle figure genitoriali di primario accudimento per cui l’automatismo con cui si perdono anche gli altri parenti non è detto che sia coerente con l’attuale quadro di tutele del minore che lo vedono al centro di tutte le questioni e decisioni che lo riguardano (Corte Cost. nn. 145 del 1969, 158 del 1971 e 76 del 1974).
Non solo, ma va anche considerata, da un lato, la valorizzazione del principio del superiore interesse del minore, da leggere in concreto secondo una valutazione prognostica da parte del giudice circa quella che potrà essere la miglior prospettiva di sana crescita psicofisica e dall’altro la tutela dell’identità del minore che la Corte espressamente collega alle origini (sent. n. 278/2013 e 286/2016) affermando nella pronuncia in esame che “la tutela dell’identità del minore si associa al riconoscimento dell’importanza che rivestono, da un lato, la consapevolezza delle proprie radici, e dall’altro la possibile continuità delle relazioni socio- affettive con figure che hanno rivestito un ruolo positivo nel suo processo di crescita” (8.2 Cons. in diritto). Sul punto, la Corte ritiene ormai pacifico che l’adozione debba essere realizzata nel rispetto delle proprie origini (e quindi della propria identità, art. 28 l. adoz. Modif. nel 2001), dall’altra pone in luce come l’identità sia garantita anche attraverso la valorizzazione della continuità affettiva (art. 4 comma 5 quinquies l. adozione) (C. Rusconi).
Correlativamente, per la Corte è la giurisprudenza interna ed europea a dire a chiare lettere che, per evitare al minore un grave pregiudizio, egli non va separato, per quanto possibile, dal nucleo di origine. La Cedu si è espressa sul punto in numerose pronunce anche risalenti (Corte Edu, sent. 13 aprile 2023 Jirova e altri c. Repubblica Ceca; Grande Camera, sent. 10 settembre 2019 Strand Lobben e altri contro Norvegia; sent. 13 ottobre 2015 S.H. c. Italia ed infine 21 gennaio 2014 Zhou c. Italia). Inoltre, la Corte europea ha anche evidenziato come ogni decisione che possa condurre alla rottura dei legami di una famiglia vada presa nel rispetto dell’interesse del minore (Corte Edu, sent. 22 giugno 2017 Barnea e Caldararu c. Italia).
Ciò che rileva e su cui occorre soffermarsi è il rigido automatismo che l’art. 27 comma 3 l. adoz. prevede: la rottura dei legami infatti avviene in automatico con l’adozione.
Rispetto alle due questioni di legittimità costituzionale, è interessante evidenziare subito che la Corte preliminarmente prende le mosse dal fatto che il giudice rimettente ha di fatto rigettato l’idea che l’art. 27 comma 3 potesse garantire che il minore adottato possa continuare, anche dopo l’adozione, ad avere un legame di tipo socio-affettivo con i componenti della famiglia di origine e quindi ha posto le questioni di legittimità costituzionale. In vero la Corte, nell’argomentare dell’infondatezza di tali questioni, arriva proprio ad ammettere un’interpretazione adeguatrice dell’art. 27 comma 3 il quale fa salvi proprio i legami affettivi del minore, pur non potendo consentire che permangano quelli aventi carattere giuridico (M.C. Errigo; E. Crivelli; e sia consentito rinviare a C. Ingenito). Partendo da tale assunto la Corte, prima spiega perché non siano fondate le questioni di legittimità costituzionale e poi introduce la propria linea interpretativa, aggirando di fatto l’ostacolo del rigido automatismo dell’art. 27 comma 3 (L. Pace), incompatibile con la giurisprudenza interna ed europea e la cui rigidità va rivista senza arrivare ad una sua reale disapplicazione.
In merito alla prima questione di legittimità costituzionale, essa si incentra sul contrasto dell’art. 27 comma 3 con l’art. 3 Cost., circa la disparità che si avrebbe con altri modelli di genitorialità adottiva ed è infondata poiché, precisa la Corte, non si ha tale disparità nella diversa incidenza sui legami giuridico-formali con la famiglia di origine nell’adozione piena rispetto a quella in casi particolari. Anzi, quest’ultima, proprio per i suoi profili peculiari, non rappresenta un tertium comparationis tale da giustificare l’irragionevole disparità di trattamento tra essa e l’adozione piena sulla conservazione delle relazioni socio-affettive con la famiglia di origine.
La seconda è dalla Corte dichiarata parimenti infondata per quanto concerne gli artt. 2, 30 e 117 Cost. quest’ultimo rispetto agli artt. 8 Cedu, art. 24 della Carta di Nizza e 3, 20 comma 3 e 21 della Convenzione sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dall’Italia con legge n. 176 del 1991. Secondo la Corte, infatti, l’art. 27 nell’ampiezza del richiamo “ai rapporti verso la famiglia di origine”, lascia intendere che sia nell’interesse del minore, proprio perché abbandonato, interrompere anche le relazioni di fatto con i familiari biologici. A volerla intendere in tal modo si avrebbe, ad avviso della Consulta, una rottura con i principi costituzionali che tutelano il minore ed in particolare la sua identità. Dunque, se si parte da tale lettura si può ritenere che da un lato gli artt. 2 e 30 Cost. siano posti a tutela dell’identità del minore, data dall’insieme dei rapporti sorti con l’adozione e di quelli di sangue e che, dall’altro, l’art. 8 Cedu vada interpretato come fonte dell’obbligo per gli Stati di verificare se sia nell’interesse del minore o meno mantenere contatti con le persone legate a lui a livello biologico. Correlativamente, la Corte afferma che la tutela dell’identità va letta ed interpretata all’interno di modelli che guardano alle concrete situazioni personali e mai essere generalizzate sulla base di presunzioni (Corte Cost. sentt. 253/2019; 286/2016; 185/2015; 139/2010; 41/1999). Per la Corte dunque, se si ritiene che l’art. 27 comma 3 per come formulato (nello specifico ricomprendendo nel termine rapporti anche le relazioni di fatto), non contenga un divieto assoluto di preservare almeno le relazioni socio-affettive del minore con la famiglia di origine, allora si può ritenere che la norma può essere interpretata nel senso che, se vi è un preminente interesse concreto del minore a vedere preservate relazioni di tipo socio- affettivo a tutela di un suo diritto costituzionalmente protetto all’identità personale, si può tollerare una contrazione del riferimento ai rapporti ai soli legami di natura giuridico-formale.
Quindi, rispetto al caso di specie, se il minore ha avuto una frequentazione assidua e positiva con i familiari biologici che non possono però sopperire al suo stato di abbandono, potrebbe essere rispondente al concreto interesse del minore mantenere tali relazioni di tipo socio-affettivo. Solo con tale premessa, la Corte può adottare un’interpretazione adeguatrice alla Costituzione per cui, nell’art. 27 comma 3, non vi è una preclusione assoluta per il giudice a ravvisare un concreto interesse del minore a mantenere relazioni socio affettive con i membri della famiglia di origine e che anzi non farlo costituirebbe per lui grave pregiudizio.


L’attribuzione del cognome nell’adozione di persona maggiore di età tra automaticità e consenso (Osservazioni a prima lettura, Corte Costituzionale 4 luglio 2023 n. 135)

Con la sentenza n. 135/2023 del 4 luglio scorso, la Corte Costituzionale torna ad occuparsi del tema del cognome. Nello specifico del cognome dell’adottato maggiorenne e precisamente della legittimità costituzionale dell’articolo 299 comma primo c.c., secondo cui l’adottato maggiorenne non può anteporre il proprio cognome originario a quello dell’adottante, rispetto agli artt. 2, 3 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Cedu e art. 7 della Carta di Nizza.
La Corte Costituzionale dichiara fondata la questione ed afferma l’illegittimità dell’art. 299 comma primo c.c. nella parte in cui non consente, con la sentenza di adozione, di aggiungere, anziché di anteporre, il cognome dell’adottante a quello dell’adottato maggiore d’età, se entrambi nel manifestare il consenso all’adozione si sono espressi a favore di tale effetto ed afferma quindi, nel proprio comunicato del 4 luglio 2023, che “L’adottato maggiore d’età può aggiungere anziché anteporre il cognome dell’adottante al proprio, quando ciò serva a tutelare il suo diritto all’identità personale e anche l’adottante sia favorevole a tale ordine dei cognomi”.
La questione si origina dal ricorso presentato al Tribunale ordinario di Nocera Inferiore, per la pronuncia dell’adozione di una persona maggiore di età. Il Tribunale, assunti i consensi necessari, accoglie la domanda. L’adottante propone poi reclamo alla Corte di Appello di Salerno, ai sensi dell’art. 313 comma 2 c.c., perché non era stata accolta la sua richiesta di posporre il cognome dell’adottante a quello originario dell’adottato. La Corte di Appello di Salerno, investita della questione, sollevava questione di legittimità costituzionale, ritenendo che la fattispecie concreta andasse esaminata in considerazione dell’evoluzione dell’istituto dell’adozione in generale e di quella di maggiorenni in particolare ed anche della giurisprudenza costituzionale sul diritto al cognome e all’identità (sentenze Corte costituzionale nn. 286/2016 e 131/2022 e rispetto alla sentenza Corte costituzionale n. 120 del 2001).
La Corte Costituzionale ritiene inammissibile la questione relativa al contrasto tra l’art. 299 comma primo c.c. e l’art. 117 comma primo Cost., in relazione agli artt. 8, 14 Cedu e art. 7 della Carta di Nizza, poiché tale contrasto appare privo di autonoma argomentazione, ovvero di ragioni circostanziate e motivate a supporto di tale asserita violazione.
La Consulta dunque esamina nel merito le censure relative all’art. 2 Cost., per violazione del diritto all’identità personale, e all’art. 3 Cost. per intrinseca irragionevolezza e ritiene che si possa procedere ad un’analisi al livello unitario, perché concernente l’irragionevole compressione del diritto inviolabile all’identità personale.
Tale questione viene ritenuta dalla Corte fondata e, nell’argomentare la fondatezza, la Consulta si sofferma su diversi profili. Intanto l’evoluzione del diritto al cognome nel suo rapporto con l’identità personale, il profilo dell’automaticità nell’anteposizione del cognome dell’adottante a quello dell’adottato, rispetto soprattutto al peso che, nell’adozione di persone maggiore di età, assume il consenso dell’adottante e dell’adottato. La lettura di tali aspetti non può prescindere dall’analisi del rapporto tra cognome ed adozione ed in particolare tra cognome ed adozione di maggiorenne.
La Corte motiva l’incostituzionalità dell’art. 299 comma primo c.c. e quindi la necessità che la previsione dell’automatica anteposizione del cognome dell’adottante venga espunta dal sistema, prima ancora che rispetto all’evoluzione dell’istituto dell’adozione di maggiorenne, rispetto all’evoluzione del diritto al nome quale diritto, posto in capo a ciascun familiare, di vedersi riconosciuto un dato cognome, tale e quale a quello degli altri, in modo da testimoniare il legame tra i familiari. Quello al cognome è un diritto del singolo, sia rispetto alla propria formazione sociale di appartenenza, sia rispetto alla collettività, al di là che esso venga attribuito alla nascita o aggiunto successivamente come nell’adozione. Non può non considerarsi il peso dell’interpretazione che la Corte ha dato del diritto al cognome, in particolare nella sentenza n. 131/2022 che sembra aver messo un punto sulla questione (per approfondimenti, C. Favilli - F. Azzarri in questo Blog; M.C. Amoroso - E. Pierazzi; M. Picchi; F. Covino; C. Masciotta, e sia consentito anche il rinvio a C. Ingenito).
Correlativamente, la Consulta si sofferma sul diritto all’identità personale in rapporto al cognome rispetto all’art. 2 Cost. (per approfondimenti sia consentito rinviare a C. Ingenito). Tale articolo infatti può essere utilizzato quale norma ponte che collega il cognome ai legami familiari, poiché è con esso che il diritto al cognome, quale simbolo dell’identità, viene racchiuso all’interno dei diritti della personalità che l’art. 2 tutela e protegge. Non solo, ma partendo dall’art. 2 Cost. si può ritenere che il cognome sia il mezzo di identità personale ed insieme di identità familiare, nel senso che non si può disconoscere che, non soltanto sul piano normativo, ma anche su quello sociale, il nome rileva come segno di appartenenza della persona ad un determinato gruppo familiare giacché “se è vero che la persona è il valore fondamentale dell’ordinamento è pur vero che tra le formazioni sociali la famiglia ha un ruolo ineliminabile e privilegiato” (P. Perlingieri, p. 380). A partire dalla sentenza n. 13 del 1994, la Corte ha riconosciuto l’importanza del rapporto tra cognome e identità, tanto da affermare, nel considerato in diritto 5.1 e 5.2, che vi è un profondo collegamento tra cognome e identità: «tra i diritti che formano il patrimonio irretrattabile della persona umana l'art. 2 della Costituzione riconosce e garantisce anche il diritto all'identità personale…L'identità personale costituisce quindi un bene per se medesima, indipendentemente dalla condizione personale e sociale, dai pregi e dai difetti del soggetto, di guisa che a ciascuno è riconosciuto il diritto a che la sua individualità sia preservata… Tra i tanti profili, il primo e più immediato elemento che caratterizza l'identità personale è evidentemente il nome - singolarmente enunciato come bene oggetto di autonomo diritto nel successivo art. 22 della Costituzione – che assume la caratteristica del segno distintivo ed identificativo della persona nella sua vita di relazione» (sul punto anche A. Pace). Con le sentenze nn. 297/1996, 120/2001, 268/2002 286/2016, 18/2021, 131/2022 la Corte ha consolidato tale assunto, ponendo in luce il peso del cognome rispetto all’identità che il figlio realizza nel legame con ciascun ramo genitoriale e per questo, nel rispetto degli artt. 2 e 3 Cost., va tutelato il cognome e l’ordine in cui viene attribuito in osservanza del principio di dell’uguaglianza dei genitori. Solo così nel figlio si riflettono le identità che promanano da entrambi i genitori e da cui deriva poi la propria nuova identità che va di per sé salvaguardata e tutelata. Sul punto la Corte, nella sentenza in esame, afferma proprio che “nel diritto all’identità si radicano le ragioni di tutela del cognome”. Alla luce di ciò non si vede perché la tutela del cognome, rispetto alla salvaguardia dell’identità, non vada garantita anche nell’adozione della persona maggiore di età, laddove, in tale ipotesi, rispetto al cognome originario dell’adottato, si è già radicata una propria identità, nel senso che il cognome dell’adottato è già segno distintivo della sua identità ed espressione della personalità e per questo va protetto. Il peso e il ruolo di tale cognome aveva già destato l’attenzione della Corte nella pronuncia n. 120 del 2001 in cui, riconosce il “diritto al nome – inteso come primo e più immediato segno distintivo che caratterizza l'identità personale - costituisce uno dei diritti inviolabili protetti dalla menzionata norma costituzionale” (punto 2. Considerato in diritto), rispetto alla specifica ipotesi dell'art. 299 comma 2 c.c., nella parte in cui non prevede che, qualora sia figlio naturale non riconosciuto dai propri genitori, l'adottato possa aggiungere al cognome dell'adottante anche quello originariamente attribuitogli e lo dichiara costituzionalmente illegittimo, perché in contrasto con l’art. 2 e 3 Cost. in particolare, come si legge in motivazione, per la stessa natura dell’adozione di persona maggiorenne.
La Consulta si sofferma poi sull’evoluzione del rapporto tra cognome ed identità all’interno dell’istituto dell’adozione di persona maggiorenne.
Tale istituto ha mutato profondamente la propria natura e ratio in parallelo con la complessa trasformazione dell’adozione piena e dell’adozione in casi particolari: infatti ormai tutte le tipologie di adozione sono allineate nella finalità di costituire veicoli, diversi, ma tendenti tutti al riconoscimento di un rapporto di tipo familiare, sicuramente giuridico, ma al contempo anche umano (sul punto le riflessioni di C. M. Bianca, p. 414). Quindi, anche nell’adozione di persona maggiore di età, nella quale si crea un vero e proprio vincolo di filiazione giuridica che, a differenza delle altre tipologie di adozione, si aggiunge a quello di filiazione di sangue già sussistente. Rispetto all’adozione di persona maggiore di età la Corte ritiene che sia presente nella previsione dell’art. 299 comma primo c.c. una reale compressione irragionevole del diritto all’identità nell’impossibilità di aggiungere, invece che anteporre in maniera automatica, il cognome dell’adottante a quello dell’adottato.
Infatti, l’effetto di natura prettamente personale di attribuire all’adottato i due cognomi, quello proprio originario e quello dell’adottante, nel quale di fatto coesiste un c.d. doppio status (sul punto, M. Stella Richter - V. Sgroi, p. 334), così da rendere visibili entrambe le tracce dell’identità dell’adottato che sono date dai due cognomi, viene condizionato dall’imposizione automatica del cognome dell’adottante.
Come nella pronuncia n. 286/2016, la Corte si sofferma sul peso dell’automaticità nell’attribuzione dei cognomi rispetto al loro ordine, tema che era stato anche oggetto di una rilevante pronuncia della Cedu, Cusan Fazzo c. Italia (7 aprile 2014), nella quale la Corte Europea dei diritti dell’uomo, sulla base della lettura congiunta degli artt. 8 e 14 della Cedu  rilevava che, oggetto di sanzione per il nostro ordinamento non è il patronimico in sè, bensì l’automatismo nell’attribuzione e trasmissione del cognome paterno che, precludendo ai genitori ogni facoltà di scelta, condiziona in maniera illegittima la vita privata e familiare dell’individuo (si rinvia sul punto a C. Bassu in questo Blog, e C. Pitea).
Dunque, rispetto all’automatismo va considerata poi l’evoluzione dell’art. 299 comma primo c.c.: infatti, mentre il codice del 1942 prevedeva la sola aggiunta del cognome dell’adottante, invece, con la riforma della disciplina dell’adozione introdotta dalla legge n. 184 del 1983 (art. 61), è stata prevista l’automatica anteposizione del cognome dell’adottante, sebbene tale modifica sia stata criticata proprio perché rigida nella sua automaticità. Sul profilo dell’automatismo, infatti, si era già concentrata la sentenza del 2001 n. 120, la quale, pur spendendo alcune riflessioni in tema di identità, non reputa che la precedenza del cognome dell’adottante sia irrazionale e violi l’identità dell’adottato. La questione presente nella sentenza in esame si presenta dissimile su un aspetto fondamentale: non è l’anteposizione del cognome dell’adottante l’aspetto problematico, bensì è l’automaticità del meccanismo che risulta irragionevole e tale da sacrificare il diritto all’identità personale dell’adottando, nel senso che la norma dell’art. 299 c.c. così come è formulata di fatto preclude all’adottato maggiore di età di aggiungere invece che anteporre il cognome dell’adottante al proprio al fine di veder tutelata più adeguatamente la propria identità.
Infine la Corte si sofferma sul peso del consenso dell’adottante e dell’adottato rispetto all’automaticità dell’attribuzione del cognome. Infatti, è proprio su tale consenso (rispetto al cognome) che si concentra la Corte nella propria motivazione proprio perché appare in contraddizione la previsione di un’espressione del consenso all’adozione con la rigidità dell’automatismo del cognome dell’adottante da anteporre. Infatti, la Corte sul punto afferma che “Se, dunque, l’adottato maggiore d’età ha esigenza di veder tutelato il suo diritto all’identità personale attraverso l’aggiunta, in luogo della anteposizione, del cognome dell’adottante al proprio e se anche l’adottante è favorevole a tale ordine, che non incide sul suo consenso all’adozione, è irragionevole non consentire che la sentenza di adozione possa disporre il citato effetto”. ( 7.1. del considerato in diritto).
Pertanto la Corte collega il profilo dell’espressione del consenso all’adozione, come veicolo per consentire anche la deroga da parte del giudice all’anteposizione automatica del cognome dell’adottante, affermando che “è irragionevole e lesivo dell’identità personale, e, dunque, contrasta con gli artt. 2 e 3 Cost., non consentire al giudice – con la sentenza che fa luogo all’adozione – di aggiungere, anziché di anteporre, il cognome dell’adottante a quello dell’adottato maggiore d’età, se entrambi nel manifestare il consenso all’adozione si sono espressi a favore di tale effetto” (punto 8 del considerato in diritto).

 


L’ordinanza della Cassazione civile n. 230/2023: un’occasione per riflettere sul principio del superiore interesse del minore rispetto alla tutela degli orfani di femminicidio

With the decision of 5 January 2023, theCourt of Cassation expressed its opinion on a complex issue concerning the pursuit of the best interests of the child, specifically of two orphans of femicide, who, deprived of parental figures and in the absence of relatives suitable to take care of them, are declared in a state of abandonment and therefore adoptable and, pursuant to art. 27 paragraph 3 of the law 184/1983, deprived of any relation with the family of origin. This decision concerns the role of the Court of Cassation which, starting from the exercise of its nomophilactic function, raises the issue of constitutionality also in the procedure aimed at enunciating the principle of law in the interest of the law. Secondly, it will be highlighted how to date the protections of orphans of feminicide are not yet complete and in any case are not fully capable of pursuing the superior interest of these so-called special orphans. The Court of Cassation is faced with the analysis of the constitutional stability of the art. 27 paragraph 3 and decides to refer the question to the Constitutional Court which at this point will have the task of questioning the constitutionality of this provision, perhaps also trying to offer some solution that is in line with the current catalog of protections for minors, increasingly reinforced by constitutional jurisprudence. With respect to this, this comment will also try to make some reflections on the union of the Constitutional Court with respect to the problem of overcoming legislative automatisms. Finally, the ruling contains numerous ideas for reflecting on the principle of the best interests of the minor, as a pillar of family and juvenile legislation and for giving it a partly new interpretation.