Il crepuscolo dell’ipotesi-Giamaica: osservazioni comparatistiche sulle trattative per la formazione del Governo in Germania

Una parte non trascurabile dei commenti sulle ultime vicende politiche e istituzionali tedesche sono caratterizzati da una certa, talora implicita Schadenfreude: per il successo elettorale, anche in Germania, di formazioni genericamente etichettate come populiste; per la crescente frammentazione nella composizione del Parlamento; per la necessità, conseguentemente, di costituire ampie e non sempre coerenti coalizioni; da ultimo, soprattutto, per il fallimento delle trattative fra cristiano-democratici, cristiano-sociali, liberali e verdi per il varo di una “coalizione Giamaica”. Anche in una Repubblica federale storicamente pervasa dalla “stella polare” della stabilità politica – oltre che economica e finanziaria – avrebbe perciò preso ad aleggiare lo spettro di italienische (o spanische) Verhältnisse: l’avvicendarsi frequente di governi e maggioranze, ritenuto un tratto caratteristico dell’Italia e – soprattutto nell’ultimo decennio di crisi economica – dell’Europa del sud in genere. Di queste difficoltà di tipo nuovo offrirebbe una plastica ricostruzione l’intervento diretto del Presidente Frank-Walter Steinmeier, teso a sbloccare lo stallo e a evitare l’extrema ratio dello scioglimento del Bundestag e di una nuova convocazione dei comizi: senza che vi fossero precedenti nella storia costituzionale tedesca, il capo dello Stato ha avviato consultazioni coi rappresentanti dei partiti. Nel corso delle consultazioni è emersa la disponibilità della SPD a modificare la propria intenzione di non partecipare ad alcun Governo in questa legislatura e a negoziare con la CDU/CSU la costituzione di una ennesima grande coalizione. Se anche queste trattative avessero esito positivo, però, l’accordo fra i due partiti di massa (Volksparteien) sarebbe sottoposto al voto degli iscritti della SPD.
Queste vicende suscitano l’interesse del comparatista per almeno tre motivi.
In primo luogo, l’inatteso protagonismo di Steinmeier pare mettere in discussione un postulato da cui generalmente prendono le mosse la dottrina costituzionalistica e la Corte di Karlsruhe al fine di inquadrare il ruolo del Presidente federale. Vero è che il Presidente è titolare di attribuzioni costituzionali, potenzialmente significative, in fatto di formazione del Governo dopo le elezioni, di scioglimento del Parlamento federale e di controfirma delle leggi (artt. 63, 68 e 82 della Legge fondamentale); nondimeno la dottrina e la giurisprudenza costituzionale si sono sempre preoccupate di valorizzare attribuzioni ulteriori, che si collocano “accanto” a quelle espressamente conferite al Presidente dalla Legge fondamentale e anzi lo connotano in maniera ancor più decisiva. Come ha spiegato la Corte in una sentenza del 2014, al Presidente spettano, “oltre” alle competenze che gli sono espressamente attribuite dalla Costituzione, “soprattutto compiti generali di rappresentanza e d’integrazione” (Ihm kommen … vor allem allgemeine Repräsentations- und Intesgrationsaufgaben zu). Attorno a questa funzione d’integrazione della società, non codificata nel testo costituzionale e influenzata in maniera decisiva dalla lezione di Rudolf Smend, si è dunque concentrata la riflessione sul ruolo del Presidente federale nell’ordinamento costituzionale. Ad avviso di critici come Isensee (Braucht die Republik einen Präsidenten?, in Neue Juristische Wochenschrift, 1994), anzi, enfatizzando le prestazioni svolte dal Presidente nei confronti dello Stato-comunità si tenterebbe di compensare la mancanza di attribuzioni reali in capo al medesimo, oppure il fatto che questo difficilmente possa agire in maniera autonoma nel contesto di un parlamentarismo razionalizzato in cui i principali attori hanno come bussola della propria azione la stabilità. Ora, la situazione di fatto appare in qualche misura mutata, e con essa l’atteggiamento del Presidente rispetto agli altri organi costituzionali e ai partiti politici. Riprendendo con qualche cautela l’immagine della fisarmonica presidenziale, nota alla riflessione italiana, al mutare delle circostanze di fatto paiono ritornare in primo piano le attribuzioni costituzionali standard del capo dello Stato. Dopo il fallimento delle trattative d’inizio legislatura per la formazione di una Jamaika-Koalition il Presidente Steinmeier ha dato l’avvio a consultazioni coi capipartito, avvertendo fin dall’inizio che “chi si presenta alle elezioni e partecipa alla competizione per la responsabilità politica non può tirarsi indietro una volta che si trovi ad averla in mano”. Poiché l’incarico di costituire un Governo è forse “il più alto” che l’elettorato possa conferire ai partiti in un regime democratico, questa responsabilità, che va al di là degli interessi propri di ciascun partito, “non può semplicemente essere riconsegnata agli elettori”. Come si vede, perciò, una situazione d’incertezza – forse momentanea ma certo inedita – ha portato a una rivalutazione delle possibilità d’intervento del capo dello Stato nel quadro del parlamentarismo della Repubblica federale.
Anche in questo caso, però, la valutazione dell’operato del capo dello Stato risente in misura determinante del peso di paradigmi interpretativi consolidati. Si vuole dire, cioè, che una parte delle aspettative che si proiettano sul Presidente federale in relazione alla sua funzione d’integrazione sociale si sono trasferite, in maniera per lo più irriflessa, sulle sue iniziative per risolvere l’impasse postelettorale. Nella dottrina tedesca, perciò, alcune voci hanno espresso perplessità e scetticismo su una eccessiva valorizzazione del ruolo – maieutico o demiurgico secondo le differenti letture – svolto dal Presidente Steinmeier nelle trattative per la formazione di un nuovo Governo. Oggetto di critica sono soprattutto le ricostruzioni giornalistiche del mutamento di rotta avvenuto all’interno della SPD, che sarebbe passata repentinamente da una risoluta opposizione all’esperienza – ritenuta logorante – della grande coalizione a una disponibilità di massima a trattare con la CDU/CSU in vista proprio del suo rinnovo. Tutto questo avrebbe potuto verificarsi soltanto grazie all’intervento risolutivo di Steinmeier: “se così vuole il Presidente, allora bisogna continuare a partecipare al Governo, almeno un poco” (così, sarcasticamente, T. Kingreen nel suo commento apparso sul Verfassungsblog). In ricostruzioni di questo tenore e nelle aspettative riposte nel Presidente federale – a fronte della crescente insoddisfazione nei confronti della democrazia rappresentativa e del sistema politico-partitico – i critici hanno da tempo ravvisato una “nostalgia dell’autorità” (Sensucht nach Obrigkeit) oppure una “lieve predilezione” per un Obrigkeitsstaat predemocratico, com’era prima del 1918 (H. Schulze, Über den Parteien”. Richard von Weizsäcker und das Erbe des Obrigkeitsstaats, in Gewerkschaftliche Monatshefte, 1992, 538 ss.). L‘emersione di sentimenti antipolitici (antipolitischer Affekt) si coagulerebbe perciò nell’auspicio che il Presidente ricomponga in una sintesi superiore le querelle fra i partiti e all’interno dei medesimi. Affiorano, insomma, le preoccupazioni della dottrina tedesca per una valorizzazione degli organi che in Italia si direbbero “di garanzia”; a danno, si teme, delle dinamiche ordinarie della democrazia rappresentativa (considerazioni analoghe sono state svolte a proposito del Bundesverfassungsgericht da C. Möllers e C. Schönberger nel volume scritto con M. Jestaedt e O. Lepsius Das entgrenzte Gericht. Eine kritische Bilanz nach sechzig Jahren Bundesverfassungsgericht, Berlin, 2011, pp. 297 e 43).
Da ultimo, per un osservatore italiano appaiono interessanti le modalità concretamente assunte fino a questo momento dalle consultazioni presidenziali. Fra le autorità con cui Steinmeier ha avuto contatti figura anche il Presidente della Corte costituzionale federale. Questo dato si spiega forse con la possibilità che in un sistema parlamentare più fortemente parlamentarizzato di quello italiano, in caso di fallimento delle trattative fra i partiti si apra la via allo scioglimento del Parlamento; e sull’ammissibilità dello scioglimento anticipato del Bundestag – anche se non all’inizio della legislatura – il Bundesverfassungsgericht ha già avuto modo di pronunciarsi nel 1983 e nel 2005. In secondo luogo, sebbene il Presidente abbia affermato di aspettarsi da tutti i partiti “disponibilità al dialogo” (Gesprächsbereitschaft), nondimeno la prima settimana di colloqui ha interessato soltanto democristiani, socialdemocratici, liberali e verdi. Si tratta, cioè, di quei partiti “per i quali l’esistenza d’intersezioni programmatiche non esclude la formazione di un Governo”. Sono invece escluse da quest’area della “governabilità” – e perciò destinate a essere consultate soltanto in un secondo momento – l’Alternative für Deutschland e la Linkspartei. In considerazione del carattere inedito della situazione attuale, coi suoi comportamenti il Presidente Steinmeier si trova inevitabilmente a porre precedenti, che potranno risultare più o meno persuasivi al ripresentarsi di circostanze analoghe. Nel perseguimento dell’obiettivo d’individuare una maggioranza governativa stabile, perciò, risulta interessante la scelta di consultare tutti i partiti, ma di accordare una indiscutibile priorità a quelli effettivamente suscettibili di partecipare a una maggioranza.