Il ddl sulla morte medicalmente assistita: un ulteriore problematico tassello del complesso rapporto fra legislatore, Corte costituzionale e corpo elettorale

L’approvazione del disegno di legge in materia di morte volontaria medicalmente assistita (AC n. 2553) da parte della Camera dei Deputati impone di tornare a ragionare su alcuni profili problematici del testo che non sono stati superati o che sono stati aggiunti prima del passaggio al Senato (in relazione alla versione originaria del testo sia consentito il rinvio a B. Liberali; in generale, sulle problematiche sottese si veda G. F. Pizzetti).
L’individuazione di questi profili consente di svolgere riflessioni di più ampio respiro sul complessivo e complesso rapporto fra legislatore e Corte costituzionale, anche alla luce dell’iniziativa referendaria relativa alla fattispecie dell’omicidio del consenziente e della relativa decisione di inammissibilità del quesito (sulle quali si vedano i contributi in G. Brunelli – A. Pugiotto – P. Veronesi (a cura di), e M. D’Amico – B. Liberali (a cura di)).
1.Il testo intende regolare la facoltà della persona affetta da una patologia irreversibile e con prognosi infausta o da una condizione clinica irreversibile di chiedere assistenza medica per porre fine volontariamente e autonomamente alla propria vita, alle condizioni ivi previste. In tale prospettiva, si mantiene fermo l’oggetto di disciplina, limitato alla richiesta di aiuto al suicidio, senza considerare i casi in cui pur versandosi in analoghe condizioni di salute non si sia (più) in grado di compiere l’ultimo atto autonomo per eseguire il proposito suicidario.
Se, quindi, da un lato il legislatore ha avviato il percorso per la costruzione di un vero e proprio diritto di accesso a tale prestazione (fermi restando i profili problematici di cui si dirà) a fronte della sent. n. 242/2019 della Corte costituzionale che ha potuto “solo” occuparsi del perimetro di liceità della condotta di terzi che aiutino al suicidio le persone che si trovano in determinate condizioni di salute (essendo così stata posta la questione alla Corte, avente a oggetto l’art. 580 c.p.), dall’altro non si è inteso prendere in considerazione la pur diversa (ma certamente assimilabile) situazione di coloro che a causa della patologia da cui sono affetti non sono in grado di dare esecuzione all’ultimo atto autonomo per porre fine alla loro vita (rendendosi in tali casi necessario non l’aiuto al suicidio, ma una vera e propria condotta omicidiaria). Con riguardo, ancora una volta, alla condotta dei terzi e non già all’individuazione di un diritto a richiedere il proprio omicidio, come è noto, la Corte costituzionale si è pronunciata nel senso dell’inammissibilità del quesito referendario sull’art. 579 c.p., che mirava a rendere lecita la relativa condotta, tranne nei casi previsti al terzo comma, nn. 1), 2) e 3) (sulla sent. n. 50/2022 si vedano A. Ruggeri, e S. Penasa).
2.Nel testo approvato dalla Camera, inoltre, permangono alcuni riferimenti che paiono porsi in contrasto con quanto chiaramente indicato dalla Corte nella sent. n. 242/2019.
Innanzitutto, continua a richiedersi la capacità di intendere e di volere (ma anche la capacità di prendere decisioni libere, attuali e consapevoli) quale requisito per l’accesso alla prestazione dell’aiuto al suicidio, mentre la Corte costituzionale nella sent. n. 242/2019 aveva in modo significativo richiamato (solo) la capacità di prendere decisioni libere e consapevoli.
In secondo luogo, rispetto alle condizioni di salute il testo prevede che la patologia irreversibile debba anche avere una prognosi infausta e che le sofferenze patite debbano essere sia fisiche sia psichiche, mentre la Corte costituzionale aveva posto in alternativa i due aggettivi.
Ancora, nella procedura che conduce all’esecuzione del proposito suicidario sono chiamati a intervenire molteplici soggetti (il Servizio Sanitario Nazionale, il medico curante, il medico specialista, i componenti del Comitato per la valutazione clinica) e la stessa viene scandita secondo tappe temporali talvolta non definite (con rischi di espansione dei tempi non controllabile), talaltra invece forse eccessive. Di questo profilo, peraltro, si mostra consapevole lo stesso legislatore, che in tale prospettiva opportunamente impone che si garantisca un adeguato supporto medico e psicologico al paziente nelle more delle valutazioni richieste.
Considerata la specificità della materia si è prevista espressamente la possibilità di sollevare obiezione di coscienza, richiamando il tenore dell’art. 9 della legge n. 194/1978 in materia di aborto. Sembra significativo che proprio in relazione alla configurazione di questo diritto il legislatore abbia deciso di richiamare espressamente la parola “suicidio”. Ecco che, a questo riguardo, si prevede che possano essere rifiutate le procedure e le attività specificamente (ma non necessariamente) dirette al suicidio e non anche l’assistenza che lo precede. Si pone un indubbio profilo problematico interpretativo che si appunta sulla successione degli atti che precedono l’evento: se, infatti, da un lato è richiesto che la morte sia determinata dall’ultimo atto autonomo del soggetto che richiede l’aiuto, dall’altro può essere difficoltoso ricostruire quali tipi di attività (evidentemente precedenti) non possano essere coperte dall’obiezione di coscienza perché non consistenti in forme di assistenza antecedenti. Opportunamente, invece, è stato introdotto l’obbligo di adozione di tutte le misure anche di natura organizzativa che si rendano necessarie per assicurare l’espletamento delle procedure richieste.
In relazione all’obiezione di coscienza, peraltro, occorre soffermarsi sul passaggio della motivazione della sent. n. 242/2019 che a essa aveva fatto espresso richiamo. La Corte in quella occasione aveva tenuto a chiarire che la propria pronuncia di incostituzionalità, limitandosi a escludere la punibilità dell’aiuto al suicidio nei casi considerati, non creava alcun obbligo di procedere a tale aiuto per i medici, restando affidata alla loro coscienza la scelta di soddisfare la richiesta del paziente. Essendosi la Corte occupata “solo” della perimetrazione di liceità della condotta dei terzi e non essendosi delineato affatto alcun “diritto” a ottenere l’aiuto al suicidio, non era (e non è) di conseguenza configurabile alcun dovere di renderlo effettivo.
3.Tralasciando ulteriori profili che paiono non coerenti o di difficile applicazione, preme sottolineare due ulteriori punti particolarmente significativi, che riconsegnano in fondo il rilievo che viene assegnato alla stessa regolamentazione e ai diritti fondamentali sottesi e che è stato inserito in sede di approvazione del testo alla Camera.
Si prevede che ai componenti del Comitato per la valutazione clinica non sia riconosciuto alcun compenso, gettone di presenza, rimborso di spese o altro emolumento comunque denominato: considerata l’importanza delle valutazioni richieste al Comitato in ordine al riconoscimento o meno del diritto di accedere alla prestazione dell’aiuto al suicidio questa previsione sembra non valorizzare adeguatamente il ruolo che in ogni caso a esso viene affidato.
Nella medesima linea pare collocarsi anche l’ulteriore aggiunta della clausola di invarianza finanziaria. Si specifica, infatti, che dall’attuazione della legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e che le amministrazioni competenti devono provvedere ai relativi adempimenti con le risorse (umane, strumentali e finanziarie) già disponibili.
Ancora una volta, tenendo conto non solo di tutte le attività richieste strettamente connesse alla procedura di morte volontaria anticipata (sia amministrative sia materiali), ma anche quelle ulteriori specificamente delineate dallo stesso testo in ordine al più generale monitoraggio e potenziamento dei servizi necessari (compresi il sostegno psicologico per i pazienti e per i famigliari, la preparazione, il coordinamento e la sorveglianza delle procedure di morte assistita, la garanzia di una campagna informativa sulla legge n. 219 del 2017 e il monitoraggio e il potenziamento della rete di cure palliative), la mancata previsione di una specifica voce di spesa da un lato potrebbe incidere (anche) sull’effettiva garanzia dell’accesso alla prestazione e dall’altro pone (e impone) una domanda cruciale: la prestazione offerta consistente nell’aiuto al suicidio può o deve rientrare nei livelli essenziali di assistenza? In tale caso, evidentemente, risulta necessaria l’indicazione delle relative fonti di finanziamento, come peraltro messo in luce nel documento predisposto dalla stessa Camera sull’Analisi degli effetti finanziari (n. 78, 8/2/2022).
4.Come si è anticipato, l’analisi del testo in discussione al Senato permette di soffermarsi sulle dinamiche che si sono sviluppate in materia di fine della vita fra legislatore e Corte costituzionale, ma anche, evidentemente, fra il primo e il corpo elettorale.
La Corte, come è noto, ha tentato di indirizzare il primo verso una regolamentazione specifica dell’aiuto al suicidio fissando le altrettante ben note condizioni del paziente nell’ord. n. 207/2018, cui ha fatto seguito la sent. n. 242/2019 che le ha ulteriormente arricchite, a fronte della perdurante inerzia legislativa.
Rispetto all’omicidio del consenziente, pur tenendo conto delle evidenti differenze strutturali del giudizio di ammissibilità del referendum, la Corte non ha rinunciato a individuare quattro specifiche indicazioni sostanziali per la relativa regolamentazione, la cui mancanza ha reso inammissibile il quesito referendario e la cui previsione, al contrario, è idonea a garantire la necessaria tutela minima del bene della vita: la selezione dei motivi per i quali il consenso viene prestato, la definizione delle forme di espressione dello stesso, la qualità del soggetto agente (e anche le ragioni che lo muovono) e le modalità con cui viene provocata la morte.
La sent. n. 50/2022, quindi, risulta chiaramente protesa verso il legislatore e proprio in ciò sembra esprimere, in definitiva, il fondamento della stessa scelta fra ammissibilità e inammissibilità del quesito referendario, ossia la necessità di una specifica regolamentazione per l’accesso alla prestazione suicidaria o omicidiaria. In relazione a entrambe le fattispecie e necessariamente tenendo conto delle peculiarità del giudizio costituzionale in via incidentale e di quello di ammissibilità del referendum, come si è visto, la Corte ha individuato gli specifici requisiti e i profili che devono essere presi in considerazione da parte del legislatore nell’esercizio della sua pur riconosciuta discrezionalità in materia.