I dubbi del Consiglio di Stato sul rinvio pregiudiziale alla Corte UE del giudice di ultima istanza. Ma è davvero tutto così poco “chiaro”? (Note a prima lettura su Cons.Stato 5 marzo 2012 n.4584)

L’ordinanza di rimessione alla Corte di Giustizia del Consiglio di Stato.

Ha destato notevole interesse l’ordinanza con la quale il Consiglio di Stato ha rivolto alcuni quesiti pregiudiziali alla Corte di Giustizia –ord.5.3.2012 in proc. 4584 del 2011, in http://www.giustizia-amministrativa.it/DocumentiGA/Consiglio%20di%20Stato/Sezione%206/2011/201104584/Provvedimenti/201201244_18.XML-.

Il provvedimento, che pure solleva in via subordinata questioni pregiudiziali in ordine al regime concorrenziale e degli aiuti di stato che non saranno oggetto della presente analisi, svolge numerose considerazioni sul ruolo del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia affermando, in estrema sintesi, che:

1)la giurisprudenza comunitaria, rispetto all’obbligo del giudice di ultima istanza di rimettere alla Corte di Giustizia il rinvio pregiudiziale, ha tra l’altro affermato che lo stesso va escluso quando la corretta applicazione del diritto comunitario può imporsi con tale evidenza da non lasciar adito a nessun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata


2) in caso di obbligo del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, il mancato rispetto di tale prescrizione determinerebbe secondo la giurisprudenza di Lussemburgo la responsabilità degli Stati membri, che sono tenuti a risarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto dell’Unione riconducibili ad organi giudiziari- si richiamano, in particolare, Corte giust. CE, 30 settembre 2003 C-224/01, Köbler; Corte giust., 13 giugno 2006 C-173/03, Traghetti del Mediterraneo; Id., sez. III 24 novembre 2011, causa C-379/10 Commissione europea c. Repubblica italiana].

3) le questioni pregiudiziali sollevate dall’appellante erano state formulate in termini generici o con riferimento a norme comunitarie palesemente non pertinenti al caso specifico, tanto da essere dichiarata irrilevante o inammissibile, ovvero da imporre un’integrale riformulazione da parte del giudice.

4)secondo il diritto processuale amministrativo la richiesta di rinvio pregiudiziale andrebbe inquadrata nell’ambito dei motivi di ricorso, vigendo il principio della domanda di parte, il principio della specificità dei motivi di ricorso con conseguente inammissibilità dei motivi generici, il divieto di modifica dei motivi in corso di causa; in ossequio al principio della domanda, il giudice non può modificare una domanda di parte, pena la violazione del principio del contraddittorio. Alla luce delle regole del processo amministrativo sopra enunciate, la “domanda pregiudiziale” proposta dall’appellante come primo motivo di appello, dovrebbe essere valutata, anzitutto, come “motivo di ricorso” alla stregua delle regole processuali nazionali. Inoltre, secondo le regole processuali nazionali, la censura di contrasto dell’atto amministrativo impugnato con il diritto comunitario andrebbe trattata come un ordinario motivo di ricorso, e dunque andrebbe proposta dalla parte entro i termini di impugnazione dell’atto amministrativo, con motivo specifico, da articolarsi sin dal primo grado di giudizio, non potendo tale censura essere formulata per la prima volta in appello. Per tali ragioni sarebbe stato necessario affermare che il motivo di ricorso era inammissibile per genericità, in quanto, in relazione alla dedotta censura di contrasto dell’atto amministrativo impugnato con il diritto comunitario, sollevava una questione d’interpretazione del diritto comunitario limitandosi a elencare norme nazionali e disposizioni comunitarie, e a dichiarare che vi è una “questione d’interpretazione”, ma non chiarisce in cosa consisterebbe siffatta questione d’interpretazione.

5) l’art. 267, par. 3, TFUE, né la giurisprudenza della Corte di giustizia CE che lo ha interpretato forniscono chiarimenti sul rapporto tra l’obbligo di rinvio pregiudiziale e le regole processuali nazionali.

6) non è chiara la portata e l’ambito del giudizio di “rilevanza” della sollevata questione pregiudiziale, ai fini del decidere: la Corte di Giustizia CE non avrebbe indicato in modo univoco se il giudizio di rilevanza sia riservato al giudice nazionale, o possa essere sindacato dalla stessa Corte di Lussemburgo. Né sarebbe chiaro qual è l’ambito del potere del giudice nazionale di escludere la rilevanza, se per valutare la rilevanza occorra comunque stabilire se il diritto comunitario è o no applicabile al caso concreto, né quali sono le conseguenze giuridiche, anche in termini di responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario, se il giudice a quo esclude la rilevanza della questione d’interpretazione del diritto comunitario, errando nel valutare se il diritto comunitario è o meno applicabile al caso concreto.

7) l’art. 267, par. 3, TFUE configura un obbligo di rinvio pregiudiziale sulla interpretazione del diritto comunitario, quando una tale questione “è sollevata”. Secondo il giudice remittente la formulazione della disposizione sembra pertanto configurare un obbligo di rinvio ogni qual volta una questione sia sollevata da una o più delle parti di causa. La giurisprudenza della Corte, sopra citata, ha ipotizzato una sorta di “filtro”, per il caso di questioni non rilevanti, o già decise, o già chiare oltre ogni ragionevole dubbio. Sembra trattarsi di un filtro a maglie larghe che lascia poco margine ad un sindacato valutativo del giudice nazionale, atteso che, da un lato, il dato testuale dell’art. 267, par. 3, TFUE sembra prevedere un “obbligo” incondizionato, sicché eventuali deroghe devono essere tassative, e atteso che le questioni interpretative “chiare” sono evenienza rara e che la stessa valutazione di “rilevanza” della questione può presupporre la soluzione di questioni interpretative del diritto comunitario. Invece, nel sistema del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, sembra esclusa, in capo al giudice nazionale di ultima istanza, qualsiasi competenza ad interpretare il diritto comunitario, potendo il giudice nazionale escludere il rinvio pregiudiziale solo se la norma comunitaria sia chiara al di là di ogni ragionevole dubbio.

8) Nel sistema del processo amministrativo italiano, come risulta dal codice del processo amministrativo, vigendo il principio della domanda di parte, il principio della specificità dei motivi di ricorso con conseguente inammissibilità dei motivi generici, il divieto di modifica dei motivi in corso di causa; in ossequio al principio della domanda, il giudice non può modificare una domanda di parte, pena la violazione del principio del contraddittorio. Alla luce delle regole del processo amministrativo sopra enunciate, la “domanda pregiudiziale” proposta dall’appellante come primo motivo di appello, dovrebbe essere valutata, anzitutto, come “motivo di ricorso” alla stregua delle regole processuali nazionali.

9) l’attuale giurisprudenza della Corte di Giustizia non consentirebbe di individuare la portata stessa del rinvio pregiudiziale con riguardo alla responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’UE, dovendo essere “…chiarito dalla Corte di  giustizia CE, alla luce della interpretazione dell’art. 267, par. 3, TFUE, in quali casi il mancato rinvio pregiudiziale dà luogo a “manifesta violazione del diritto comunitario” [Corte giust. CE, 30 settembre 2003 C-224/01, Köbler; Id., sez. III 24 novembre 2011 C 379/10 Commissione europea c. Repubblica italiana] e se tale nozione possa essere di diversa portata e ambito ai fini dell’azione speciale nei confronti dello Stato ai sensi della legge 13 aprile 1988 n.117 per “risarcimento danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati” e dell’azione generale nei confronti dello Stato per violazione del diritto comunitario, e tanto, anche al fine di evitare che i giudici nazionali, nel timore di incorrere in violazione del diritto comunitario, aggravino la Corte di Giustizia CE con rinvii puramente “difensivi” finalizzati a prevenire azioni di responsabilità civile contro i magistrati.

Dopo avere formulato i quesiti pregiudiziali che saranno di seguito riportati, il Consiglio di Stato offre alla Corte di Giustizia la propria opinione, affermando che “…l’art. 267, par. 3 TFUE non dovrebbe ostare alle regole processuali nazionali in tema di termini di ricorso, specificità dei motivi di ricorso, principio della domanda, divieto di modifica della domanda in corso di causa, divieto per il giudice di soccorso della parte nella formulazione delle domande, in violazione della parità delle armi, sicché quando la parte solleva una questione pregiudiziale comunitaria davanti al giudice nazionale dovrebbe farlo in termini sufficientemente chiari e specifici, e coerenti con i parametri richiesti dalla Corte di  giustizia CE.”

Inoltre, secondo il giudice rimettente, in ossequio ai principi di ragionevole durata del processo, divieto di abuso del diritto di difesa, lealtà processuale, l’art. 267, par. 3 TFUE andrebbe interpretato nel senso che l’obbligo di rinvio pregiudiziale non impedisce un vaglio critico da parte del giudice a quo della questione d’interpretazione del diritto comunitario, e consente al giudice a quo di non rinviare la questione non solo nel caso di “assoluta chiarezza” della norma comunitaria, ma anche nel caso in cui il giudice nazionale ritenga, in base ad un parametro di ragionevolezza e diligenza professionale, che la norma comunitaria sia “ragionevolmente chiara” e non necessita di ulteriore chiarificazione.>>

 

Perché il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia- obbligatorio e facoltativo- rimane centrale per la corretta attuazione del diritto UE.

Leggendo l’ordinanza in rassegna sembra di intravedere la preoccupazione che il rinvio pregiudiziale, da strumento centrale per l’affermazione uniforme dei diritti di matrice comunitaria stia per diventare un bubbone capace di germinare violazioni di principi fondamentali, incidenti sulla stessa efficacia ed effettività della tutela giurisdizionale.

Tale impressione non convince.

Ed invero, sull’efficacia del rinvio pregiudiziale, facoltativo od obbligatorio che sia, particolarmente illuminanti sembrano le Conclusioni dell’Avvocato Generale Ruiz-Jarabo  Colomer presentate il 28 giugno 2007 nella causa C-262/06, Deutsche Telekom AG, ove si chiarisce che il rinvio pregiudiziale «lungi dal costituire un interrogatorio in cui un giudice si limita a formulare quesiti aspettando che l’altro giudice gli fornisca una risposta, si presenta come un autentico dialogo, una conversazione in cui i partecipanti esprimono le loro considerazioni, sebbene l’ultima parola, per ragioni istituzionali e di uniformità del sistema, spetti ad uno solo di essi, che impone la propria opinione tenendo conto del parere degli altri».

E’ dunque la stessa Corte di Giustizia a riconoscere che il sistema introdotto per assicurare l’unità dell’interpretazione del diritto comunitario negli Stati membri istituisce una cooperazione diretta tra la Corte e i giudici nazionali basato su un dialogo tra giudici, il cui avvio si basa interamente sulla valutazione della pertinenza e della necessità del detto rinvio compiuta dal giudice nazionale –Corte giust. 16 dicembre 2008 C210/06, Cartesio Oktató és Szolgáltató bt, pp.90 e 91-.

Come osserva l’Avvocato Generale Poiares Maduro nelle Conclusioni presentate il 22 maggio 2008- causa C210/06- la possibilità, per un organo giurisdizionale di grado inferiore in ogni Stato membro, di interagire direttamente con la Corte di giustizia è essenziale ai fini dell’uniforme interpretazione e dell’effettiva applicazione del diritto comunitario.

Attraverso la domanda di pronuncia pregiudiziale, il giudice nazionale diventa parte di una discussione di diritto comunitario senza dipendere da altri poteri o da altre autorità giudiziarie nazionali, le quali nemmeno possono limitare od opporsi a tale scelta, anche se strutturate in posizione gerarchica superiore rispetto al giudice che intende sollevare il rinvio.

Estremamente significative appaiono, altresì, le Conclusioni dell’Avvocato Generale Ruiz-Jarabo  Colomer presentate il 25 giugno 2009 nella causa C-205/08,  ove si intravede nel dialogo pregiudiziale uno strumento straordinario per il «rafforzamento della voce istituzionale di un potere degli Stati membri: la giustizia».

Ciò che, in definitiva, significa valorizzare il ruolo  fondamentale dei giudici nazionali  nello spazio costituzionale europeo.

E’ dunque la giurisdizione «in quanto potere basato sull’indipendenza sul rispetto della legge e sulla risoluzione delle controversie» a godere di «una voce singolare, staccata dallo scenario politico e legata unicamente alla volontà del diritto». Per questo «…L’autorevolezza dell’ordinamento europeo è quindi intrisa di una forte componente giudiziaria. Non è esagerato ritenere che la Corte di giustizia sia il responsabile ultimo del diritto dell’Unione grazie ai giudici nazionali».

Ed è sempre Ruiz-Jarabo Colomer a sottolineare che «grazie al dialogo tra giudici sono stati definiti, uno ad uno, i tratti genetici del nuovo ordinamento: l’effetto diretto, il primato del diritto comunitario,  la responsabilità , l’effettività, l’equivalenza e molti altri principi che articolano il sistema giuridico dell’Unione ».

La valenza straordinaria del dialogo pregiudiziale emerga, ancora una volta, dalle parole dell’Avvocato Generale Ruiz-Jarabo Colomer, quando egli affermava che «la giurisprudenza comunitaria ha introdotto tali giudici nel dialogo pregiudiziale, non tanto allo scopo di aumentare il numero dei rinvii, quanto piuttosto per preservare l’autonomia istituzionale degli Stati membri».

Convince, così Ruiz-Jarabo Colomer nel ritenere che è proprio il rinvio pregiudiziale ad alimentare il dibattito giudiziario europeo. E sotteso a tale rinvio non è il desiderio della Corte di giustizia di esercitare un controllo sull’affluenza di procedimenti sottoposti alla sua giurisdizione quanto l’intenzione di rispettare e mostrare una certa deferenza nei confronti della concezione della funzione giurisdizionale in ciascuno Stato membro. In questa direzione milita, del resto, la possibilità del giudice nazionale di sollecitare nuovamente il rinvio pregiudiziale per indurre la Corte di giustizia a rimeditare  la soluzione offerta rispetto ad una questione. Sembrano dunque essere quelle sopra esposte le ragioni che inducono  la Corte di giustizia ad attribuire al giudice nazionale il ruolo di “giudice comunitario di diritto comune” -senza obbligarlo al rinvio pregiudiziale-.

In questa direzione si pongono le conclusioni rese dall’Avvocato Generale Ruiz-Jarabo  Colomer nella causa C-14/08, Roda Golf & Beach Resort SL, ove si sottolinea che «Il rinvio pregiudiziale si articola come una cooperazione tra giudici, finalizzata alla ricerca di una soluzione uniforme che sia adatta al caso concreto e alla necessità di coerenza dell’ordinamento comunitario. Tale strumento instaura pertanto un rapporto costruttivo da giudice a giudice e non da caso a caso»-p.52-.

Affermazioni, queste ultime, che emarginano la metafora della “piramide” tra Corte comunitaria e giudice nazionale, invece facendo emergere i tratti, misti, di autonomia, volontarietà, bidirezionalità  e dipendenza  sistematica che disegnano tale rapporto al quale rimane così estranea la logica dei vincitori e dei vinti.

Certo, tratti in parte diversi assume il sistema dei rapporti fra giudice di ultima istanza e la Corte UE che più qui interessa.

La ratio principale dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ora disciplinato dall’art.267 3^ par.TFUE  è quella di impedire il formarsi o il consolidarsi di una giurisprudenza nazionale che rechi errori di interpretazione o un’erronea applicazione del diritto comunitario.

Tale obbligo è commisurato alla posizione strategica di cui godono le corti supreme negli ordinamenti giuridici nazionali. Infatti, nel rispetto del loro tradizionale ruolo di unificazione del diritto, dette corti sono tenute ad assicurare il rispetto, da parte degli altri giudici nazionali, della corretta ed effettiva applicazione del diritto comunitario. Inoltre, esse si occupano degli ultimi ricorsi destinati a garantire la tutela dei diritti che il diritto comunitario conferisce ai singoli.

Secondo la Corte comunitaria-sentenza 6 ottobre 1982, Cilfit e a. – i giudici nazionali le cui decisioni non possono costituire oggetto di ricorso giurisdizionale di diritto interno «sono tenuti, qualora una questione di diritto comunitario si ponga dinanzi ad essi, ad adempiere il loro obbligo di rinvio, salvo che non abbiano constatato che la questione non è pertinente, o che la disposizione comunitaria di cui è causa ha già costituito oggetto di interpretazione da parte della Corte, ovvero che la corretta applicazione del diritto comunitario si impone con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi»

Di ciò si ha la misura esaminando l’ipotesi “limite” che la stessa giurisprudenza di Lussemburgo –sentenze Köbler e Traghetti del Mediterraneo – ha ammesso, facendo risalire allo Stato la responsabilità per violazione di ultima istanza ascrivibile al giudice nazionale di ultima istanza che non si è avvalso del rinvio pregiudiziale.

Nella prospettiva disegnata dalla Corte di giustizia «un organo giurisdizionale di ultimo grado costituisce per definizione l’ultima istanza dinanzi alla quale i singoli possono far valere i diritti ad essi riconosciuti dal diritto comunitario», per cui la violazione di tali diritti prodotta da una decisione non più impugnabile impone la responsabilità dello Stato proprio per evitare  che i singoli siano privati della possibilità di far valere la responsabilità dello Stato al fine di ottenere in tal modo una tutela giuridica dei loro diritti>> (Corte di giustizia 30 settembre 2003, n. C- 224/01 Köbler c. Repubblica d’Austria  p.34).

In questa visuale il rinvio pregiudiziale ex art.234  par. 3 CE –ora art.267 par.3 TFUE-costituisce al contempo obbligo e misura della responsabilità, se è vero che la mancata osservanza, da parte dell’organo giurisdizionale, del suo obbligo di rinvio pregiudiziale viene dalla stessa Corte individuata come una delle condizioni nelle quali uno Stato membro è tenuto a risarcire i danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili- (p.51 sent. Köbler).

 

 

 

Tornando all’ordinanza di rinvio alla Corte di Giustizia: il sistema è chiaro  od oscuro?

Quattro sono stati i quesiti sottoposti dal Consiglio di Stato alla Corte di Giustizia che vale la pena di riportare testuamente:

“a) se osti o meno all’applicazione dell’art. 267, par. 3, TFUE, in relazione all’obbligo del giudice di ultima istanza di rinvio pregiudiziale di una questione di interpretazione del diritto comunitario sollevata da una parte in causa, la disciplina processuale nazionale che preveda un sistema di preclusioni processuali, quali termini di ricorso, specificità dei motivi, divieto di modifica della domanda in corso di causa, divieto per il giudice di modificare la domanda di parte;

b) se osti o meno all’applicazione dell’art. 267, par. 3, TFUE, in relazione all’obbligo del giudice di ultima istanza di rinvio pregiudiziale di una questione di interpretazione del diritto comunitario sollevata da una parte in causa, un potere di filtro da parte del giudice nazionale in ordine alla rilevanza della questione e alla valutazione del grado di chiarezza della norma comunitaria;

c) se l’art. 267, par. 3, TFUE, ove interpretato nel senso di imporre al giudice nazionale di ultima istanza un obbligo incondizionato di rinvio pregiudiziale di una questione di interpretazione del diritto comunitario sollevata da una parte in causa, sia o meno coerente con il principio di ragionevole durata del processo, del pari enunciato dal diritto comunitario;

d) in presenza di quali circostanze di fatto e di diritto l’inosservanza dell’art. 267, par. 3, TFUE configuri, da parte del giudice nazionale, una “violazione manifesta del diritto comunitario”, e se tale nozione possa essere di diversa portata e ambito ai fini dell’azione speciale nei confronti dello Stato ai sensi della legge 13 aprile 1988 n.117 per “risarcimento danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati” e dell’azione generale nei confronti dello Stato per violazione del diritto comunitario.”

Orbene, rispetto alla complessità delle questioni poste dal giudice amministrativo si intende qui offrire al lettore alcune riflessioni “a prima lettura”.

E’ allora necessario ribadire la finalità e le ragioni del rinvio pregiudiziale ex art.267 par.3 TFUE –già art.234 TCE-.

Esso, come già detto, mira essenzialmente a garantire uniformità di applicazione del diritto eurounitario, al fine di evitare che tutti i protagonisti – e dunque tutti i giudici comuni del diritto eurounitario – possano offrire tutele diverse rispetto ad un unico dato normativo. Si spiega così la particolare attenzione riservata dal Trattato al giudice di ultima istanza, godendo la giurisprudenza delle corti supreme un capacità maggiore di consolidarsi con maggior forza ed autorità.

In questa prospettiva l’intervento della Corte di Giustizia, normativamente chiamata a fornire l’interpretazione del diritto anzidetto con efficacia vincolante per tutti i Paesi membri, è destinato a salvaguardare l’unità del sistema all’interno di un circuito di cooperazione “fra giudici” che solo sullo sfondo ha riguardo alla tutela delle posizioni giuridiche soggettive coinvolte nel giudizio pendente innanzi al giudice nazionale. Se, d’altra parte, come notato in dottrina, dal rinvio anche le parti del procedimento avranno giovamento nel caso concreto, il meccanismo di cui si discute sembra comunque sganciato dalla piena ed esclusiva disponibilità delle parti, se è vero che è sempre e solo il giudice nazionale a potere rinunziare al rinvio.

Seguendo tale prospettiva sembra chiaro che, a livello comunitario, il giudice nazionale abbia un “dovere di soccorso” rispetto alla questione pregiudiziale inammissibile o mal posta dalla parte, riguardando il meccanismo pregiudiziale uno strumento che riguarda la cooperazione fra giudici nell’interesse dei soggetti coinvolti e, più in generale, dell’uniforme e corretta interpretazione del diritto eurounitario.

Ammettere, così, l’esistenza di un meccanismo di preclusione nei termini prospettati dal Consiglio di Stato finirebbe col tradire, a sommesso avviso di chi scrive, l’essenza stessa del rinvio pregiudiziale.

Soccorre, in questa prospettiva, oltre alla giurisprudenza evocata nel precedente paragrafo, anche  la recente sentenza resa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo – Corte dir.uomo 20 settembre 2011, Ullens de Schooten e Rezabek c. Belgio, ric. 3989/07 38353/07-.

Nel caso esaminato era venuto in discussione il carattere asseritamente iniquo dei due procedimenti svoltisi innanzi alle giurisdizioni di ultima istanza ordinaria ed amministrativa del Belgio che avevano entrambe rifiutato di sollevare il rinvio pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia. In quella vicenda la Corte non ha escluso che il mancato rispetto dell’obbligo del rinvio potesse in astratto determinare un processo iniquo ai sensi dell’art.6 par.1 CEDU, tuttavia ritenendo insussistente tale ipotesi nel caso concreto, poiché le due giurisdizioni di ultima istanza avevano dato conto nelle loro motivazioni delle ragioni che rendevano irrilevante la questione pregiudiziale sollevata.

Tale decisione, tralasciando qui i profili, a dire il vero complessi, che la stessa lascia trasparire in ordine al rapporto fra le due Corti sovranazionali- di Lussemburgo e di Strasburgo- soprattutto dopo l’adesione dell’UE alla CEDU sembra confermare autenticamente le finalità del rinvio pregiudiziale ed il ruolo del giudice nazionale, al quale viene conferito il potere-dovere di rimettere la questione alla Corte di Giustizia proprio nell’ambito di quel meccanismo di cooperazione finalizzato a garantire la legalità  nell’applicazione e nell’interpretazione delle norme eurounitarie – cfr. Corte giust.16 dicembre 1981, causa C 244/1080, Foglia c. Novello, p.16-.

Tale affermazione impone, dunque, secondo la appena ricordata sentenza Foglia di considerare che “i problemi che possono derivare dall’esercizio da parte del giudice nazionale del suo potere di valutazione nonché i rapporti che egli ha con la Corte nell’ambito dell’art.177 sono esclusivamente  disciplinati dalle norme del diritto comunitario”- cfr.punto 16 sent.ult. cit.-.

E’ la stessa sentenza a chiarire che spetta al giudice nazionale il compito di specificare i motivi per i quali essi ritengano necessaria alla definizione della controversia la soluzione delle questioni loro proposte- cfr.p.17 sent.ult. cit.- sicchè alla Corte di giustizia è riservato il compito “non di esprimere pareri a carattere consultivo su questioni generali o ipotetiche, ma di contribuire all’amministrazione della giustizia negli stati membri. Ad essa non compete pertanto la soluzione di questioni di interpretazione che le siano proposte nell’ambito di schemi processuali precostituiti dalle parti al fine di indurla a pronunciarsi su taluni problemi di diritto comunitario non rispondenti ad una necessità obiettiva inerente ala definizione di una controversia”-cfr.p.18 sent. ult. cit.-

E’ dunque lo spirito di collaborazione che presidia le funzioni assegnate al giudice nazionale ed alla Corte di giustizia – ora vieppiù confermato dalla richiesta al giudice a quo di offrire una possibile soluzione al quesito pregiudiziale proposto – ad imporre per un verso l’obbligo di rispettare le competenze del giudice nazionale, ma anche la funzione specifica di cui la Corte è investita, che riguarda “non soltanto gli interessi delle parti in causa, ma altresì quelli della comunità e quelli degli Stati membri”-cfr. pp. 18 e 19 sent. ult. cit.-

Se così è, i quesiti pregiudiziali sollevati dal Consiglio di Stato paiono destinati ad essere superati da una giurisprudenza sufficientemente chiara della Corte di Giustizia che non sembra potersi “inceppare” per effetto di un sistema processuale nazionale, qual è quello che emergerebbe dalla ricostruzione operata dal giudice remittente, tutto rivolto ad espropriare il giudice nazionale del meccanismo del rinvio pregiudiziale condizionandolo al potere delle parti.

Agganciare, allora, come sembra fare il Consiglio di Stato, il meccanismo del rinvio pregiudiziale ai motivi di ricorso della parte, addirittura ponendo in discussione il “dovere di soccorso” del giudice rispetto alla questione mal posta dalla parte epperò dallo stesso ritenuta (eventualmente) rilevante finirebbe col mettere in discussione l’essenza e la funzione del rinvio pregiudiziale, tanto più se tale inquadramento del rinvio pregiudiziale a livello interno finisse col determinare un obbligo del giudice nazionale di rimanere soggetto alla volontà delle parti rispetto al sollevare o meno la questione pregiudiziale. Non si spiegherebbe, a seguire la prospettiva del remittente, il perchè secondo la giurisprudenza della Corte di Lussemburgo il giudice di ultima istanza può avvalersi del rinvio anche quando la questione sollevata è apparentemente chiara.

Se davvero questo fosse l’effetto prodotto dalle disposizioni processuali nazionali evocate dal giudice remittente, non potrebbe allora che derivare la contrarietà delle stesse al meccanismo del rinvio pregiudiziale che verrebbe fortemente limitato per effetto di una disposizione interna ( e non è dato comprendere come tanto possa essere tollerato dalla Corte di Giustizia, se è vero che il meccanismo di cui si discute esula dalla competenza dei Paesi membri ed è invece regolato a livello di Trattato sul funzionamento dell’Unione europea).

Ed è appena il caso di rammentare che proprio la Corte di Giustizia ha affermato, di recente, che “…secondo la giurisprudenza costante della Corte, al fine di garantire il primato del diritto dell’Unione, il funzionamento del detto sistema di cooperazione esige che il giudice nazionale sia libero, in ogni fase del procedimento che reputi appropriata, ed anche al termine di un procedimento incidentale di legittimità costituzionale, di sottoporre alla Corte di giustizia qualsiasi questione pregiudiziale che ritenga necessaria.”-cfr. Corte giust., 22 giugno 2010, C188/10 e C189/10, Aziz Melki, p.52-.

Il rischio, nemmeno velato, sarebbe poi quello di appannare il ruolo della Corte di giustizia quale “artefice di prima grandezza del processo d’integrazione sovranazionale”.

Sembra allora di poter ritenere che anche solo un’operazione di mera “interpretazione conforme” della normativa processuale interna ai sistema previsto dall’art.267 TFUE avrebbe consentito al giudice remittente di risolvere le questioni prospettate alla Corte, non ostando alla soluzione qui sinteticamente prospettata la lettera delle disposizioni interne, se appunto si muove dalle finalità del rinvio pregiudiziale. Chè se così non dovesse essere, sembra obbligato il dovere del giudice nazionale di non applicare la normativa interna contrastante con le disposizioni in tema di rinvio pregiudiziale. Per tali ragioni è stato sostenuto che “l’art. 267 TFUE costituisca una parte integrante dell’ordinamento giuridico degli Stati membri, ove prevale sulle norme di diritto nazionale se queste sono con esso incompatibili”, aggiungendosi, ancora, che qualsiasi giudice può e deve applicare integralmente l’art. 267 TFUE e, in caso di conflitto tra questo articolo e una norma di diritto interno, disapplicare quest’ultima, se necessario, di propria iniziativa in una causa pendente dinanzi a lui-cfr.Concl. Avv.gen. Mazàk, 7 giugno 2010, cause riunite C188/10 e C189/10, Aziz Melki e Sélim Abdeli-.

D’altra parte, ad opinare nel senso prospettato dal giudice remittente  si finirebbe con l’imporre alla Corte di Giustizia di pronunziarsi su questioni inconsistenti sollevate dalle parti:evenienza espressamente esclusa dalla Corte di giustizia stessa  anche nel caso Foglia già evocato.

In questo contesto si spiega dunque la giurisprudenza Cilfit che, per il giudice di ultima istanza,  prevede che l’obbligo del rinvio pregiudiziale non pare nè assoluto né incondizionato, come per contro affermato dal giudice remittente. Per l’appunto, non può in alcun modo ritenersi che le giurisdizioni nazionali di ultima istanza siano tenute al rinvio quando constatano che la questione non è “rilevante” o che la disposizione comunitaria pertinente è già stata oggetto di interpretazione da parte della Corte di giustizia o, infine, quando “l’applicazione corretta del diritto comunitario è così evidente da non lasciare spazio ad alcun ragionevole dubbio”.

Secondo la giurisprudenza di Lussemburgo, nell’ambito di un procedimento ex art. 267 TFUE, il giudice nazionale è l’unico competente a conoscere e valutare i fatti della controversia di cui alla causa principale nonché ad interpretare ed a applicare il diritto nazionale. Parimenti spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte di Giustizia, in via di principio, è tenuta a pronunciarsi.

Allora, delle due l’una: o la richiesta di rinvio è palesemente inconsistente ed allora il giudice non farà luogo al rinvio, motivandone le ragioni ovvero la questione pone dei dubbi anche solo limitati circa la portata della disposizione eurounitaria che tali considera lo stesso giudice. Ed allora il rinvio sarà dovuto in base alla giurisprudenza Cilfit- evenienza che sembrerebbe ricorrere quanto ai quesiti pregiudiziali sollevati dall’appellante del procedimento, avendo il giudice remittente ritenuto che gli stessi importavano “…questioni sulle quali la corretta applicazione del diritto comunitario non si impone con tale evidenza da non lasciar adito a nessun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alle questioni sollevate.”(p.9.8 ord.)-

In definitiva, l’assenza di alcun ragionevole dubbio in ordine alla corretta applicazione del diritto eurounitario che la Corte di giustizia richiede per esonerare il giudice di ultima istanza dal rinvio pregiudiziale sembra evocare una prospettiva che guarda non solo alla vicenda posta al vaglio del giudice nazionale, ma ad un approccio che vede potenzialmente coinvolti anche gli altri giudici dei Paesi membri, dovendo il giudice di ultima istanza essere convinto che “la stessa evidenza si imporrebbe ai giudici degli altri Stati membri”(Tesauro, 317). Il giudice di ultima istanza dovrebbe farsi carico di verificare la chiarezza obiettiva della disposizione eurounitaria.

Certo, può sembrare oneroso comprendere cosa intenda dire la Corte di giustizia quando precisa che l’assenza di ragionevole dubbio va determinata “in funzione delle caratteristiche proprie del diritto comunitario, delle particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta e del rischio di divergenze all’interno della Comunità”.

Ma non v’è dubbio che a tale formula non può che derivare una restrizione delle ipotesi di omesso rinvio che dunque andrà operato proprio per evitare che la definizione del procedimento possa produrre un irrevocabile danno ad una delle parti. E’ dunque all’autorità giudiziaria che deve assumere la responsabilità dell’emananda sentenza e che meglio di ogni altro può giudicare la necessità del rinvio pregiudiziale che spetta il compito di verificare se ricorra o meno l’obbligo del rinvio.

 

Rischio di irragionevole durata del processo per effetto del rinvio pregiudiziale?

Assume, ancora, il Consiglio di Stato che dalla giurisprudenza Cilfit potrebbe derivare un vulnus al principio della ragionevole durata del processo, ora direttamente vigente nell’ordinamento UE per effetto dell’entrata in vigore della Carta di Nizza- art.47-.

Ma ancora una volta, questo meccanismo del rinvio pregiudiziale non pare in alcun modo poter determinare un vulnus al canone della ragionevole durata del processo, in quanto rivolto ad offrire ai soggetti dialoganti uno straordinario elemento di vivacità che ha consentito alla Corte di giustizia di disegnare in modo straordinario i pilastri del diritto dell’Unione europea. E d’altra parte, la stessa introduzione dei procedimenti accelerati e d’urgenza (art. 267 TFUE ultimo comma) rende evidente come il sistema dell’UE abbia avuto la capacità di cogliere l’esigenza di immediatezza di decisione di questioni pregiudiziali e di approntare uno strumento capace di offrire una risposta della Corte di Giustizia in tempi assai contenuti.

Il carattere fondamentale dell’obbligo del rinvio sul quale non a caso insiste la giurisprudenza della Corte di Giustizia mette certamente al riparo l’attivazione del meccanismo dal pericolo di divenire concausa del ritardo, trattandosi di istituto disciplinato dal diritto UE proprio per garantire la pluralità di obbiettivi che esso persegue e che si è cercato di evidenziare sopra.

In questa direzione sembrano, del resto, deporre i dati statistici dei rinvii pregiudiziali consultabili sul sito della Corte di giustizia che, tanto con riferimento alle questioni pregiudiziali sollevate dall’Italia che al numero complessivo dei ricorsi proposti, non sembrano dimostrare quei rischi che il giudice remittente sembra ipotizzare per effetto dell’espansione del rinvio pregiudiziale.

Tali dati, lungi dall’orientare verso un’esplosione dei rinvii dimostrano, quanto alla situazione italiana, che gli stessi sono attestati nell’ultimo decennio fra i 50 dell’anno 2000 ai 49 dell’anno 2010, mentre avendo a base l’intero periodo compreso dal 1952 al 2010  i 1056 procedimenti pregiudiziali proposti sono stati attivati in numero di 109 dalla Corte di Cassazione e 64 dal Consiglio di Stato- ai quali si aggiunge un solo (e ben noto) ricorso della Corte costituzionale non in sede di questione incidentale- e 883 ricorsi proposti da altre autorità giudiziarie interne.

Ora, è indubbiamente vero che, a livello generale, si riscontra un certo incremento del numero dei casi di rinvio pregiudiziale, essendosi passati dai 224 del 2000 ai 385 del 2010, ma non pare meno vero che tale incremento, oltre ad essere in qualche modo condizionato dalle nuove adesioni all’UE, non sembra affatto preconizzare la necessità di una modifica dell’attuale sistema, né sul piano legislativo né su quello giurisprudenziale da parte della Corte di Giustizia, risultando il tempo medio della definizione dei ricorsi pregiudiziali pari a circa 16 mesi.

In definitiva, i dubbi prospettati dal Consiglio di Stato nei quesiti pregiudiziali non pare possano essere risolti nel modo ipotizzato dal remittente, al più potendo la Corte di Giustizia chiarire che, ferma la competenza esclusiva dell’ordinamento dell’Unione europea e delineare i meccanismi di operatività del rinvio pregiudiziale e l’impossibilità da parte delle legislazioni nazionali di incidere su tale meccanismo riducendo i poteri riservati al giudice nazionale, compete certamente a quest’ultimo – al quale è riservata la responsabilità di decidere la controversia posta al suo vaglio – a) applicare i criteri fissati dalla giurisprudenza Cilfit; b) dare in ogni caso adeguata giustificazione delle proprie scelte tenendo in considerazione la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sopra evocata; c) attivare o non attivare il meccanismo del rinvio a seconda della rilevanza o meno della questione secondo una valutazione di sua pertinenza e dell’esistenza o meno di un ragionevole dubbio in ordine alla soluzione da dare alla questione.

 

Rinvio pregiudiziale del giudice di ultima istanza e responsabilità dello Stato(giudice).

Passando all’esame del quarto quesito, assume il Consiglio di Stato che dall’omesso rinvio potrebbe derivare responsabilità dello Stato ed a tal fine richiama numerosi precedenti della Corte di giustizia. Ed in questo ambito chiede alla Corte di giustizia di chiarire <<in presenza di quali circostanze di fatto e di diritto l’inosservanza dell’art. 267, par. 3, TFUE configuri, da parte del giudice nazionale, una “violazione manifesta del diritto comunitario”, e se tale nozione possa essere di diversa portata e ambito ai fini dell’azione speciale nei confronti dello Stato ai sensi della legge 13 aprile 1988 n.117 per “risarcimento danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati” e dell’azione generale nei confronti dello Stato per violazione del diritto comunitario.>>

Tale quesito si collega all’affermazione, contenuta nella parte motiva, secondo la quale “…Laddove si configuri un obbligo di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia CE, la sua violazione è ritenuta dalla Corte di  Giustizia CE sanzionabile mediante la responsabilità degli Stati membri, che sono tenuti a risarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto dell’Unione riconducibili ad organi giudiziari, e in particolare quando questi ultimi omettano di ottemperare all’obbligo di rinvio pregiudiziale [Corte giust. CE, 30 settembre 2003 C-224/01, Köbler; Id. 13 giugno 2006 C-173/03, Traghetti del Mediterraneo; Id., sez. III 24 novembre 2011 C 379/10 Commissione europea c. Repubblica italiana].”

Orbene, è sufficiente evidenziare, permettendoci di rinviare a precedenti specifici approfondimenti espressi sul tema della responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’UE da parte del giudice di ultima istanza, che tre sono le condizioni in presenza delle quali uno Stato membro è tenuto al risarcimento dei danni causati ai singoli per violazione del diritto dell’Unione al medesimo imputabile, vale a dire che la norma giuridica violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli, che si tratti di violazione sufficientemente caratterizzata e, infine, che esista un nesso causale diretto tra la violazione dell’obbligo incombente allo Stato e il danno subito dai soggetti lesi.

Il che val quanto dire che l’omesso rinvio pregiudiziale da parte del giudice di ultima istanza in tanto, a parte i rimedi previsti da ciascuno Stato a livello interno, potrà dare luogo a responsabilità, in quanto l’attività dello stesso giudice di ultima istanza abbia dato luogo ai presupposti appena ricordati.

In altri termini, sembrano  proprio le coordinate che governano il sistema dei rapporti fra “giudice comune del diritto eurounitario di ultima istanza” e Corte di giustizia  a rendere palese che la mancata attivazione del meccanismo del rinvio pregiudiziale, solo se correlata ad un’ipotesi di violazione del diritto eurounitario, contribuirà ad integrare il presupposto della violazione manifesta per le ipotesi in cui la mancata attivazione del meccanismo del rinvio, obbligatorio per il giudice di ultima istanza, abbia dato luogo ad una soluzione giurisprudenziale non in linea con la tutela offerta in via astratta ed in concreto dalle istanze eurounitarie.

Ed è per questo motivo, ci sembra, che l’Avvocato Generale Lèger ebbe a chiarire, nelle Conclusioni presentate nel procedimento Traghetti del Mediterraneo, che “…L’inadempimento di siffatto obbligo rischia infatti di condurre il giudice di cui trattasi a commettere un errore che rientra in una delle dette ipotesi, indipendentemente dal fatto che si tratti di errore nell’interpretare il diritto comunitario applicabile o nel dedurre le conseguenze che se ne devono trarre per l’interpretazione conforme del diritto interno o per la valutazione della compatibilità di quest’ultimo con il diritto comunitario”-p.66-, poi aggiungendo che“…l’inadempimento dell’obbligo di rinvio pregiudiziale costituisce uno dei criteri da prendere in considerazione per stabilire se sussista una violazione sufficientemente caratterizzata del diritto comunitario, imputabile ad un organo giurisdizionale supremo, che si aggiunge a quelli che la Corte aveva già formulato nella citata sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame, e nella successiva giurisprudenza, riguardo alla responsabilità dello Stato per fatto del legislatore o dell’amministrazione” –p.69-.

Corre ancora una volta la necessità di ricordare che l’obbligo di rinvio pregiudiziale a carico delle giurisdizioni di ultima istanza mira in particolare ad evitare che in uno stato membro si consolidi una giurisprudenza nazionale contraria al diritto dell’UE-Corte giust.4 giugno 2002, causa C99/00, Lyckeskog (Racc. pag. I4839, punto 14), e 22 febbraio 2001, causa C393/98, Gomes Valente (Racc. pag. I1327, punto 17).

Se dunque questa violazione non c’è stata, sembra davvero difficile ipotizzare una responsabilità dello Stato per violazione del diritto UE, semmai potendosi ipotizzare un vulnus all’art.6 CEDU nei termini indicati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza sopra ricordata. Si vedrà, dunque, qual è la risposta che offrirà la Corte di Giustizia.

Quanto all’ulteriore richiesta di chiarimenti che il Consiglio di Stato rivolge alla Corte di Lussemburgo -…quali sono le conseguenze giuridiche, anche in termini di responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario, se il giudice a quo esclude la rilevanza della questione d’interpretazione del diritto comunitario, errando nel valutare se il diritto comunitario è o meno applicabile al caso concreto…-  occorre considerare la giurisprudenza della Corte di Lussemburgo e le conclusioni dell’Avvocato Generale Legèr rese nella causa Traghetti del Mediterraneo, le quali sembrano orientate a ritenere la responsabilità dello Stato Giudice ogni volta che l’attività interpretativa del diritto interno sia rivolta a bypassare l’ordinamento UE.

In conclusione, non è dato sapere se l’ordinanza di rimessione offra spunti di tale novità da modificare l’attuale quadro del diritto vivente della Corte di Giustizia, semmai potendo contribuire a mettere in chiaro che la portata del rinvio pregiudiziale non può essere circoscritta per mano dei legislatori nazionali, a pena di fare perdere quei connotati che hanno consentito alla Corte di Giustizia e, soprattutto, ai diritti di matrice eurounitaria, di progressivamente affermarsi, proprio grazie al rinvio pregiudiziale in maniera armonica ed uniforme a livello europeo.