Note preliminari sulle proposte di riforma della cittadinanza in Germania

Storicamente, il principio ispiratore della legislazione tedesca in tema di cittadinanza è stato il collegamento tra appartenenza etnica e titolarità dello status e ciò in omaggio alla tesi che identifica il concetto di Nazione con quello di «Volk», da fondarsi sull’esistenza di un vincolo naturalistico e precostituito che unisce i singoli sulla base di una comune storia, lingua, cultura (cfr. Brubaker, 1997, 13 ss.). Questa concezione – riflessasi sul piano normativo nel saldo ancoraggio al criterio dello ius sanguinis – ben traspare, ancora, dall’art. 116, comma 1, GG (ove si dispone che, salvo diversa disciplina legislativa, sia “tedesco”, ai sensi della Legge fondamentale, «chi possiede la cittadinanza tedesca o chi è stato accolto, come rifugiato o espulso di nazionalità tedesca o come suo coniuge o discendente, nel territorio del Reich tedesco secondo lo status del 31 dicembre 1937») e, soprattutto, dalla relativa disciplina attuativa, contenuta nella Bundesvertriebenengesetz (Legge federale sugli espulsi) del 1953. Essa, per equiparare gli espulsi ed i rifugiati tedeschi dall’Europa orientale dopo la II guerra mondiale ai cittadini in senso formale, considerava infatti dirimente la sola appartenenza alla Nazione tedesca, da fondare, prima ancora che sulle competenze linguistiche, sull’identificazione dell’interessato nella cultura popolare tedesca («Volkstum») (Häberle, 1997, 29; cfr. anche Placidi, 2003, 94-96).
Nel corso della seconda metà del XX secolo, parallelamente alla rapida crescita dell’economia, si è posta l’urgenza di rispondere a crescenti richieste di manodopera, che, anche a causa del ridotto numero di adulti in età lavorativa causato dalla guerra, non riuscivano ad essere soddisfatte dalla sola forza lavoro interna. Ciò ha sollecitato, a partire dagli Anni Cinquanta, anche attraverso la sottoscrizione di appositi accordi con alcuni Paesi dell’area mediterranea, l’afflusso di molti lavoratori ospiti (Gastabeiter), da accogliere, nelle intenzioni iniziali, soltanto transitoriamente. Nel tempo, tuttavia, parallelamente al radicamento di questi lavoratori, favorito anche da alcune politiche di ricongiungimento familiare, la società tedesca è cambiata profondamente, divenendo a tutti gli effetti pluriculturale, suggerendo la definizione, in tema di cittadinanza, di soluzioni capaci di rispecchiare i cambiamenti avvenuti e di formalizzare per gli immigrati (ed i relativi discendenti, giunti ormai alla terza generazione) un pieno legame di appartenenza.
Nonostante le novità introdotte dalla Gesetz zur Reform des Staatsangehörigkeitsrecht (Legge di riforma del diritto di cittadinanza) del 1999 (cfr. Palermo, 1999, 853 ss.), volte a facilitare la naturalizzazione – subordinata, comunque, a condizioni stringenti, quali la titolarità di adeguate competenze linguistiche – ed a temperare lo ius sanguinis – in particolare, attraverso l’acquisto automatico della cittadinanza, a partire dal 1° gennaio 2000, per i figli di stranieri, nati in Germania, aventi almeno un genitore legalmente soggiornante da non meno di otto anni –, l’impronta originaria che permea la disciplina di riferimento ha precluso il perfezionamento di scelte normative davvero soddisfacenti, escludendo dallo status molti stranieri residenti da tempo in Germania ed ivi intenzionati a realizzare il proprio progetto esistenziale. Accanto ai requisiti per la naturalizzazione, un ostacolo ulteriore è derivato dall’unicità del vincolo di appartenenza, anch’esso conseguente all’originaria concezione “etnica” di Nazione, che ha finora sostanzialmente precluso, salvo poche eccezioni, l’accesso alla doppia cittadinanza.
La condizione giuridica dei Gastarbeiter e dei relativi discendenti si è poi intrecciata, a partire dagli ultimi anni, con l’ulteriore crescita della richiesta di manodopera qualificata, dovuta sia al calo demografico, sia al pensionamento dei c.d. “babyboomer” ed al complessivo invecchiamento della popolazione, sia alla mancanza di lavoratori specializzati. Quest’ultima variabile, in difetto di interventi correttivi, potrebbe determinare la carenza di almeno quattro milioni di occupati entro il 2030 e ciò comporterebbe  riflessi assai negativi sulle prospettive di crescita dell’economia tedesca e, più in generale, sugli standard di benessere (Wohlstandsverlust) assicurati negli ultimi decenni (Groll, 2022).
L’acquisita consapevolezza della necessità di contemperare queste esigenze – da un lato, aprire una riflessione sulla regolarizzazione dei Gastarbeiter che finora non sono riusciti a diventare cittadini, ma il cui contributo alla crescita della Germania è stato interiorizzato come meritevole di un riscontro anche sul piano della partecipazione; dall’altro, rendere attrattiva per il personale straniero qualificato l’immigrazione in Germania, attraverso un processo di naturalizzazione facilitato e la possibilità della cittadinanza plurima; dall’altro, infine, assicurare il mantenimento dei livelli di benessere socio-economico attuali – ha favorito una nuova riflessione sull’urgenza di una profonda riforma della materia, in grado di rispecchiare tali mutate esigenze in termini più incisivi di quanto reso possibile dalla riforma del 1999 (sulle cui criticità, ancora, cfr. Palermo, 1999, 860 ss.).
È alla luce di quanto sopra che deve essere contestualizzato il punto programmatico inserito nell’accordo sottoscritto dalle forze politiche che sostengono il Governo presieduto dal Cancelliere Olaf Scholz (Koalitionsvertrag 2021-2025).
Esso prevede, alla voce «Pluralismo» («Vielfalt»), che «ciascuna e ciascuno abbiano gli stessi diritti, si tenda alle pari opportunità ed alla protezione [contro ogni discriminazione]» e, ancora, che le forze della coalizione «promuovano una società civile, pluralista, tollerante e democratica» (ivi, 116). Successivamente, nella sottovoce «Migrazione, partecipazione e diritto di cittadinanza» (ivi, 117), si riconosce che «[l]a migrazione era ed è da sempre parte della storia del nostro Paese. Le immigrate e gli immigrati, i loro figli e nipoti hanno contribuito a costruire il nostro Paese ed hanno lasciato la loro impronta. Simboleggia questo contributo il sessantesimo anniversario dell’accordo migratorio con la Turchia […]». Dato atto di quanto sopra, nel documento richiamato si precisa altresì che, «per creare nuove opportunità economiche e scientifiche in Germania, vogliamo che le persone provenienti da altri Stati possano più agevolmente studiare e ricevere una formazione nel nostro Paese» e, ancora, «[n]oi vogliamo creare un moderno diritto di cittadinanza, permettendo la cittadinanza plurima e semplificando l’iter per l’acquisizione della cittadinanza tedesca».
Al fine di agevolare l’accesso allo status, che implica a tutt’oggi come requisito necessario l’«Einordnung in die deutschen Lebensverhältnisse» («acquisizione dello stile di vita tedesco»), nel cit. accordo si dispone l’individuazione di criteri chiari e ciò, pur nel silenzio del documento, per vincolare la discrezionalità degli Uffici competenti. Traspare da tale assunto una nuova idea di integrazione, basata non sull’assimilazione ma sulla valorizzazione del pluralismo, che permetta ad ogni individuo, pur parte integrante della società tedesca, di mantenere la memoria della propria identità d’origine. Per suggellare questo nuovo approccio, le forze di coalizione si sono spinte a formalizzare l’impegno di pubblicizzare con apposite campagne informative la possibilità di accesso alla cittadinanza tedesca e, poi, di solennizzare questo passaggio di status attraverso il sostegno espresso da parte dello Stato di apposite cerimonie (ivi, 118). Operativamente, è stato proposto che «i bambini nati in Germania da genitori stranieri diventino cittadine e cittadini tedeschi se uno dei relativi genitori abbia la residenza abituale da almeno cinque anni» (attualmente il termine è ancora pari ad otto anni), ma anche che, «in presenza di particolari servizi per l’integrazione» (per esempio, lo svolgimento di attività di volontariato), lo status «possa essere concesso dopo tre anni» (ibidem), riservandosi di verificare le modalità di conservazione della cittadinanza d’origine nel corso dei passaggi generazionali. Infine, «[p]er il riconoscimento delle prestazioni lavorative», si esprime la volontà di «facilitare la naturalizzazione per gli appartenenti alla c.d. “generazione Gastarbeiter”, la cui integrazione per lungo tempo non fu sostenuta»; a tal fine, si dispone «l’abbassamento, per questo gruppo, del livello linguistico da certificare» e la creazione «di una disciplina derogatoria per casi particolari con riferimento alle certificazioni linguistiche» (ibidem).
Sulla base di questo accordo di governo, nello scorso novembre ha preso avvio un intenso dibattito tra le forze politiche, che dovrebbe tradursi, nei primi mesi dell’anno 2023, nella presentazione di un apposito progetto di legge (deutschland.de, 2022).
Già oggi, peraltro, dalla prospettiva che in questa sede rileva, assumono particolare interesse le dichiarazioni programmatiche del Cancelliere Scholz, rese nel suo discorso del 28 novembre 2022 (Scholz, 2022), con le quali si è ricordato non solo il contributo determinante offerto dai lavoratori stranieri al mantenimento del sistema pensionistico e della cassa malati, ma anche il principio fondante di ogni moderna democrazia in base al quale chiunque contribuisca alla crescita del Paese deve poterne essere parte a tutti gli effetti – «con tutti i diritti e doveri che ciò comporta, indipendentemente dalla sua origine, dal colore della pelle e dalla sua fede» (ibidem) –,  anche partecipando ai processi decisionali, dovendosi assicurare il contenimento dello squilibrio tra coloro che partecipano attivamente alla vita economica e gli aventi diritto al voto (Wahlvolk). Lo stesso Cancelliere ha poi appoggiato pienamente quanto affermato dalla Ministra federale Nancy Faeser, che ha ricordato la necessità di assicurare tempistiche certe nell’accesso allo status per coloro che abbiano una buona conoscenza della lingua tedesca e dimostrino la disponibilità di mezzi per il proprio sostentamento e la propria incensuratezza (Balser, Brössler, 2022).
È stata altresì considerata l’esigenza di intervenire su un altro degli ostacoli che finora si sono frapposti al conseguimento dello status, ovverosia il divieto di cittadinanza plurima (ibidem). Invero, già nel 2014 si era superata la regola dell’Optionspflicht (Dovere di opzione), sollevando i minori cresciuti in Germania dall’obbligo di scegliere tra la cittadinanza d’origine acquisita iure sanguinis e quella tedesca, escludendo però questa possibilità per i naturalizzandi iure soli non cresciuti nel Paese. Preso atto che molti fra gli aventi titolo (soprattutto i cittadini extra UE e, in particolare, turchi) non avviano l’iter di naturalizzazione per non recidere i legami con lo Stato d’origine, si sono dunque riconosciute le potenzialità della doppia cittadinanza, intesa quale strumento di integrazione (Scholz, 2022) – in quanto capace di permettere all’interessato di vivere la propria appartenenza plurima senza condizionamenti – e non più, come ancora in un passato recente, quale espressione di una scarsa lealtà nei confronti del Paese di adozione (in generale, su questa nuova prospettiva, Panzeri, 2022, 105 ss.).
Occorre ora attendere che gli obiettivi programmatici sopra esaminati abbiano sèguito con il perfezionamento di un testo di riforma. E sebbene le forze politiche di opposizione abbiano espresso posizioni critiche nei confronti di questo nuovo approccio, finanche denunciando il rischio di una «Verramschen des deutschen Passes» («svendita della cittadinanza») (Frei, Gavrilis, 2022), questa prospettiva pare densa di implicazioni positive, in quanto l’unica capace non solo di incentivare la necessaria immigrazione di mano d’opera qualificata (Fachkräfteeinwanderung), ma anche di favorire un autentico processo di integrazione, nell’interesse di quel pluralismo che ha reso la Germania, dal secondo dopoguerra, un Paese protagonista nello sviluppo democratico dell’Occidente.