Esercizi di common law constitutional interpretation: Obergefell v. Hodges e il diritto fondamentale al matrimonio tra persone dello stesso sesso


1.
Nel corso dell’ultimo anno, il movimento a favore dei diritti delle coppie omosessuali ha ottenuto una serie di vittorie, dal referendum irlandese alla recentissima pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Oliari c. Italia. A nessuna di queste vittorie è però stato attribuito, sul piano mediatico e sul quello lato sensu politico, lo stesso significato di cui è stata tributaria la pronuncia della Corte Suprema nel caso Obergefell v. Hodges, sia per il ruolo trainante del modello americano, sia per l’inequivocabile affermazione del carattere fondamentale del diritto al matrimonio tra le coppie dello stesso sesso.

L’approccio “incrementale” rispetto al riconoscimento dei nuovi diritti che caratterizza, in via generale, i modelli di common law ha fatto si che la pronuncia in questione non giungesse del tutto inaspettata. Le due decisioni dello scorso term, Windsor v. United States e Hollingsworth v. Perry, avevano preservato, con una soluzione pragmaticamente di compromesso, la libertà degli Stati in relazione alla disciplina delle licenze matrimoniali, sebbene le pronunce lasciassero al contempo scorgere il favor costituzionale verso il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Infatti, gli Stati restavano liberi di decidere se riconoscere o meno il right to same-sex marriage, ma il governo federale non poteva più subordinare il riconoscimento dei diritti connessi al rapporto di convivenza o di coniugio all’eterosessualità dei partners. Con Obergefell v. Hodges, invece, la Corte conferisce al diritto al matrimonio delle coppie dello stesso sesso il rango di fundamental right. La qualificazione è carica di conseguenze. In primo luogo, ne deriva l’applicazione dello scrutinio stretto in presenza di eventuali violazioni. In secondo luogo, tale caratterizzazione implica – in ragione della tipicità del sindacato sulla “fondamentalità” dei diritti – l’apprezzamento del rilievo che la posizione giuridica in contestazione ha assunto nell’ambito della tradizione culturale americana.

L’operazione è però compiuta al prezzo di una coerenza argomentativa che è ricostruibile solo alla luce delle caratteristiche peculiari di un’interpretazione costituzionale innestata in un ordinamento appartenente alla cultura giuridica di common law.

2. La causa da cui trae origine la decisione è intentata da alcune coppie gay che ricorrono avverso il provvedimento con cui i pubblici ufficiali di Michigan, Kentucky, Ohio e Tennessee – Stati che definiscono l’istituto matrimoniale come l’unione tra un uomo e una donna – rifiutano di espletare le formalità richieste per la conclusione del matrimonio. Le parti attrici invocano sia la clausola del due process sia quella dell’equal protection of law del XIV Emendamento, sostenendo che il mancato riconoscimento del diritto al matrimonio violi la loro libertà e li ponga in una situazione di discriminazione, rispetto alle coppie eterosessuali, nel godimento di un diritto fondamentale.

La Corte si divide. La componente liberal, guidata questa volta da Justice Kennedy, costruisce il reasoning sul primo profilo e riconduce il diritto al matrimonio alla giurisprudenza in materia di due process. Il riconoscimento del right to marry alle coppie dello stesso sesso è così giustificato sulla base della sua inerenza al concetto di liberty, tutelato dal XIV Emendamento rispetto alle violazioni poste in essere dagli Stati federati.

Kennedy richiama quattro principi costituzionali, radicati nella tradizione americana, che giustificano la caratterizzazione come fondamentale del diritto in questione. In primo luogo, il diritto al matrimonio è strettamente connesso alla libertà di assumere scelte nella sfera personale. In secondo luogo, attraverso l’istituto in parola l’ordinamento giuridico protegge un’unione tra due persone caratterizzata dall’assunzione di un impegno reciproco che non ha eguali in istituti affini. In terzo luogo, il matrimonio è funzionale alla crescita dei figli, i quali trovano nella cornice del rapporto di coniugio un ambiente stabile che ne garantisce lo sviluppo sereno. Infine, l’istituto matrimoniale è il “keystone of our legal order”, è in altri termini il nucleo essenziale sul quale è organizzata la comunità politica e sociale.

La lunga disamina dei principles and traditions che giustificano il carattere fondamentale del diritto al matrimonio serve alla maggioranza per ricondurre la soluzione, autenticamente innovativa per l’ordinamento, nell’alveo della tradizione giuridica americana, in ossequio alla giurisprudenza in materia di fundamental rights, sempre attenta a ricostruire le posizioni giuridiche soggettive di questo tipo a partire dalla constatazione per cui esse esprimono innanzitutto esigenze di tutela che affondano le loro radici nella tradizione giuridica e nella cultura della Nazione.

Anche di fronte all’ipotesi di una nuova situazione giuridica protetta, l’ossessione della giurisprudenza costituzionale americana rimane quella di giustificare i “nuovi” ambiti di tutela dei diritti ovvero le nuove necessità di protezione di diritti storicamente esistenti, sulla base di un mutamento già avvenuto nella società americana in un determinato momento storico. Il carattere fondamentale di un diritto riguarda sempre la posizione giuridica così come radicata nella storia e nella cultura della comunità socio-politica statunitense. Tuttavia, l’analisi così modellata non può bastare nel caso di specie almeno per due ragioni. In primo luogo, perché la circostanza per cui il right to marry sia fundamental non giustificherebbe di per sé l’estensione alle coppie dello stesso sesso, in assenza di una valutazione sulla ragionevolezza della differenza di trattamento; in secondo luogo perché il radicamento in concreto nella comunità socio-politica deve essere avvenuto e non in fieri o, peggio, meramente possibile.

Alla Corte serve dunque richiamare la sua natura di potere contro-maggioritario proprio nel momento in cui si sforza di motivare la propria scelta sulla base della comune accettazione di principi tradizionali della cultura giuridica americana. L’arma del due process sostanziale – ovvero del sindacato sulla ragionevolezza del contenuto del provvedimento limitativo della libertà – è troppo facilmente accessibile per non essere impiegata. Così, Kennedy ricorre al cosiddetto substantive due process, la tecnica di constitutional adjudication più contestata nella storia della giurisprudenza americana, in ragione sia della sua attitudine ad aprire al riconoscimento di posizioni giuridiche nuove – comunque ricomprese nel concetto di libertà – sia della sua capacità di ampliare o restringere i poteri dell’organo legislativo secondo il ragionevole (e mutevole) apprezzamento dei giudici supremi. E di fatti, è su questa scelta che si concentrano le dissenting opinions dei giudici del blocco conservatore, i quali hanno gioco facile a richiamare i precedenti della Lochner era per rammentare gli esiti imprevedibili cui il ricorso al due process in senso sostanziale è in grado di condurre.

Del resto, l’altra strada argomentativa, pure in parte percorsa, ovvero quella dell’analisi modellata sulla equal protection clause avrebbe forse evitato di concentrare il reasoning sul due process conducendo allo stesso risultato. Eppure la maggioranza vi rinuncia pressoché completamente. Le ben note tecniche di sindacato, fondate sul principio di eguaglianza, non vengono utilizzate dalla Corte. Di più, i giudici si limitano, piuttosto apoditticamente, a dire che «the challenged laws burden the liberty of same-sex couples, and it must be further acknowledged that they abridge central precepts of equality» (Slip Op., p. 22). Su questo profilo, nel ragionamento del Collegio riecheggiano, in qualche misura, le argomentazioni di altre Corti costituzionali (su tutte quella sudafricana nel noto caso Fourie) che hanno spesso collegato il divieto del matrimonio tra persone dello stesso sesso alla violazione della dignità personale, in almeno due diverse e complementari prospettive. Il divieto in questione, infatti, si sostanzia innanzitutto nella negazione della libertà di vivere con dignità una scelta personalissima e, in secondo luogo, nel mancato riconoscimento della natura degna in sé del legame affettivo tra due esseri umani. Da questa particolare prospettiva, poi, la violazione del principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge risulta ancora più manifesta.

3. La minoranza conservatrice (il Chief Justice Roberts e i giudici Scalia, Thomas e Alito) non è persuasa, ma non contesta in alcun punto la posizione giuridica in sé e per sé. Tanto Roberts quanto Scalia, al contrario, riconoscono apertamente di non essere ideologicamente contrari al right to same sex marriage. Entrambi criticano il metodo impiegato dalla maggioranza e soprattutto il disinvolto superamento di un atteggiamento di self-restraint che sarebbe stato giustificato, a opinione del blocco conservatore, in almeno due prospettive. Per un verso, in ragione dell’opportunità di lasciare al legislatore la disciplina di una materia che interroga il processo politico prima ancora delle corti. Per l’altro, a causa della riconducibilità della disciplina dell’istituto matrimoniale alla competenza legislativa statale (rientrando peraltro a pieno titolo nella nozione di police power) e non già federale.

La posizione della maggioranza, sul primo aspetto, è molto chiara: il processo politico è la sede della lotta per i diritti, tuttavia il loro riconoscimento non può sempre attendere che giunga finalmente il consenso della maggioranza. Al contrario, la pretesa di ottenere il riconoscimento di diritti negati deve poter essere soddisfatta attraverso la loro giustiziabilità in concreto. Così, il Collegio rivendica il suo ruolo contro-maggioritario, percorrendo, in qualche misura in senso inverso, la strada intrapresa nella premessa del ragionamento in cui dichiarava di radicare strettamente la posizione soggettiva in contestazione nella tradizione culturale e giuridica americana. Come dire: il matrimonio è l’istituto sul quale questo Stato poggia le proprie radici, tanto sul piano della realizzazione individuale, quanto su quello della costruzione dell’ordine sociale. Di conseguenza, non esistono ragionevoli motivi per negare un diritto così fondamentale alle coppie dello stesso sesso, sebbene la società civile non sia, in via generale, ancora pronta a questo mutamento culturale.

Kennedy insomma chiarisce che la Corte non intende affatto affermare un new right to same-sex marriage. La posizione giuridica soggettiva trova la giustificazione della sua centralità nella tradizione, ma si giova di un’interpretazione sensibile alle nuove esigenze degli esseri umani “situati” nella società contemporanea. Il Collegio non inventa, dunque, un nuovo diritto, non intende leggere nella Costituzione la tutela di una posizione giuridica non immaginata dai Framers. Al contrario, estende la protezione di un diritto profondamente radicato nella cultura, nella storia costituzionale e nell’ordinamento giuridico degli Stati Uniti.

4. E’ significativo che la tendenza allo scetticismo, peraltro richiamato dal Chief Justice in chiusura dell’opinione dissenziente, venga tradita proprio in un caso costruito attorno alla dimensione morale del rapporto di coppia. In altri termini, la propensione a rifuggire dalle ricostruzioni dogmatiche che offrono soluzioni giuridiche sulla base di giudizi assoluti di natura morale lascia il posto alla strenua difesa dei diritti civili delle coppie dello stesso sesso.

Per il costituzionalista, tuttavia, l’aspetto più interessante di Obergefell v. Hodges risiede forse altrove. Si tratta di una decisione emblematica soprattutto in ragione della sua attitudine a esprimere le caratteristiche tipiche della cosiddetta common law constitutional interpretation (v. D.A. Strauss, Common Law Constitutional Interpretation, in 63 University of Chicago Law Review 877 1996). E difatti combina il tradizionalismo e il convenzionalismo, da un lato, con lo sforzo di cogliere le nuove esigenze di tutela che provengono dalla società civile dall’altro. L’argomentazione è costruita su questo equilibrio, sulla necessità cioè di giustificare la protezione del diritto al matrimonio tra persone dello stesso sesso sulla base del ricorso alla tradizione al solo fine di evidenziare l’emersione della posizione giuridica in questione dal corpus di precedenti e principi che informano la cultura giuridica americana.

La ragione risiede nella sfiducia che il common law nutre nei confronti di soluzioni autenticamente innovative, che smentiscono la saggezza delle opzioni già percorse e derivanti dall’esperienza consolidata.

L’interpretazione costituzionale si salda in questa prospettiva alla tradizione di common law. L’aggancio testuale, alle due clausole del XIV Emendamento, è combinato con la necessità di ricavare nella (e giustificare grazie alla) tradizione giuridica gli elementi per un’interpretazione evolutiva del testo. Ad essere impiegata è, in altri termini, la natura razionale del tradizionalismo, il suo fondarsi cioè non su una ricostruzione mistica del common law (v. J.G.A. Pocock, The Ancient Constitution and the Feudal Law: A Study of English Historical Thought in the Seventeenth Century, Cambridge U.P., 1957, 33-34), bensì sulla perfetta razionalità di soluzioni impiegate e sperimentate nel corso del tempo. È la giustificazione razionale del tradizionalismo a suggerire l’opportunità di un cambiamento che deve però seguire un andamento evolutivo e non rivoluzionario. Così si spiega forse la scelta di incentrare la motivazione sull’istituto matrimoniale e sul suo porsi quale elemento fondamentale su cui poggia l’architettura sociale, invece che sulla dimensione emancipativa e sul significato – carico di ripercussioni politiche – antidiscriminatorio del riconoscimento del diritto al matrimonio nei confronti delle coppie dello stesso sesso .

Questo sforzo finisce però, in ultima analisi, per tradire il percorso argomentativo nel momento in cui Kennedy spiega che la garanzia dei diritti non può attendere l’accettazione di una certa posizione giuridica da parte della comunità politica. Quando cioè la Corte decide di indossare la veste di potere contro-maggioritario smentisce il reasoning costruito sulla premessa per cui l’interpretazione costituzionale non produce mai risultati autenticamente innovativi, ma sempre guidati dalla necessità di preservare non già la coerenza dell’ordinamento, ma la razionalità e il bagaglio di saggezza della tradizione giuridica. La maggioranza tradisce, insomma, quell’atteggiamento di umiltà che la common law suggerirebbe al giudice costituzionale di conservare proprio nel momento in cui impiega ampiamente e diffusamente il metodo dell’interpretazione costituzionale di quella tradizione giuridica. Justice Scalia sembra rilevare questo profilo nelle ultime battute della sua dissenting opinion. Al giudice Kennedy, e all’intero blocco liberal, manca però, in questo caso emblematico, il coraggio di motivare la decisione senza indugiare così ampiamente sulla tradizione e sulla dimensione morale della pretesa azionata in giudizio. A impedirlo sono per un verso gli stilemi dell’interpretazione costituzionale americana (su tutti: le caratteristiche peculiari del sindacato sui fundamental rights) e, per l’altro, le insidie nascoste dietro al ricorso alla clausola del due process sostanziale. Questi due elementi suggeriscono al Collegio di ricercare solidi agganci nel passato per restituire l’idea di una Corte che non inventa posizioni giuridiche nuove, ma ricava margini di tutela dal testo costituzionale, letto alla luce della tradizione e aperto alle esigenze dell’”uomo situato”.

Meno pragmatici del solito, i giudici supremi consegnano una sentenza che è già divenuta un simbolo per le lotte progressiste di emancipazione e anti-discriminazione pur essendo costruita sulla più classica delle tradizioni culturali e pur essendo permeata di ossequio nei confronti di uno dei più antichi istituti che il diritto conosca. Il risultato però è raggiunto. You can’t always get what you want.