Il caso Sea Watch 3 e la decisione della Corte EDU sulla richiesta di interim measure
Con la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU, Rackete and Others v. Italy, Interim meausure 25 giugno 2019) si aggiunge un tassello significativo ai recenti fatti riguardanti il salvataggio da parte della ONG Sea Watch 3 di cinquantadue persone all’interno della SAR libica il 12 giugno 2019.
Il 21 giugno 2019 il capitano della nave Sea Watch 3 – Carola Rackete – e quaranta migranti a bordo si rivolgevano alla Corte europea dei diritti dell’uomo con la richiesta di interim measure, secondo quanto previsto dall’art 39 Regolamento di procedura della Corte EDU, al fine di ottenere dal Governo italiano l’autorizzazione all’ingresso della nave nelle acque territoriali ed il successivo sbarco. I ricorrenti lamentavano di essere ingiustamente detenuti a bordo della nave in condizioni inumane e degradanti e fondavano la loro richiesta alla Corte di Strasburgo sugli articoli 2 e 3 della Convenzione EDU. Infatti, la nave Sea Watch 3, dopo aver disatteso le indicazioni della Guardia costiera libica che aveva ordinato lo sbarco a Tripoli ed essersi diretta verso Lampedusa, ritenendolo il porto sicuro più vicino alla posizione del soccorso, aveva sostato per nove lunghi giorni in acque internazionali in attesa dell’autorizzazione allo sbarco da parte del Governo italiano. La nave, tuttavia, si era visto negato tale accesso, tanto che il 17 giugno la Guardia di finanza italiana aveva notificato alla Sea Watch 3 il divieto di ingresso, secondo quanto stabilito dall’art 1 del recentissimo d.l. 53/2019 (il cd. Decreto sicurezza-bis). Avverso tale divieto di ingresso la Sea Watch 3 esperiva, dapprima, ricorso al TAR del Lazio con richiesta al Presidente di sospendere in via cautelare l’efficacia del provvedimento ministeriale che vietava alla nave di entrare nelle acque territoriali italiane, e, successivamente, si rivolgeva alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Il 19 giugno 2019 il TAR Lazio, senza pronunciarsi sulla legittimità del provvedimento, si limitava a respingere la richiesta di sospensione temporanea degli effetti del provvedimento stesso, ritenendo che non vi fossero ragioni eccezionalmente gravi ed urgenti tali da giustificare la sospensiva, dato che i soggetti vulnerabili erano già stati sbarcati il 15 giugno e che la Sea Watch 3 non aveva indicato altri individui appartenenti a categorie vulnerabili presenti sulla nave (per un approfondimento cfr. il Comunicato Sea Watch e Mediterranea Saving Humans, Il TAR Lazio non ha rigettato nel merito il ricorso, in www.mediterranearescue.org).
La Corte di Strasburgo decideva altresì di non ordinare al Governo italiano, a norma dell’articolo 39 Regolamento di procedura della Corte EDU, la misura cautelare, ovvero l’autorizzazione a sbarcare in Italia per la nave Sea Watch 3, ma si limitava ad indicare alle autorità italiane di continuare a fornire tutta l’assistenza necessaria alle persone presenti ancora sulla nave che si trovassero in una situazione di vulnerabilità a causa dell’età o dello stato di salute (Corte EDU, Rackete and Others v. Italy, Interim meausure 25 giugno 2019).
Successivamente, il 29 giugno, la Sea Watch 3 è approdata nel porto di Lampedusa, dopo che il suo comandante ha deciso di invocare lo stato di necessità e di procedere senza l’autorizzazione preventiva.
Le quaranta persone a bordo sono state fatte sbarcare all’alba; Carola Rackete è stata, inizialmente, arrestata e iscritta nel registro degli indagati per i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, resistenza o violenza contro nave da guerra e resistenza a pubblico ufficiale da parte della Procura di Agrigento e, in seguito, rilasciata dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Agrigento, che non ha convalidato l’arresto. Il GIP ha infatti escluso il reato di resistenza e violenza a nave da guerra e ha ritenuto che il reato di resistenza a pubblico ufficiale dovesse ritenersi scriminato, ai sensi dell’art. 51 c.p., poiché l’attività di salvataggio in mare di naufraghi è da considerarsi adempimento degli obblighi derivanti dal quadro normativo (per una ricostruzione del caso cfr. S. Zirulia, L’ordinanza del GIP di Agrigento sul caso Sea Watch (Carola Rackete) Trib. Agrigento, Uff. GIP, ord. 2 luglio 2019, giud. Vella, 3 luglio 2019, in www.penalecontemporaneo.it)
Al contrario, la Corte di Strasburgo, negando la richiesta di interim measure, ha sostanzialmente ritenuto che la situazione a bordo della Sea Watch 3 non fosse tale da creare un rischio imminente di danni irreparabili per la salute e la sicurezza delle persone, consolidando il proprio orientamento restrittivo nell’ambito delle misure cautelari.
Tale orientamento restrittivo emerge anche in occasione di un altro salvataggio in mare, avvenuto il 25 gennaio 2019, rispetto al quale la Corte non aveva accolto la richiesta di interim measure da parte della Sea Watch 3, (Corte EDU, Case of SeaWatch 3 v. Italia – ric. n. 5504/19 e 5604/19, Interim meausure 29 gennaio 2019), ma si era limitata a ordinare al Governo italiano di adottare tutte le adeguate cure mediche, di provvedere ai rifornimenti di cibo e acqua dei migranti a bordo e alla custodia legale per i minori non accompagnati e di tenere regolarmente informata la Corte riguardo agli sviluppi delle condizioni dei richiedenti.
Nel caso in commento, pertanto, si assiste ad una conclusione tutt’altro che inconsueta nell’ambito dell’applicazione delle interim measures. Sia nel caso del 25 gennaio 2019, sia in quello più recente dello scorso giugno, infatti, i giudici di Strasburgo hanno negato lo sbarco della Sea Watch 3, non accogliendo, quindi, la richiesta di misure cautelari prevista dall’art 39 Regolamento di procedura della Corte EDU; secondo i giudici di Strasburgo, tali misure “urgenti” devono applicarsi soltanto in via eccezionale, laddove, in assenza delle stesse, i richiedenti potrebbero essere esposti ad un imminente rischio di danno irreparabile. In particolare, i casi tipici in cui tali misure sono applicabili ricomprendono i casi di espulsioni o estradizioni dei richiedenti che temono per la propria vita, venendo così violato l’articolo 2 della Convenzione EDU, o che si trovino innanzi al rischio di subire maltrattamenti, vietati dall’articolo 3 della Convenzione EDU (in tema di accoglimento delle richieste di interim measures da parte della Corte per i casi di violazione degli art 2 e 3 Convenzione EDU nei confronti dei richiedenti asilo cfr. Ali Abdollahi v. Turkey, no. 23980/08, decision of 3 November 2009; F.H. v. Sweden, no. 32621/06, judgment of 20 January 2009; Y.P. and L.P. v. France, no. 32476/06, judgment of 1 September 2010; W.H. v. Sweden, no. 49341/10, Grand Chamber – judgment of 8 April 2015; F.G. v. Sweden, no. 43611/11, Grand Chamber – judgment of 23 March 2016; M.E. v. Sweden, no. 71398/12, Grand Chamber – judgment of 8 April 2015). Inoltre, in via del tutto eccezionale, tali misure cautelari possono essere adottate in risposta al rischio per i ricorrenti di diniego del diritto a un processo equo, ai sensi dell’art 6 della Convenzione EDU, e laddove vi sia un rischio potenzialmente irreparabile per la vita privata o familiare ex art 8 della Convenzione (in tema di accoglimento delle richieste di interim measures da parte della Corte per i casi di violazione degli art 6 e 8 Convenzione EDU nei confronti dei richiedenti asilo cfr. X. v. Croatia, no. 11223/04, judgment of 17 July 2008; Öcalan v. Turkey, no. 46221/99, Grand Chamber – judgment of March 2003; Amrollahi v. Denmark, no. 56811/00, judgment of 11 July 2002; Neulinger and Shuruk v. Switzerland, no. 41615/07, Grand Chamber – judgment of 6 July 2010; B. v. Belgium, no. 4320/11, judgment of 10 July 2012; Soares de Melo v. Portugal, no. 72850/14, judgment of 16 February 2016; per un ulteriore approfondimento cfr. il Factsheet on interim measures).
D’altra parte, la decisione della Corte EDU Rackete and Others v. Italy del 25 giugno 2019 non può in ogni caso considerarsi una forma di legittimazione dell’operato del Governo italiano riguardo alla gestione della crisi migratoria, dal momento che la Corte ha imposto al Governo italiano di proseguire con l’attività di assistenza nei confronti delle persone vulnerabili e ha rimesso alle stesse autorità italiane l’onere della scelta delle modalità attraverso cui garantire i diritti fondamentali sanciti dalla Convenzione EDU ai soggetti vulnerabili ancora a bordo.
Ciò nonostante, è noto alla Corte che il Governo italiano ha in più occasioni azionato un sistema di respingimento dei naufraghi sia, nel caso di specie, invitando la nave Sea Watch 3 a seguire le indicazioni delle autorità libiche in seguito alla possibilità di approdo a Tripoli, sia, più in generale, attraverso il dispositivo del cd. Decreto Sicurezza-bis. Infatti, il testo dell’art 1 del d.l. 53/2019 conferisce al Ministro dell’Interno particolari poteri, tra cui quello di adottare provvedimenti volti a limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, per motivi di ordine e sicurezza pubblica e per contrastare l’immigrazione irregolare. Inoltre, all’art 2 sono introdotte per i trasgressori sanzioni amministrative pecuniarie e, in caso di reiterazione commessa con l’utilizzo della medesima nave, la sanzione della confisca della stessa.
Pertanto, la decisione della Corte di non intervenire e, al contempo, di non negare la responsabilità del Governo italiano è da considerarsi problematica rispetto all’effettività della tutela dei diritti fondamentali e della dignità dell’uomo garantiti dalla Convenzione EDU.
Tanto che, anche se secondo la decisione della Corte il trattamento subito dai ricorrenti non acquisiva il livello di “rischio imminente di danno irreparabile”, tale da poter essere accolta la richiesta di misura cautelare secondo quanto previsto dall’art. 39 Regolamento di procedura della Corte EDU, la drammaticità dei fatti di cui si discute imponeva la necessità di garantire il rispetto delle normative internazionali e nazionali a tutela delle persone a bordo. Tra queste figurano innanzitutto la Convenzione di Ginevra del 1951 e le Convenzioni SOLAS del 1974, SAR del 1979 e UNCLOS del 1982; la SAR, in particolare, prevede, all’art 2.1.10, l’obbligo per gli Stati di prestare assistenza nei confronti di «ogni persona in pericolo in mare senza distinzioni relative alla nazionalità o allo status o alle circostanze nelle quali tale persona viene trovata» e, all’art. 1.3.2., l’obbligo di fornire ad ogni persona soccorsa in mare «le prime cure mediche o di altro genere e di trasferirla in un luogo sicuro». A livello nazionale è poi necessario menzionare l’inderogabile obbligo di cui all’art 10-ter d.lgs 286/98, che prevede non solo di assicurare il soccorso, ma anche la conduzione presso gli appositi centri di assistenza delle persone che abbiano fatto ingresso nel territorio dello Stato, anche se essi sono giunti in modo irregolare o a seguito di operazioni di salvataggio in mare (per un approfondimento sul tema si veda F. Vassallo Paleologo ,Gli obblighi di soccorso in mare nel diritto sovranazionale e nell’ordinamento interno, in Questione Giustizia, n. 2/2018 [www.questionegiustizia.it]).
Tale obbligo di prestare assistenza non poteva esaurirsi nella mera presa a bordo delle persone salvate, ma richiedeva, come logica e necessaria conseguenza, anche la loro conduzione fino al porto sicuro più vicino. E se alcuni Stati non hanno adempiuto al proprio obbligo di cooperare per consentire lo sbarco delle persone in pericolo in un porto sicuro, secondo quanto previsto dall’art. 3.1.9. della Convenzione SAR, ciò «non esime affatto da responsabilità l’Italia», poiché «è proprio la natura “erga omnes” e umanitaria degli obblighi di soccorso ad escludere che l’inadempimento da parte di uno Stato possa giustificare l’inadempimento da parte di un altro (art. 60.4 Convenzione di Vienna 1969)» (cfr. E. Cannizzaro, P. De Sena, R. Pisillo Mazzeschi, Lettera «Chi viene soccorso in mare è un “naufrago” e ha il diritto di essere sbarcato in un luogo sicuro», in Corriere della Sera, 3 luglio 2019 www.corriere.it].
In conclusione, «il disumano come elemento tollerabile ha fatto da tempo ingresso nel discorso pubblico sull’immigrazione» (cfr. L. Masera, L’incriminazione dei soccorsi in mare: dobbiamo rassegnarci al disumano?, in Questione Giustizia, n. 2/2018 [www.questionegiustizia.it]) e, dato il fragile contesto degli equilibri in gioco nel caso in commento, le misure cautelari richieste alla Corte EDU per le persone a bordo della Sea Watch 3 avrebbero rappresentato un indispensabile strumento di tutela dei diritti fondamentali dei ricorrenti.