Nasce “Carnets de Voyage”, un podcast di interviste sul diritto comparato

Carnets de voyage. Conversazioni sul diritto comparato e i suoi esploratori è un podcast scritto da Tommaso Amico di Meane e Lorenzo Serafinelli, per mettere in dialogo generazioni diverse di comparatisti. La prima puntata, con Barbara Pozzo, è uscita il 15 dicembre 2023. Ogni mese una nuova puntata, quella di gennaio sarà con Sabino Cassese. Il podcast si può ascoltare gratuitamente su Spotify accedendo qui.

Il progetto
Carnets de voyage – Conversazioni sul diritto comparato e i suoi esploratori è un podcast di interviste lunghe che utilizza la comparazione giuridica per addentrarsi in uno degli ambiti meno raccontati del mondo accademico. Quello, cioè, dove trova spazio la descrizione non solo degli entusiasmi, degli obiettivi e delle passioni di coloro che si occupano di ricerca, ma anche dei loro dubbi, dei momenti di difficoltà, e dei ripensamenti che inevitabilmente caratterizzano questo tipo di percorsi, ma di cui raramente si parla. Proviamo a svelare, dunque, il lato meno visibile e maggiormente intimo della ricerca, dove le traiettorie scientifiche si intrecciano con quelle personali; e lo facciamo andando con questo podcast a comporre idealmente una serie di “diari di viaggio” (carnets de voyage) dove si affastellano ricordi, sorprese, incontri, delusioni e aneddoti, raccontati da alcuni dei protagonisti del diritto comparato odierno, ossia da coloro che tra i giuristi sono considerati gli esploratori per eccellenza. Tutto questo ci restituisce un quadro estremamente vitale e pulsante della nostra disciplina, trasformandosi nell’occasione, ci auguriamo, per avvicinare i giovani, contribuendo ad alimentare i momenti di dialogo e reciproco arricchimento tra generazioni diverse.

Alle origini dei carnets de voyage
La pratica dei carnets de voyage si diffonde sul finire dell’Ottocento, quando, cioè, la borghesia europea inizia ad avere accesso sistematico alle zone più remote del mondo. Quello che fino ad allora era stato un privilegio per pochi (essenzialmente missionari, soldati e marinai), infatti, diventa una prospettiva concreta per diversi viaggiatori, nel solco delle prospettive commerciali legate alla seconda rivoluzione industriale e delle innovazioni che attraversano il sistema dei trasporti. La comunicazione via mare, ad esempio, in pochi anni passa dalla navigazione a vela a quella a vapore. Mentre la rete ferroviaria mondiale nel solo decennio 1850-1860 triplica la propria dimensione, toccando in modo significativo anche America Latina, Asia meridionale e Australia. E così, un numero imprecisato di funzionari coloniali, studiosi, commercianti, artisti, collezionisti e avventurieri iniziano a solcare come mai prima di allora le terre e i mari verso l’Africa, il Medio Oriente, l’Asia e l’Oceania. Alcuni di loro prendono l’abitudine di annotare durante il viaggio i propri pensieri, a volte solo qualche breve aforisma, o lo stralcio di una conversazione. I più creativi aggiungono bozzetti a matita, disegni, acquarelli, o incollano nelle pagine piccoli oggetti: i petali di un fiore, un brandello di un tessuto, i grani di una spezia. Nascono così i carnets de voyage, delle sorte di “archivi delle sensazioni” del viaggiatore provate nell’incontro con l’altro. Variegati collage personali, in quanto tali unici e irripetibili, cui attingere al ritorno dal viaggio magari per approfondire alcuni spunti; o per intavolare conversazioni nei salotti e nelle università europee; o anche solo per ravvivare i ricordi personali, richiamando le emozioni del proprio vissuto da esploratore. Quello che inizia a diffondersi è un vero e proprio genere letterario che, senza alcuna regola formale prestabilita, combina disegno, poesia, ricerca antropologica, letteratura. Tra i cosiddetti “carnettisti” ci sono personalità come Gauguin, Van Gogh o Le Corbusier; ma anche e forse soprattutto una miriade di viaggiatori sconosciuti, i quali più o meno consapevolmente si cimentano in questa forma di espressione, d’arte e in qualche modo anche di ricerca sociale.

Gli obiettivi dei “nostri” carnets de voyage
Tra i viaggiatori che in quest’ultimo scorcio dell’Ottocento scelgono destinazioni per loro inusuali o “esotiche” ci sono anche diversi studiosi di quello che di lì a breve (in occasione del noto Congresso Internazionale di Diritto comparato di Parigi del 1900) verrà battezzato come “diritto comparato”. Si tratta di una disciplina ancora nella sua fase embrionale e che riceve notevole impulso dalle straordinarie possibilità economiche, di trasporto e di comunicazione cui abbiamo accennato, le quali contribuiscono in definitiva a cambiare la percezione del mondo e dei suoi limiti geografici. Non ci è dato sapere se tra i “carnettisti” di quel periodo vi siano stati anche degli studiosi di comparazione giuridica. Ciò che tuttavia con questo podcast abbiamo provato a comporre idealmente sono dei carnets de voyage della comparazione giuridica odierna, le cui “pagine” contengono pensieri, spunti e frammenti in grado di offrirci un ritratto vivace e autentico di cosa significhi essere comparatisti. Abbiamo pertanto preso un microfono e siamo andati ad incontrare alcuni dei protagonisti, con l’obiettivo di metterci in contatto con la parte meno conosciuta e più personale, a tratti intima, della loro ricerca. Li abbiamo intervistati all’interno dei loro ambienti, nelle stanze dove sono abituati a ritirarsi per leggere, scrivere e rielaborare i propri pensieri. Abbiamo conversato accanto alle loro scrivanie, immersi tra le carte, gli appunti, i post-it colorati e l’odore dei libri. Parlando dei loro luoghi e delle abitudini di ricerca, delle loro passioni, del rapporto con gli studenti e di quello con i loro maestri. Con l’obiettivo di apprendere le motivazioni, le realizzazioni e le scoperte più inattese dei loro percorsi accademici, dei loro viaggi reali e metaforici. Ma anche di conoscere i loro momenti di difficoltà, le contraddizioni, le occasioni perse e i dubbi che inevitabilmente si affastellano nella vita di ciascuno studioso. Abbiamo provato a svelare, cioè, quello che solitamente non dicono le pagine di una pubblicazione o le relazioni di un convegno, e che riguarda la dimensione più viscerale della ricerca. Ben sapendo come a volte siano le conversazioni informali, gli incontri, le confidenze... le parole ascoltate (a volte anche più di quelle lette) a segnare la traiettoria della nostra ricerca.

Il podcast come strumento addizionale e non convenzionale di ricerca scientifica
Lo strumento maggiormente appropriato per questo tipo di progettualità ci è istintivamente sembrato quello del podcast, per la sua capacità di raccontare storie. Si tratta di uno strumento in questo senso ancora inesplorato dal diritto comparato, e che ci ha permesso di apprezzare ogni minima sfumatura dei racconti di questi esploratori del diritto, percependo le vibrazioni dei loro racconti e al contempo creando occasione per un dialogo quanto mai prezioso tra generazioni diverse di comparatisti. Tutto questo ci offre un ritratto in qualche modo “tridimensionale” della comparazione giuridica e dei suoi protagonisti, che non ha alcuna ambizione di sostituire la centralità degli strumenti pedagogici tradizionali, ma che al contempo non esclude la possibilità di integrare quelle esperienze sollecitando diversamente l’immaginazione di chi si approccia alla comparazione. Anche in questo modo è possibile contribuire alla consapevolezza forse soprattutto dei giovani comparatisti, al loro senso di appartenenza alla comunità dei viaggiatori per antonomasia tra i giuristi, potendo eccezionalmente attraverso questo podcast “sfogliare” alcune delle pagine dei loro preziosi carnets de voyage. D’altra parte, una disciplina che si dichiara per innata vocazione “sovversiva” non può probabilmente fare altro dal continuare ad attualizzare la sua originaria promessa di cambiamento, che oggi passa forse anche dallo sperimentare nuovi modi di raccontare i suoi protagonisti, e dunque di raccontarsi.

 


“La questione non è se qualcosa vada fatto, ma chi abbia il potere di agire” Biden et al. v. Nebraska e lo Student Loan Forgiveness Plan di Biden

Uno dei nodi centrali riguardanti il sistema dell’istruzione negli Stati Uniti è notoriamente quello dei costi associati alla frequenza dei corsi di studio. La scelta, adottata con l’Higher Education Act del 1965 dall’allora Presidente Kennedy in favore di un modello di mercato è stata additata negli anni come fattore di disparità e di diseguaglianze su basi economiche. La problematica dei costi ha poi suscitato un clamore mediatico significativo specie con riguardo alla legal education: a séguito della crisi del 2007, l’insoddisfazione nei confronti di tali meccanismi ha attratto l’attenzione delle principali testate giornalistiche del Paese, e ciò anche sulla scorta di un movimento “populista” autodefinitosi Law School Scam Blog. Se ne è occupato, tra gli altri, il New York Times, con un exposé emblematicamente intitolato Is Law School a Losing Game? Il giornalista David Seagal denunciava come la contrazione del mercato dei servizi legali rendesse impossibile per molti giovani diplomati alle law school onorare i debiti contratti per la loro frequenza. Le denunce hanno sollecitato anche l’accademia statunitense, che si è attivata con dei post su alcuni blog, il più significativo di tutti quello di Brian Z. Tamanaha, Wake Up, Fellow Law Professors, to the Casualties of Our Enterprise, cui è seguita una disamina scientifica cui ha dato l’abbrivio sempre Tamanaha con il suo libro Failing Law Schools.
Quando la crisi economica stava lentamente allentando la morsa, e il dibattito sul punto affievolendosi, la pandemia da Covid-19 ha rinfocolato il discorso pubblico contro The Debt Trap nel suo complesso. L’allora segretario dell’istruzione dell’Amministrazione Trump, Betsy DeVos, ha introdotto sia una moratoria per il pagamento delle rate dei prestiti federali sia una sospensione del maturamento degli interessi associati loro. Per far ciò, la DeVos era ricorsa all’HEROES Act, approvato all’indomani degli attentati dell’11 settembre, che conferisce al segretario all’istruzione il potere di contrastare un’emergenza nazionale con la modifica delle disposizioni in materia di prestiti (§1098bb(a)(1)).
In linea di continuità, il 24 agosto 2022, assolvendo a un impegno assunto in campagna elettorale, il Presidente Biden ha annunciato il proprio piano per rendere definitiva la cancellazione fino a 20.000 dollari dei prestiti accesi dagli studenti. Il programma era rivolto a una platea ampia, stante le maglie larghe dei requisiti per poter accedere al programma in questione: uno stanziamento di 400 miliardi di dollari di cui avrebbero beneficiato 43 milioni di statunitensi, la metà dei quali avrebbe visto estinto totalmente il proprio debito residuo. Prevedibilmente, il provvedimento ha creato una significativa spaccatura nel Paese, che si è tradotta nell’adozione di iniziative giudiziali in ottica eminentemente contromaggioritaria. Dopo che i giudici federali del Texas e del Missouri hanno sospeso il programma lo scorso anno, l’Amministrazione federale si è rivolta alla Corte suprema, chiedendo l’intervento dei giudici affinché l’operatività del piano venisse assicurata su tutto il territorio del Paese.
Tuttavia, con una decisione resa 6-3 nel caso Biden, President of the United States et al. v. Nebraska et al., 600 U.S. ___ (2023), la Corte suprema ha stabilito che l’Amministrazione ha ecceduto i propri poteri con l’approvazione del programma di rimessione dei debiti contratti dagli studenti, violando l’HEROES Act. L’opinione di maggioranza è stata redatta dal Chief Justice Roberts. L’opinione di minoranza, scritta dalla giudice Kagan, ha riunito le altre due liberal della Corte, Sotomayor e Jackson.
Il caso originava dall’azione intrapresa dai procuratori generali di sei Stati repubblicani e da due individui i quali avevano chiesto, e ottenuto, che i giudici annullassero il piano di Biden, in quanto da considerarsi in difformità con le prescrizioni contenute nell’HEROES Act e in altre leggi federali.
Prima di poter decidere il merito della controversia, i justice hanno dovuto stabilire se gli attori fossero legittimati ad agire potendo vantare un danno diretto. A ben guardare, il tema della legittimazione aveva già formato oggetto di una decisione adottata poco prima di quella in commento: in questo arresto, la soluzione che i giudici avevano fornito, all’unanimità, era che due studenti debitori che agivano uti singuli difettavano di standing (Department of Education et al. v. Brown et al., 600 U.S. ___ (2023)).
Al contrario, e operando un distinguishing derivante dalla peculiare condizione dei fatti posti a base della controversia, la Corte d’Appello per l’8° Circuito si era espressa nel senso che il Missouri avesse standing poiché ha creato e controlla la Missouri Higher Education Loan Authority (“MOHELA”), uno dei maggiori fornitori e detentori di prestiti agli studenti del Paese. L’entrata in vigore del programma sarebbe costata alla MOHELA fino a 44 milioni di dollari all’anno, limitando la sua capacità di contribuire ai programmi di istruzione superiore dello Stato. La Corte suprema ha condiviso tale opzione ricostruttiva: Roberts ha argomentato nel senso che il Missouri ha creato l’authority per aiutare i residenti dello Stato a ottenere prestiti per pagare l’università. L’operatività del programma di riduzione del debito, si legge nella opinione di maggioranza, contrarrebbe le entrate della MOHELA, così andando a compromettere i suoi sforzi per supportare gli studenti universitari del Missouri, il che si tradurrebbe fatalmente in un danno diretto a quest’ultimo.
Diametralmente opposte le posizioni dell’opinione di minoranza. Qui si legge che la Corte non avrebbe dovuto entrare nel merito delle richieste degli Stati perché nessuno di essi era legittimato. Difatti, la tesi della legittimazione ad agire mediata del Missouri in ragione della presenza della MOHELA, a detta delle tre giudici dissenzienti, prova troppo. Seguendo il percorso argomentativo della Corte, non si vede perché non sia stata l’authority del Missouri ad agire in giudizio, dato che è essa, e non anche lo Stato, a risultare incisa direttamente dalla misura di Biden.
Ad ogni modo, avendo stabilito che il Missouri (e dunque anche gli altri Stati) fosse legittimato, la Corte ha affrontato il nucleo della materia del contendere: ovverosia, la conformità del programma di riduzione del debito con la legge federale. La maggioranza dei justice ha accolto le tesi degli Stati: il Congresso, nell’impiegare il termine “modificare” (“modify”) nell’HEROES Act con riferimento ai poteri attribuiti al segretario dell’istruzione, avrebbe inteso limitare il potere a “modesti aggiustamenti e aggiunte alle disposizioni esistenti”, e non anche a vere e proprie trasformazioni. Ha sottolineato Roberts come invece Biden ha creato “un programma di condono dei prestiti nuovo e fondamentalmente diverso”. Metaforicamente, il piano “modifica” le leggi e i regolamenti sui prestiti agli studenti “nello stesso modo in cui la Rivoluzione francese ha ‘modificato’ lo status della nobiltà ... abolendola e soppiantandola con un regime completamente nuovo”. Vieppiù in considerazione del fatto che in una guisa coincidente alla ratio decidendi di West Virginia v. EPA, 597 U.S. ___ (2022) dove la Corte ha sottratto all’Environmental Protection Agency i poteri regolatori in materia di emissioni di gas climalteranti, anche in Biden v. Nebraska i giudici hanno adottato un approccio esautorante nei confronti dell’administrative power. Facendo ricorso alla Major Questions Doctrine, per cui l’interpretazione delle leggi deve muovere dalla presunzione dell’assenza di delega al Governo di legiferare su questioni di primaria rilevanza per il Paese, la decisione ha ritenuto l’Amministrazione sprovvista del necessario regulatory power. Come icasticamente affermato da Roberts nella sua opinion, “la questione non è se qualcosa vada fatto, ma chi abbia il potere di agire”.
È di tutta evidenza che la Major Questions Doctrine è stata qui usata dalla Corte a mo’ di strumento testualista e originalista nella convinzione, già plasticamente affermata in NYSRP et al. v. Bruen et al., 597 U.S. ___ (2022), che le origini sono un inizio che spiega. Che l’originalismo sia ispiratore è testimoniato dalle argomentazioni contenute nell’opinione concorrente della Barrett: la doctrine dovrebbe guidare i giudici a ricercare “l’interpretazione più naturale del testo”, usando il buon senso per capire se una questione avrebbe voluto essere dal Congresso delegata a un’agenzia amministrativa. Qui, ha proseguito la Barrett, sembra che l’Amministrazione Biden “sia andata ben oltre ciò che il Congresso avrebbe potuto ragionevolmente intendere di aver concesso” con l’HEROES Act.
Di tutt’altro tenore è l’opinion di minoranza, dove Kagan ha sostenuto che il piano di riduzione del debito rientri a pieno nelle facoltà riconosciute al segretario dell’istruzione, titolare di un ampio potere di fronte a un’emergenza nazionale, potendo anche incidere sulle regole in materia di estinzione dei prestiti. Viene sferzata un’aspra critica alla maggioranza dei justice, accusati di aver frammentato e svuotato di contenuto l’HEROES Act, privando l’Amministrazione di qualsivoglia possibilità di intervento. Kagan ha anche preso di mira l’invocazione della Major Questions Doctrine in quanto tradisce le preoccupazioni della Corte sull’esercizio dell’administrative power e perché finisce con il neutralizzare la stessa giurisprudenza della Corte suprema elaborata in materia di delega del Congresso all’Amministrazione. Problema questo non solo per la governance, ma anche per la stessa democrazia: difatti, così la Corte assurge ad “arbitro – anzi, ad artefice – della politica nazionale”.
In una dichiarazione rilasciata dalla Casa Bianca il giorno stesso della pubblicazione della sentenza, Biden ha definito errata la decisione e lanciato un nuovo piano per fronteggiare il problema degli student loan, eloquentemente denominato Saving on a Valuable Education (“SAVE”).