Il doppio binario sanzionatorio al vaglio della Corte di Giustizia: la Grande Sezione si pronuncia sulle questioni pregiudiziali

Con l’espressione doppio binario sanzionatorio, ci si riferisce alla applicazione congiunta di sanzioni penali e amministrative per un medesimo fatto. Tale tecnica punitiva, nell’ambito del diritto italiano, non incontra ostacoli, in quanto l’art. 649 c.p.p. vieta il bis in idem solo con riguardo alle sanzioni penali. Tuttavia, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, a partire dalla sentenza della Grande Camera, 8 giugno 1976, Engel c. Paesi Bassi, ha elaborato una serie di indici volti a riqualificare la sanzione formalmente amministrativa, secondo il diritto interno, per attribuirle natura sostanzialmente penale. La natura intrinsecamente penale determina l’applicazione delle garanzie convenzionali previste per la materia penale, fra cui il divieto di bis in idem, sancito dall’art. 4, prot. VII, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.
D’altronde, se, in un primo momento, la Corte di Strasburgo ha negato in modo assoluto la legittimità del sistema a doppio binario (Corte e.d.u., sez. II, 4 marzo 2014, Grande Stevens e a. c. Italia), successivamente, il cumulo sanzionatorio è stato giudicato compatibile con la regola del ne bis in idem laddove i procedimenti sanzionatori presentino una “connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta”. Una siffatta connessione sussiste nel caso in cui: a) la previsione del doppio binario sia finalizzata a colpire profili differenti della condotta; b) il doppio giudizio sia prevedibile; c) sussista una connessione sostanziale e cronologica fra i procedimenti, per cui, in particolare, la raccolta e la valutazione delle prove sia compiuta soltanto una volta; d) le sanzioni inflitte siano complessivamente proporzionali rispetto alla gravità della condotta (Corte e.d.u., Grande Camera, 15 novembre 2016, A. e B. c. Norvegia).
Con riguardo al diritto eurounitario, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea dispone espressamente, all’art. 50, che “nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge”, mentre l’art. 52, par. 3, nel regolare i rapporti con il diritto convenzionale, afferma che “laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione e.d.u., il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione”. La Corte di Giustizia dell’U.E., pertanto, ha recepito i criteri Engel e, conseguentemente, ha riconosciuto l’estensione all’ambito oggettivo delle sanzioni sostanzialmente penali il divieto di bis in idem (Corte Giust. U.E., Grande sezione, 26 febbraio 2013, causa C-617/10, Aklagaren c. Hans Akerberg Fransson).
È evidente, dunque, l’estremo interesse destato dal triplice rinvio pregiudiziale compiuto dai giudici italiani e volto a sottoporre a scrutinio il sistema del doppio binario nel settore delle sanzioni tributarie (causa Menci, C-524/15) e finanziarie (Garlsson Real Estate e a., C-537/16 e cause riunite Di Puma, C-596/16 e Zecca, C-597/16).
Le conclusioni presentate dall’Avvocato generale Campos Sànchez-Bordona sono improntate a una visione garantistica del principio e, rispetto al mutamento giurisprudenziale seguito all’arresto A. e B. c. Norvegia, è affermata la necessità che la Corte di Giustizia non vi dia continuità. L’esegesi offerta della Corte di Strasburgo riguardo al diritto in esame rappresenta il livello minimo di tutela e, a norma dell’art. 52, par. 3, C.d.f.U.E., l’ordinamento eurounitario può concedere una protezione più estesa. L’applicazione degli indici elaborati dalla Corte di Strasburgo non appare, inoltre, in grado di guidare i giudici nazionali verso una applicazione certa e prevedibile del divieto di bis in idem.
Peraltro, riguardo alle materie di competenza eurounitaria, l’art. 51, par. 1, della Carta di Nizza, stabilisce che i diritti individuali possono subire limitazioni soltanto se esse siano “necessarie e rispond[enti] a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui” e il doppio binario sanzionatorio non può essere considerato una restrizione al diritto ex art. 50 C.d.f.U.E. strettamente necessaria e proporzionale, in quanto la repressione delle condotte illecite può essere adeguatamente perseguita anche con un’unica tipologia di misure.
Le sentenze rese dalla Corte di Giustizia seguono il medesimo iter argomentativo e affrontano, nell’ordine, le seguenti questioni: a) accertamento della natura sostanzialmente penale dei procedimenti e delle sanzioni; b) verifica circa l’esistenza di uno stesso fatto; c) scrutinio in ordine alla legittimità della limitazione al diritto garantito dall’art. 50 C.d.f.U.E.
Il quesito pregiudiziale sorto nella causa Menci chiedeva “se la previsione dell’art. 50 C.d.f.U.E. osti alla possibilità di celebrare un procedimento penale [per il delitto punito dall’ art. 10-bis d.lgs. n. 74/2000] avente ad oggetto un fatto per cui il soggetto imputato abbia riportato sanzione amministrativa irrevocabile”.
La Corte accerta la sussistenza del medesimo fatto materiale e la natura intrinsecamente penale della sanzione tributaria dell’art. 13 d.lgs. n. 471/1997 e, pertanto, ricorrendo entrambi i presupposti (bis e idem), rileva una limitazione del diritto sancito dall’art. 50 C.d.f.U.E., di cui occorre vagliare la legittimità. A questo riguardo, la Corte osserva che, in materia tributaria, il diritto europeo non è ancora giunto a una armonizzazione e, pertanto, gli Stati membri godono di ampia discrezionalità circa la configurazione del sistema sanzionatorio, potendolo articolare nell’ambito di un unico o doppio binario. La finalità perseguita dall’istituzione di un siffatto sistema punitivo mira alla tutela degli interessi finanziari dell’Unione Europea riguardo alla riscossione dell’IVA ed è idonea a giustificare una restrizione dell’estensione della garanzia, in virtù dell’art. 52, par. 1, C.d.f.U.E. Tale limitazione, oltre che necessaria, viene giudicata anche prevedibile e proporzionata, atteso che il cumulo è previsto solo in casi tassativi e sono predisposti meccanismi procedimentali volti ad evitare che il complessivo ammontare delle misure punitive risulti eccessivo.
In conclusione, la Curia afferma che l’art. 50 della Carta di Nizza non osta al doppio binario sanzionatorio purché la normativa che lo prevede: “a) sia volta ad un obiettivo di interesse generale tale da giustificare un simile cumulo di procedimenti e di sanzioni, fermo restando che detti procedimenti e dette sanzioni devono avere scopi complementari; b) contenga norme che garantiscano una coordinazione che limiti a quanto strettamente necessario l’onere supplementare che risulta, per gli interessati, da un cumulo di procedimenti; e c) preveda norme che consentano di garantire che la severità del complesso delle sanzioni imposte sia limitata a quanto strettamente necessario rispetto alla gravità del reato”. Inoltre, prosegue la Corte, “spetta al giudice nazionale accertare, tenuto conto del complesso delle circostanze del procedimento principale, che l’onere risultante concretamente per l’interessato dall’applicazione della normativa nazionale in discussione nel procedimento principale e dal cumulo dei procedimenti e delle sanzioni che la medesima autorizza non sia eccessivo rispetto alla gravità del reato commesso”.
Il caso Garlsson Real Estate e a. segue il percorso argomentativo descritto e, dopo aver verificato la natura sostanzialmente penale della sanzione posta dall’art. 187-ter t.u.f. per la fattispecie di abusi di mercato e il requisito del “medesimo fatto”, ravvisa una limitazione del diritto ex art. 50 C.d.f.U.E. e procede a scrutinarne la legittimità.
La Corte di Giustizia individua nella tutela dei mercati finanziari la finalità perseguita dal sistema sanzionatorio e reputa che essa sia idonea a giustificare la limitazione. Un punto di frizione con i principi europei è, tuttavia, ravvisato con riguardo al principio di proporzionalità. Il reato previsto all’art. 185 t.u.f. è punito in modo sufficientemente severo e dissuasivo e, dunque, il cumulo con la anzidetta sanzione amministrativa potrebbe risultare eccessivo.
I giudici del Kirchberg, dunque, concludono che l’art. 50 C.d.f.U.E. “osta a una normativa nazionale, che consente di celebrare un procedimento riguardante una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale nei confronti di una persona per condotte illecite che integrano una manipolazione del mercato, per le quali è già stata pronunciata una condanna penale definitiva a suo carico, nei limiti in cui tale condanna, tenuto conto del danno causato alla società dal reato commesso, sia idonea a reprimere tale reato in maniera efficace, proporzionata e dissuasiva”.
La sentenza resa nelle cause riunite Di Puma e Zecca affronta il tema in modo parzialmente differente rispetto alle precedenti pronunce. La Corte di Giustizia si interroga se l’art. 14, par. 1, dir. 2003/6, nella parte in cui impone agli Stati membri di prevedere sanzioni amministrative effettive, proporzionate e dissuasive per le violazioni del divieto di abuso di informazioni privilegiate, vada interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, quale l’art. 654 c.p.p., in forza della quale un procedimento inteso all’irrogazione di una sanzione amministrativa (ex art. 187-bis t.u.f.) non può essere instaurato a seguito di una sentenza penale definitiva di assoluzione (per il reato punito dall’art. 184 t.u.f.).
Dopo aver positivamente verificato la sussistenza del bis e dell’idem factum, la Grande Sezione procede, anche in questo caso alla valutazione della legittimità della limitazione posta al diritto previsto dall’art. 50 C.d.f.U.E. La tutela dei mercati finanziari, richiamandosi alle precedente decisione Garlsson Real Estate, è considerata idonea a giustificare la previsione del doppio binario sanzionatorio. Inoltre, l’art. 14 dir. 2003/6, non impone al legislatore nazionale di costruire un sistema a binario unico, lasciando, a riguardo, ampio margine di discrezionalità.
D’altronde, la Corte giudica manifestamente sproporzionato, rispetto al perseguimento di tale obiettivo, l’impulso ad un procedimento amministrativo punitivo, dopo che vi sia stato il definitivo accertamento, in sede penale, dell’assenza di trasgressioni alla disciplina di settore.
In conclusione, la Corte di Lussemburgo risponde negativamente al quesito ed afferma la compatibilità, rispetto all’art. 14 dir. 2003/6, dell’assetto normativo nazionale, “in forza della quale un procedimento inteso all’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale non può essere proseguito a seguito di una sentenza penale definitiva di assoluzione che ha statuito che i fatti che possono costituire una violazione della normativa sugli abusi di informazioni privilegiate, sulla base dei quali era stato parimenti avviato tale procedimento, non erano provati”.
L’importanza e la diversità delle questioni affrontate dalle sentenze in commento non permette, nella brevità di questa nota, una approfondita analisi critica dei principi espressi.
Quello che appare evidente è che l’obiettivo di una maggiore certezza e prevedibilità delle decisioni giudiziarie in materia di ne bis in idem, auspicato nelle conclusioni dell’Avvocato generale, difficilmente sarà raggiunto. I giudici del Kirchberg avevano tre possibilità: a) aderire alla giurisprudenza della Corte e.d.u. anteriore alla decisione A. e B. c. Norvegia, vietando in ogni caso il cumulo sanzionatorio; b) condividere il mutamento giurisprudenziale e seguire il test della sufficiently close connection; c) preferire “an autonomous approach” e precisare i caratteri della garanzia a livello eurounitario, distanziandosi dalla giurisprudenza convenzionale. Se l’ultima strada sembra essere quella percorsa, ciò non è avvenuto, come proponeva l’Avvocato Campos Sànchez-Bordona, per fornire un livello di protezione maggiore rispetto all’interpretazione data dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo.
Ad ogni modo, volendo provare a rintracciare dei punti comuni, quello che emerge con certezza dalla lettura delle decisioni, infatti, è che: a) la introduzione di sistemi sanzionatori a doppio binario è discrezionalmente consentita agli Stati membri per la tutela di beni giuridici di elevato rango; b) la tutela degli interessi tributari e finanziari dell’U.E. è idonea a giustificare tale previsione, compatibilmente con l’art. 50 C.d.f.U.E.; c) l’assetto normativo deve essere caratterizzato da regole chiare e precise, istituire un coordinamento fra i procedimenti, dare luogo ad esiti applicativi prevedibili e proporzionati, riguardo agli oneri difensivi e alle sanzioni inflitte; d) il giudizio circa la legittimità del cumulo sanzionatorio compete al giudice nazionale e deve essere condotto in concreto; e) nel caso in cui venga ravvisata una violazione della garanzia, il giudice nazionale procede a disapplicare la disciplina interna.
È stato, in tal modo, istituito un secondo test che il giudice nazionale dovrà compiere, da affiancare a quello della close connection, di matrice convenzionale, con il quale, peraltro, sono condivisi molti (ma non tutti) gli elementi del giudizio. La differenza non riguarda solo i criteri di valutazione quanto il risultato applicativo: ove venga individuata una violazione dell’art. 50 C.d.f.U.E. si deve procedere alla disapplicazione in via diretta del diritto italiano mentre, rispetto al diritto sancito dall’art. 4, prot. VII, C.e.d.u., è possibile esclusivamente accedere al sindacato accentrato di costituzionalità tramite il parametro interposto dell’art. 117, co. 1, Cost.
Rispetto alla diretta applicazione dell’art. 50 C.d.f.U.E., tuttavia, la Cassazione si è spesso espressa in senso contrario e un obiter dictum di Corte Cost. 14 dicembre 2017, n. 269, afferma la necessità di sollevare l’incidente di costituzionalità laddove “una legge sia oggetto di dubbi di illegittimità tanto in riferimento ai diritti protetti dalla Costituzione italiana, quanto in relazione a quelli garantiti dalla C.d.f.U.E.”. A ben vedere, la Curia, già in Aklagaren c. Fransson, aveva chiarito che il giudice nazionale deve procedere alla disapplicazione delle norme interne contrastanti con la Carta di Nizza, nelle materie di competenza europea, “senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale”. Il principio di diritto è stato ulteriormente ribadito nelle decisioni in commento e costituirà in futuro un probabile terreno di dialogo (e di scontro) fra Corti italiane ed europee.
In conclusione, il rapporto fra il doppio binario sanzionatorio e il divieto di bis in idem resta un tema controverso; non sembra, invece, che le decisioni esaminate saranno in grado di porre fine al dibattito in corso.