Colpevoli, indolenti, e soprattutto tanti: i nuovi poveri americani.

Quando le leggi invece di combattere la povertà ne giustificano l’esistenza, allora si vive in una società come quella americana di oggi, una società ingiusta, ed oggi più ingiusta di ieri: questo è quanto argomenta e dimostra il bel saggio di Elisabetta Grande, Guai ai poveri! La faccia triste dell’America, appena uscito in libreria nella collana i Ricci delle edizioni Gruppo Abele (172 pagine, 14 euro; l’autrice ha donato i diritti al Gruppo Abele).

 Il testo di Elisabetta Grande è ricco di storie esemplari, ma anche di informazioni statistiche e dati  tratti da una vasta letteratura (sono oltre cento le fonti citate), ed è certo scritto con ineccepibile mestiere accademico e con chiarezza di stile, ma soprattutto con grande, grandissima passione. Le tante storie che Grande ci propone, prodotte dalla fondamentale irrazionalità sociale del mercato non regolato e dell’egoismo economico, ci rivelano quanto sia cruciale l’altruismo come fattore normativo e di politica economica, e quanto sia essenziale che la legislazione sia informata e guidata da una preoccupazione altruista. È il diritto, è la legge, infatti, a creare povertà e diseguaglianza, ci ripete Grande nel suo Guai ai poveri!, e un diritto basato sul fondamentale disprezzo per la qualità della vita altrui è un diritto che non funziona, e abbassa la qualità della vita di tutti, non soltanto delle pretese “minoranze” povere, colpevoli di esserlo secondo quel diritto. E questo diritto crudele e irrazionale amplifica con le sue leggi e normative l’individualismo tipico della società americana, producendo la solitudine degli ultimi, come documenta Grande a più riprese: “Il messaggio individualizzante del ciascuno per sé e della divisione sociale passa negli Stati Uniti attraverso norme giuridiche nei più disparati settori del diritto.” E questo diritto irrazionale e crudele viene esportato e “globalizzato” dalle nazioni ricche (gli Stati Uniti, in primo luogo) al mondo intero, disegnando per i nostri figli un futuro di maggioranze schiave e in concorrenza tra loro. Per il bene dei nostri figli, l’unico diritto razionale, allora, è un diritto “morale”, cioè improntato a criteri di giustizia.
E invece, tanti sono i capitoli dell’ingiustizia e immoralità che Grande ci descrive di una società come quella americana in cui ai numerosi poveri si aggiungono i poverissimi, cioè quegli oltre 20 milioni di esseri umani che si ritrovano al di sotto della metà (!) della soglia di povertà nel paese più ricco del mondo (addirittura il 6,6% di poverissimi a livello federale nel 2014; erano la metà, il 3,3%, nel 1976). Nel paese più ricco del mondo, oggi una persona su sette è povera (il 14,8% nel 2014), e l’assurdo è che i poveri sono aumentati proprio in un periodo che ha visto la ricchezza media dell’adulto americano crescere del 50% (dal 2008 al 2014, secondo un rapporto di Credit Suisse). Ma questo surreale rapido aumento della ricchezza che ha accompagnato la crisi finanziaria odierna si è concentrato proprio nelle mani di quei pochi, di quei pochissimi che innanzitutto hanno prodotto la crisi, e che oggi si circondano di una società dove un bambino su trenta non ha fissa dimora, e dove il numero dei senzatetto aumenta in modo costante, ed oggi è composto per più di un terzo da intere famiglie: “Trattato come la spazzatura il cui smaltimento è redditizio per chi lo realizza, chi non ha, diventa, ancora una volta, una risorsa per chi ha e il flusso che proviene dal rubinetto della povertà non si arresta, in modo che la sofferenza del più debole possa essere fonte di guadagno per il più forte.”
E così, alla fotografia tradizionale dell’anziano clochard solitario si è aggiunta in anni recenti non solo l’istantanea del nucleo familiare che vaga senza casa, ma anche il video irragionevole della persona con impiego e stipendio regolare che non può pagarsi un alloggio: “prendiamo Scott Peebles, di 53 anni, conducente di pullman, che tutti i giorni da San Francisco trasporta i ragazzi assunti dalla Apple nella Silicon Valley. Scott, come tanti altri guidatori di bus che lavorano per Apple, Google o Yahoo, non ha casa, ma dorme nella sua macchina, perché nonostante un salario di circa 3.000 dollari al mese non può permettersi un appartamento in affitto. Da quando la Silicon Valley attrae tanti nuovi affittuari benestanti, i prezzi di un monolocale a San Francisco sono infatti più alti del suo stipendio (nel 2015 l’affitto medio era di 3.300 dollari) e siccome Scott deve trovarsi a San Francisco per trasportare i ragazzi alle 6 del mattino non ha senso per lui cercare casa a più di un’ora di distanza dove forse troverebbe un appartamento alla sua portata.” Ed ecco dunque che vediamo Scott lavarsi al mattino nei bagni della Apple dopo una scomoda notte passata in auto cercando il sonno.
Scott Peebles è l’emblema della società efficacemente descritta da Zygmunt Bauman, la società del consumismo a cui la creazione di rifiuti umani è funzionale. Guai ai poveri! ha il merito di dimostrare e sottolineare che è il diritto a correre in aiuto della necessaria creazione di quelle che Bauman chiamerebbe vite da scarto. Infatti, ci dice Elisabetta Grande, è proprio il diritto a fornire “alla globalizzazione e alla liberalizzazione dei mercati gli strumenti giuridici e i fori di risoluzione delle dispute, consentendo che la corsa al ribasso nello sfruttamento della mano d’opera avvantaggi le grandi imprese e metta in concorrenza tutti i poveri del mondo, senza porre limiti etici o comunque in grado di proteggere la sopravvivenza delle persone e del pianeta.”
E lo spettacolo del nuovo povero, ci mostra l’autrice, è così frequente da diventare invisibile: “Il nuovo povero sta sulle scale di casa quando esci, lo trovi con il bicchiere di carta in mano fuori dal ristorante dove hai assaporato una deliziosa cena o sta gettato sul marciapiede con a fianco la sua carrozzella da handicappato lungo la strada che percorri per raggiungere il teatro dove è di scena il tuo spettacolo preferito.” Ed è proprio per esorcizzare questo indecoroso spettacolo dell’ineguaglianza che chi non vuol vedere lo giustifica colpevolizzando chi non ha. Perché il povero è povero? Perché è svogliato e pigro, se avesse voglia di lavorare farebbe come Scott Peebles, dormendo in auto e lavandosi nei bagni della Apple….